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Un parroco ambientalista, un terreno conteso, un vescovo che minaccia …

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di Loan

Monsignor Francesco Lomanto è arcivescovo metropolita di Siracusa dal 24 luglio 2020, nominato da Papa Francesco prima ancora della consacrazione a vescovo, avvenuta il 24 ottobre scorso. Nel suo stemma campeggia il motto “Sanctificati in veritate”, consacrati nella verità.

Nella sua prima esperienza alla guida di una diocesi, e quella aretusea non è certo delle meno importanti, Lomanto è affiancato dal più esperto monsignore Sebastiano Amenta, nella qualità di vicario generale, delegato “ad omnia”.

Il vicario generale segue da tempo, con gran coinvolgimento, la vicenda di don Palmiro Prisutto, arciprete di Augusta e parroco della chiesa madre di quella città, il quale è al centro delle contestazioni di alcune confraternite cittadine che gli rimproverano di non assecondare la “pietà” popolare, cioè la voglia di partecipare ad eventi religiosi con grande apparato di parate e spettacolo esteriore, e le tradizioni delle feste paesane. Ma soprattutto si accusa l’arciprete di aver sottratto alle confraternite stesse ed a chi le coordina con il beneplacito degli ambienti di curia, ed in particolare con la paterna protezione di mons. Amenta, la proprietà di un terreno di grande valore in agro di Augusta.

Padre Prisutto, storico leader e trascinatore delle battaglie ambientaliste contro l’inquinamento del polo petrolchimico che avvelena il quadrilatero industriale Siracusa – Augusta – Priolo – Melilli, per questa ed altre accuse, scagliate anche a mezzo manifesti e con eco su giornali e siti web locali, ha sporto querela ed alcuni dei presunti diffamatori sono stati rinviati a giudizio.

Presumibilmente consigliato dal suo vicario, l’arcivescovo Lomanto, appena insediato in piena pandemia, forse prendendo per oro colato qualche “dossier” trovato già pronto sulla sua scrivania, non ha esitato a mettere l’arciprete Prisutto con le spalle al muro: se non ritiri entro dieci giorni la querela ti rimuovo e ti mando sotto processo davanti al tribunale ecclesiastico diocesano.

Quindi, il tribunale dello Stato adito da padre Prisutto potrebbe segnare un punto di verità, a favore o contro il querelante. Eppure – malgrado la sua araldica consacrazione alla verità – l’arcivescovo vieta, con un brutale aut-aut, che don Palmiro possa ottenere questa verità, pena la rimozione e il processo canonico. Perché?

In realtà l’arcidiocesi di Siracusa già nel recente passato aveva dovuto piegarsi alle conseguenze di una sentenza del tribunale penale, quella contro l’ex arciprete di Augusta, già condannato in via definitiva a 5 anni e tre mesi, cui non solo è stato evitato il carcere, ma anche il relativo procedimento canonico oggi previsto dalla riforma voluta da papa Francesco. Addirittura l’ex vescovo Pappalardo, assieme al vicario generale, ad altri sacerdoti e ai governatori di alcune confraternite, a riprova della benevolenza per quel prelato traditore della sua missione pastorale, sfidando l’indignazione generale dei fedeli, ha preso parte alla solenne celebrazione per i 50 anni di sacerdozio dell’ex arciprete, mentre questi era già sotto processo penale.

Ora, nel processo a suo carico, l’ex arciprete aveva chiamato a testimoniare in tribunale, a sua difesa, alcuni membri delle confraternite di Augusta, da lui stesso, col sostanziale consenso della curia, rese potenti ed arbitre dell’intera vita ecclesiale della cittadina.

Per singolare caso, le stesse persone che testimoniarono in tribunale nel tentativo, vano, di difendere l’ex arciprete, sono proprio quelle che don Prisutto ha ritenuto necessario querelare e che sono state rinviate a giudizio, quel giudizio che il vescovo Lomanto vuole evitare costi quel che costi (al suo parroco, poco tradizionalista e molto ambientalista).

