Di Daiana De Luca (Responsabile Comunicazione Confedercontribuenti)
Se la percentuale di mortalità dovuta al tumore al seno è in costante diminuzione ormai da qualche anno a questa parte, ciò che fino ad ora ha fatto paura alle pazienti dichiarate guarite è stato il rischio di una recidiva del cancro. Notizie ottimiste arrivano da uno studio di “fase III monarchE” condotto su 5.637 pazienti con carcinoma mammario in fase iniziale HR+ HER2- ad alto rischio.
I dati dello studio, condotto in oltre 600 centri di 38 paesi, sono stati presentati al Presidental Symposium del Congresso virtuale 2020 della European Society for Medical Oncology (ESMO) e contemporaneamente pubblicati sul Journal of Clinical Oncology. In dettaglio, è stato dimostrato che la combinazione di una molecola, Abemaciclib, in combinazione con la terapia endocrina adiuvante standard, è in grado di ridurre del 25,3% il rischio di recidiva del cancro al seno rispetto alla sola terapia adiuvante in pazienti con carcinoma mammario in fase iniziale ad alto rischio di recidiva, positivo al recettore ormonale (HR+) e negativo per il recettore del fattore di crescita epidemico umano (HER2-). La terapia ha comportato anche una riduzione clinicamente significativa ( 28,3%) del rischio di ricadute di malattia a distanza, cioè dello sviluppo della malattia metastatica.
“Questi dati costituiscono una novità decisiva per le persone con un carcinoma mammario in fase iniziale HR+, HER2- ad alto rischio, pari a circa il 20-30% dei 53.000 casi di tumore al seno che si registrano in Italia ogni anno” spiega Valentina Guarneri, professore associato di Oncologia Medica presso l’Università di Padova – Istituto oncologico veneto. Nei pazienti sottoposti a questa terapia, con rischio di recidiva elevato, Abemaciclib aggiunto alla terapia endocrina adiuvante ha migliorato significativamente la sopravvivenza libera da ripresa di malattia. Evitare la recidiva, implica, dunque, non solo allungare la sopravvivenza ma anche aumentare la probabilità di guarigione. I risultati finora raccolti dai ricercatori appaiono senz’altro incoraggianti e non ci si può che aspettare una naturale prosecuzione degli studi in questa direzione