L’emergenza coronavirus ha costretto oltre metà della popolazione mondiale a restare segregata in casa, l’attività economica si è ridotta al lumicino, i consumi sono crollati. Di conseguenza, l’economia globale, alle corde, è finita in recessione, la disoccupazione è decollata, il debito pubblico è schizzato verso l’alto. Ma tutto ciò non ha fermato i mercati azionari, che hanno continuato a correre, come se viaggiassero per conto propio, su binari paralleli e divergenti rispetto a quelli dell’economia reale.
L’evidenza di questa divaricazione l’hanno data Wall Street e il Wti. Il Dow Jones ieri ha chiuso in rialzo quasi del 3%, mettendo in scena nelle ultime 2 settimane la migliore performance dagli anni Trenta, mentre il prezzo del barile texano che è crollato dell’8%, poco sopra i 18 dollari al barile, ai minimi dal gennaio 2002. Tutto ciò fotografa una situazione apparentemente caotica: il mondo va in rovina per il coronavirus, ma i corsi azionari s’impennano, le Borse salgono.
Questa apparente schizofrenia è in realtà il frutto di due atteggiamenti molto diversi tra loro. I mercati azionari guardano al bicchiere mezzo pieno, si posizionano in vista di una possibile guarigione, scommettono sul Remdesivir, il farmaco anti-Covid della Gilead, puntano su Donald Trump che prospetta un’uscita in tre tappe dal lockdown Usa, guardano ai governi europei che stanno programmando la fase 2, cioè l’uscita dal tunnel. Chi investe in petrolio e nelle materie prime guarda invece al bicchiere mezzo vuoto e trema per il mondo in recessione, l’economia che è ferma, i consumi di energia che sono al palo e le scorte che, malgrado l’accordo tra i big mondiali per tagliare la produzione, sono ancora in eccesso.
In realtà però, a ben guardare l’andamento dei future del petrolio la situazione è meno pessimistica e rende meglio l’idea di quello che sta accadendo. Va detto che il future di maggio, quello che è crollato a 18 dollari, è in scadenza il 21 aprile, quindi gli scambi sono caratterizzati da bassa liquidità e minori volumi, cosa che rende i prezzi particolarmente volatili. Il contratto di giugno, più attivo, è in rialzo dello 0,86% a 25,75 dollari al barile. In crescita è anche il corso del Brent, con i future di giugno in rialzo dell’1,94% a 28,37 dollari. Insomma, gli investitori anche per i prezzi del petrolio usano metri diversi, a seconda delle scadenze e, dunque, a seconda delle aspettative sui tempi di rientro dell’emergenza coronavirus.
Osserviamo ora più attentamente l’impennata dei mercati azionari. A Wall Street il Dow Jones è salito del 2,2% questa settimana e del 15% nelle ultime due, al top dal 1938. Lo S&P è cresciuto del 3% in 7 giorni e il Nasdaq del 6%. Tuttavia, se guardiamo gli stessi indici nell’arco di tutto il 2020, emerge che in realtà il Dow e lo S&P, cioè gli indici piu’ legati alla old economy, sono in calo del 10% e il Nasdaq va giù del 3,6%. Il rimbalzo a Wall Street è coinciso con le mosse della Fed combinate con il mega-piano da 2.300 miliardi di dollari sponsorizzato da Trump e varato dal Congresso. Sono stati i mega-stimoli Usa a incoraggiare i mercati azionari.
“Hanno spazzato via la Depressione, specie la Fed”, spiega Zhiwei Ren, gestore del portafoglio di Penn Mutual Asset Management, il quale poi fotografa ancora meglio la situazione: gli stimoli hanno incoraggiato gli investitori ad acquistare i titoli svalutati, in particolare quelli tecnologici. La regola in questo caso è vecchia come il mondo: in tempi di crisi guadagna chi compra bene e chi vende invece ci perde sempre.
Ovviamente, alla lunga, dipenderà da quanto durerà l’emergenza coronavirus. Se sarà breve, cioè se già a maggio-giugno avremo la sensazione di esserne fuori, chi ha comprato sarà premiato, mentre se sarà lunga, o ci saranno ricadute, allora anche in Borsa l’atteggiamento tornerà favorevole alle vendite per minimizzare le perdite.
Finora il bilancio del coronavirus è stato drammatico: oltre 2 milioni di contagi nel mondo (di cui 1 milione in Europa) e oltre 150.000 morti. Il primato dei decessi spetta agli Stati Uniti, con 22.000 decessi. Tutto ciò ha avuto una ricaduta tremenda sull’economia.
I dati della crisi Usa sono sotto gli occhi di tutti: 22 milioni di americani hanno ricevuto i sussidi di disoccupazione, le vendite al dettaglio, cioè i consumi che negli Stati Uniti pesano i due terzi del Pil, a marzo sono crollate dell’8,7%, il peggior risultato dal 1992. Gli utili delle imprese nel primo trimestre, secondo le stime degli esperti, scenderanno del 15%, ai minimi dal 2009.
Al momento gli investitori americani, che poi sono quelli che fanno il mercato, hanno continuato a raccogliere asset tradizionalmente sicuri come i titoli di Stato e l’oro. Ma anche azioni, in particolare titoli tech. Il rendimento decennale del Tesoro decennale è sceso allo 0,655% dall’1,26% a meta’ marzo, mentre i prezzi dell’oro hanno toccato il livello più alto in più di sette anni questa settimana. I titoli tech sono stati trattati come beni rifugio, come il titolo Amazon e quello Netfix, schizzati in alto del 14% questa settimana.
Tuttavia la differenza fondamentale la farà la curva della ripresa economica. Se sarà a V, cioè breve (di 1-2 trimestri), Wall Street continuerà a volare, mentre se sarà a U, più lunga, allora la volatilità e le turbolenze riprenderanno ad agitare i mercati azionari.
Vedi: Wall Street corre e il petrolio crolla: ecco i motivi
Fonte: economia agi