Di Angelo Panebianco
Le criticità Il nostro assetto istituzionale non favorisce né una minore frammentazione partitica né stabilità delle maggioranze
Bipolarismo e Costituzione. I risultati delle elezioni europee (ove si votava con la proporzionale) hanno mostrato una netta affermazione, all’interno di ciascuno schieramento, del partito più forte (Fratelli d’italia, Pd). Si è parlato di nuovo bipolarismo. Qualcuno pensa, addirittura, che si possa tornare all’italia bipolare di Berlusconi e Prodi. Più correttamente, si tratta di una tendenza (che si stabilizzi o meno è da vedere) alla riduzione della frammentazione partitica.
Quando ciò avviene, cresce, per conseguenza, la coesione delle coalizioni elettorali e parlamentari (dominate, ciascuna, da un partito). Ciò favorisce la stabilità dei governi. Se in questo momento c’è un governo stabile in Italia ciò si deve al predominio, entro la maggioranza parlamentare, del partito di Giorgia Meloni. Più in generale, la riduzione della frammentazione partitica è una precondizione perché si affermi un regime di alternanza fra coalizioni contrapposte. Ma perché una tendenza del genere si consolidi occorre un assetto istituzionale appropriato. Come indicano i casi britannico e francese. In Gran Bretagna ci si aspetta, alle elezioni del prossimo luglio, una vittoria schiacciante del partito laburista contro i conservatori al governo ininterrottamente dal 2010. Lasciatosi alle spalle la fase dominata da Jeremy Corbyn e dalle correnti di sinistra, il partito laburista, sotto Keir Starmer, è tornato competitivo spostandosi al centro. Negli ultimi anni molti premier conservatori si sono alternati ma la maggioranza parlamentare non è mai cambiata. In Gran Bretagna l’unico modo per andare al governo è vincere le elezioni. In Francia ci si aspetta una vittoria dei lepenisti alle politiche (oggi si vota per il primo turno). È probabile che il raggruppamento più forte dopo i lepenisti risulterà il cartello delle sinistre. Dato che in quel Paese vige l’elezione diretta del presidente della Repubblica, la lotta politica è sempre condotta in funzione della conquista di quella carica. La combinazione di elezione diretta del presidente e sistema elettorale maggioritario spiega perché in Francia multipartitismo e bipolarismo convivano. Le elezioni per il rinnovo del Parlamento decideranno chi ricoprirà la carica di primo ministro ma saranno anche una prova generale in vista delle presidenziali (che si terranno fra tre anni, salvo dimissioni dell’attuale presidente).
Veniamo al caso italiano. La principale differenza fra Italia da un lato e Francia e Gran Bretagna dall’altro, è che il nostro assetto istituzionale non favorisce né la riduzione della frammentazione partitica né la stabilità delle maggioranze. Può accadere che, a dispetto dei santi, chi vince le elezioni governi per l’intera legislatura ma è l’eccezione. La regola è che la coalizione vincente si sfaldi dopo uno o due anni lasciando il posto a nuove combinazioni parlamentari. Magari Meloni ce la farà a governare fino alla conclusione della legislatura ma chi immagina che questa possa diventare — a Costituzione invariata — la regola, prende un abbaglio. Da noi la norma è il trasformismo parlamentare. Forse ha ragione Giuliano Ferrara secondo cui il trasformismo ci garantisce una flessibilità che manca altrove (pochi di noi, in effetti, vorrebbero essere in questo momento nei panni degli elettori francesi) . Comunque sia, se la regola è il trasformismo, allora spinte alla riduzione della frammentazione partitica, logica dell’alternanza, eccetera, se e quando si manifestano, rischiano di essere bloccate, prima o poi, a causa dell’andamento «normale» della nostra vita parlamentare. Con effetti sia sull’opposizione che sulla coalizione di governo. Nel caso dell’opposizione, il nostro assetto scoraggia la ricerca del posizionamento politico migliore per conquistare nuovi elettori. Spinge piuttosto all’attesa che lo sfaldamento della coalizione al governo apra spazi di manovra parlamentari. Il Pd , sotto la guida di Elly Schlein, con un messaggio «radicale», prevale sui 5 Stelle (li sta svuotando) ma difficilmente ciò può bastare per renderlo competitivo alle prossime elezioni politiche. Dovrebbe posizionarsi in modo da catturare anche molti elettori alla sua destra (il famoso «centro») . Ma in un assetto istituzionale come il nostro, e con le nostre tradizioni , l’incentivo ad adottare un diverso posizionamento è debole. La coalizione di governo, a sua volta, potrebbe risultare in futuro assai meno stabile di quanto oggi appaia. Se Meloni perdesse i referendum costituzionali che prima o poi si terranno, il suo prestigio crollerebbe e nella maggioranza acquisterebbero vigore le spinte centrifughe. Il ritorno al trasformismo parlamentare as usual diventerebbe probabile. Favorendo, di nuovo, le spinte alla frammentazione di partiti e coalizioni.
In sostanza: se si ritiene che la riduzione della frammentazione partitica sia un bene, una tendenza di cui favorire il consolidamento, allora bisogna sapere che ciò può avvenire solo se si mette mano alla forma di governo (e al sistema elettorale). Per varie ragioni, la proposta di premierato di Meloni è attualmente assai carente. Ma per chi apprezza bipolarismo e esecutivi di legislatura progettare cambiamenti costituzionali che diano stabilità al governo non è un delitto di lesa maestà. È un’imprescindibile esigenza.
Fonte: Corriere