“Non possiamo riportare in vita i morti, ma rimetteremo tutto a posto”. Queste le parole con cui il presidente turco Recep Tayyip Erdogan si e’ rivolto alla folla che lo ha accolto nella regione di Hatay, dove si e’ recato per consegnare le prime case ai terremotati, finite in tempo rispetto al primo anniversario del devastante terremoto che ha colpito il sud della Turchia il 6 febbraio scorso. Una tragedia di proporzioni enormi. La prima scossa, di grado 7.8 alle 4:17 del mattino e’ costata la vita a 53 mila persone, ne ha ferite e mutilate 107 mila e distrutto 680 mila case in un’area pari all’estensione di un Paese come l’Ungheria. Una ferita destinata a durare anni in un territorio abitato da 14 milioni di persone. Erdogan fu investito da un’ondata di polemiche nei primi giorni dopo il sisma. Il governo turco fu accusato di lentezza nell’intervento in soccorso della popolazione, ma anche di non aver schierato immediatamente l’esercito a sostegno dei civili colpiti dal sisma e stritolati dalla morsa del freddo che caratterizzo’ quei tragici giorni. La reazione poco tempestiva del governo turco non ha tuttavia fermato Erdogan e la macchina umanitaria della Turchia, da sempre ben funzionante, entro’ in azione per garantire ai civili cibo, assistenza sanitaria, tende e container sin dai primissimi giorni dopo il disastro. Una gestione errata dell’emergenza sarebbe potuta costare cara al presidente, atteso da cruciali elezioni previste appena 3 mesi dopo in cui non si presentava da favorito. Al contrario la vicinanza mostrata alla popolazione, cosi’ come le visite nell’area, hanno portato a un’affermazione netta del presidente turco in quasi tutte le 11 province colpite dal sisma. Erdogan promise che tutto sarebbe stato ricostruito “in un anno”. Una promessa impossibile da mantenere, considerata la portata della devastazione, tuttavia a distanza di un anno e’ impressionante vedere la quantita’ di costruzioni realizzate dal governo turco e ora quasi pronte ad essere consegnate a chi in quel tragico 6 febbraio 2023 ha perso la casa e i propri cari, ma ha ancora la fortuna di essere in vita.
Le prime case sono state consegnate ad Hatay e a Gaziantep, tuttavia il governo ha aperto i sorteggi per assegnare 75 mila abitazioni nei prossimi due mesi, 200 mila nel corso del 2024. Gare d’appalto per la costruzione di altre 100 mila abitazioni sono gia’ partiti. “Queste case sono state costruite in due mesi, fanno parte di un complesso di 1689 appartenenti, diviso in due blocchi. Se si conta un terzo blocco i costruzione si arriva a 3 mila appartamenti”, spiega ad Agi Ipek Atay, una giovane ingegnera nata e cresciuta ad Adiyaman, parte di un team di tre donne di eta’ compresa tra i 30 e i 36 anni.