Il vescovo esclude che il suo atteggiamento nei confronti di padre Prisutto abbia qualcosa a che vedere con l’impegno dell’arciprete contro l’inquinamento provocato dalle industrie del polo petrolchimico. Versione della quale noi abbiamo molti motivi per dubitare, sui quali ci soffermeremo in un prossimo servizio.

Giova, qui, soffermarci sulla querela sporta da don Palmiro nel 2016 contro il governatore ed il consiglio di amministrazione della confraternita di San Giuseppe, che avevano accusato l’arciprete di aver affittato illegalmente e a loro insaputa un terreno agricolo di cui loro erano “ignari” possessori, venendo poi, “fortuitamente”, a scoprire un testamento che, a loro parere, era stato tenuto deliberatamente nascosto. L’arciprete Prisutto contesta loro di avere messo in atto mediante stampa e testate on-line (con articoli successivamente oscurati dall’intervento della Procura della Repubblica di Siracusa) una campagna tesa a screditarlo presso l’opinione pubblica, facendolo apparire come colui il quale, con comportamenti subdoli e maldestri, aveva leso i diritti delle confraternite e si era voluto appropriare dei soldi dell’affitto.

In merito, si dà il caso che gli atti notarili siano, appunto, atti pubblici. Abbiamo perciò avuto modo di prendere visione di una copia conforme dell’ultimo testamento olografo del Sig. Saraceno Francesco, datato 1944, dal quale emerge con sufficiente chiarezza che l’arciprete Prisutto ha operato esercitando un suo pieno e legittimo diritto in quanto, proprio sulla base di quel testamento, nella qualità di arciprete pro tempore, era esecutore testamentario ed amministratore del bene lasciato in eredità alla chiesa di san Giuseppe e non alla confraternita.

Il procedimento penale scaturito dalla querela va avanti – nel prossimo mese di ottobre dovrebbero essere sentiti i testimoni, fra i quali anche l’ex arcivescovo di Siracusa Mons. Salvatore Pappalardo ed il vicario generale Sebastiano Amenta, il cui esame è stato chiesto dalla difesa degli imputati – si sono già svolte diverse udienze, nell’ultima delle quali è stato sentito l’ufficiale di polizia giudiziaria che ha condotto le indagini. Dal suo interrogatorio sono emerse determinate responsabilità circa la diffusione del testo utilizzato come traccia per la stesura degli articoli che il querelante definisce diffamatori. Tra l’altro nel processo è venuta alla luce una strana storia riguardante una voltura degli atti catastali. Infatti, eseguite le varie visure, sembra sia stata stata fatta sparire la persona dell’Arciprete, sostituita (ad arte?) dalla dizione “confraternita di San Giuseppe”, della quale, nel testamento, non si fa alcuna menzione.

Dal 2015 al 2016 l’arciprete Prisutto, per un anno e mezzo, dopo aver subito pesanti attacchi personali sulla stampa e sui siti web, si rivolse ripetutamente al vescovo del tempo per chiedergli di intervenire, ricevendo per tutta risposta l’intimazione a presentare le sue dimissioni. E solo a questo punto trovò il coraggio di sporgere querela.

L’atteggiamento del vescovo Pappalardo non fu quello di tutelare don Prisutto, il sacerdote messo da lui a capo della chiesa madre di Augusta per riparare l’immagine della chiesa di Augusta, gravemente ferita dallo scandalo sessuale provocato dall’arciprete precedente. Al contrario don Palmiro è stato incredibilmente isolato e vessato per costringerlo alle dimissioni. Egli si ritiene vittima di una macchinazione e, a quel che ci risulta, non intende piegarsi.

C’è da chiedersi quale sia il vero motivo per cui si vogliono imporre con tanta forza ed insistenza le dimissioni dell’arciprete Prisutto. Si tratta di questioni che attengono l’attività pastorale di don Palmiro oppure c’è qualcos’altro, qualche interesse che l’arciprete, magari inavvertitamente, ha finito per toccare?

Restiamo in attesa degli sviluppi, ma sul possibile, ipotetico intreccio di interessi che si muovono dietro le quinte di una vicenda molto più complessa di quel che sembra, proveremo a ragguagliare i nostri lettori. (2. Continua)