Il Parlamento europeo ha dato il suo via libera definitivo alla riforma del Patto di stabilità e crescita. Uno dei voti più importanti di questa legislatura, espresso nell’ultima riunione plenaria di questo mandato. I partiti italiani, però, in un’anomala unitarietà si sono astenuti. Esclusa la delegazione del Movimento 5 stelle che ha optato per una netta contrarietà. I partiti di maggioranza – arrivati con la responsabilità di aver negoziato e accettato questo Patto al Consiglio – non hanno votato a favore “perchè permangono molti punti di criticità”. Il Pd si è astenuto “per non approvare un Patto negoziato dal Governo Meloni”. Nonostante l’abbia proposto il commissario europeo all’Economia, Paolo Gentiloni. La spiegazione – fornita dalla segretaria nazionale Elly Schlein le scorse settimane – è che questo non è il Patto presentato dalla Commissione, è stato pesantemente modificato dagli Stati sul tavolo del Consiglio. “Immagino ci siano ragioni di politica interna”, ha risposto Gentiloni ai giornalisti che gli facevano domande in merito. “Abbiamo unito la politica italiana”, ha ironizzato riferendosi proprio al fatto che nessuna delegazione abbia votato a favore. Il Patto dovrà ora essere vidimato per entrare in vigore con un voto dal Consiglio, in programma per la riunione del Consiglio il 29 aprile. Toccherà ai ministri degli agricoltura. La linea dell’ex premier è pragmatica. “Non è perfetto e non risolve tutti i problemi ma è un buon compromesso che permetterà all’Ue di prepararsi meglio e affrontare le sfide economiche con rinnovata fiducia”. Detto ciò, il 19 giugno saranno presentate le decisioni sulle procedure d’infrazioni per deficit eccessivo. E riguarderanno quasi certamente undici Paesi, tra cui l’Italia, che – dato di ieri – si presenta con un deficit record per il 2023 al 7,4%. “Il piano di rientro non sarà facile ma con le regole nuove è sicuramente più compatibile rispetto a quelle vecchie”, ha evidenziato Gentiloni.
In estrema sintesi, la riforma della Governance economica – approvata dalla plenaria con 367 voti a favore, 161 contrari e 69 astenuti – mantiene i parametri di Maastricht che fissano le soglie del deficit al 3% del Pil e del debito al 60%. I Paesi con un debito superiore al 90% del Pil saranno chiamati a ridurlo di un punto percentuale ogni anno; quelli con un debito compreso tra il 60 e il 90% dovranno ridurlo dello 0,5%. Per quanto riguarda il deficit, gli Stati membri dovranno lasciare inoltre un cuscinetto fiscale pari all’1,5% del Pil al di sotto della soglia obbligatoria del 3%. I Paesi in procedura d’infrazione per deficit ecessivo (sopra il 3%) saranno tenuti a piani di rientro annui dello 0,5%, sempre del deficit. Gli altri dovranno comunque arrivare all’1,5% con un aggiustamento annuale che dovrebbe essere pari allo 0,4% del Pil (in caso di piani di rientro da quattro anni), che potrebbe essere ridotto allo 0,25% del Pil (nei piani di rientro da 7 anni). Le nuove disposizioni sono meno restrittive dell’attuale requisito secondo cui ogni Paese dovrebbe ridurre il debito ogni anno di un ventesimo (5%) dell’eccesso superiore al 60%. Ai governi sarà consentito deviare dal percorso di spesa netta dello 0,3% del Pil su base annua e dello 0,6% del Pil cumulativamente durante il periodo di monitoraggio.
Tutti i Paesi consegneranno i piani a medio termine entro il 30 settembre che delineeranno i loro obiettivi di spesa e le modalità con cui verranno intrapresi gli investimenti e le riforme.
Per il Movimento 5 stelle “è un cappio attorno ai cittadini italiani”. Per i Verdi europei “è una camicia di forza agli Stati membri”. (AGI)
RED