“Siamo nate e cresciute in questa citta’, tutte abbiamo perso qualcuno, ora poter contribuire alla ricostruzione e’ la soddisfazione piu’ grande e’ come rinascere”, spiega ad Agi. Sorteggi riservati a proprietari che hanno perso la casa un anno fa, ma effettuati senza distinzione etnica tra turchi, curdi e siriani. L’area colpita e’ infatti largamente abitata da curdi, ma anche da profughi della guerra in Siria. “Per noi riposare e’ vietato fino a quando le nostre citta’ non si rimetteranno in piedi. Dalle infrastrutture alle citta’, fino ai villaggi. Vi restituiremo tutto”, ha detto Erdogan alla vigilia del primo anniversario, durante la cerimonia per l’inaugurazione di un nuovo ospedale nella provincia di Hatay. “Lo avevamo promesso? Eccolo qua”, indica con il dito arringando la folla che lo applaude. Costruito in due mesi, il nuovo ospedale ha una superficie di 50 mila metri quadrati, 300 posti letto, 45 cliniche e 11 sale operatorie. Dopo Hatay e Gaziantep il presidente turco e’ atteso negli altri luoghi del disastro: Kahramanmaras, l’epicentro, poi Sanliurfa, Adiyaman ed Elazig. Un tour per dare il via alla consegna delle nuove abitazioni. Sono infatti diverse migliaia le nuove case che saranno consegnate in questi giorni ed Erdogan sprizza orgoglio da tutti i porti quando afferma che “nessuno in Europa o negli Usa avrebbe superato l’impatto di un disastro di questa portata”. Parole che toccano le corde di una popolazione ferita, ma che ha mostrato orgoglio e resilienza, cui seguono applausi scroscianti, Un disastro che continua a mostrare tutte le sue cicatrici. Eliminate le tendopoli messe in piedi nella prima fase, l’intera regione e’ ora disseminata di ben 215 mila container divisi in 414 agglomerati dove vivono attualmente 691 mila sopravvissuti, la cui vita va ricostruita cosi’ come gli edifici dell’area. Al momento la priorita’ del governo e’ stata data all’edilizia, i risultati sono impressionanti e sono state fornite numerose garanzie sul rispetto degli standard antisismici. Tuttavia la strada per rimarginare le ferite e’ ancora lunga. “Mio figlio si sveglia ogni notte piangendo. Per mesi si e’ rifiutato di dormire per paura del terremoto e ora a scuola ha disturbi dell’attenzione” racconta ad Agi la signora Kadriye Isık, che con i tre figli e il marito vive in un container nella citta’ di Adiyaman, la seconda piu’ colpita dal sisma. “La nostra casa e’ stata classificata come leggermente danneggiata, ci hanno detto che possiamo dormirci dentro ma non ci fidiamo e preferiamo il container. In quella casa ne’ io ne’ mia moglie vogliamo tornarci piu'”, spiega ad Agi Asim Uzun, che tramite un legale ha avviato un procedimento per far riconoscere la propria casa come inagibile e avere diritto a partecipare al sorteggio per l’assegnazione delle nuove case. “Quella notte ho perso mia figlia di 7 anni, per cercare di salvarla un pezzo di soffitto mi ha colpito in tesa e ora non posso aprire un occhio e non posso lavorare”, racconta Mohamed Albay ad Agi.
“Facevo il tornitore e la casa non era la nostra, eravamo in affitto. Ho perso mia figlia, non posso lavorare e non ho diritto al sorteggio per le nuove case. Chi ci aiutera’? Abbiamo il container, ma vogliamo delle risposte”. “Ho tre figli, mio marito e’ morto. Lo Stato mi da i pannolini e le medicine, ma no riesco a comprare i libri per la piu’ grande che e’ in prima elementare. Ho chiesto aiuto, ma sto ancora aspettando”, racconta Sevdanur dal campo di Malatya. Risposte che tardano ad arrivare, anche perche’ le scuole hanno ripreso a funzionare, anche nei container, ma molti programmi di sostegno psicologico e sociale non sono ancora partiti o vanno a rilento. A Erdogan va riconosciuto il merito di aver portato a termine una fetta enorme della sfida della ricostruzione. L’edilizia e’ da sempre uno dei pilastri del potere del presidente turco. E’ tuttavia innegabile come il 6 febbraio 2023 abbia innescato una catena di emergenze destinata a durare anni e non risolvibile solo attraverso il cemento armato e il rispetto di parametri antisismici. Alle ferite delle citta’ si sommano le ferite della gente. Una popolazione sconvolta presso cui e’ impossibile trovare qualcuno che non abbia sepolto un parente, un amico o non si sia trovato a cercare le parole con cui spiegare quanto avvenuto ai propri figli. Ridare una casa ai terremotati non puo’ che essere un primo passo per curare la ferita aperta un anno fa. Erdogan e’ atteso da altri 4 anni e mezzo di governo e stara’ a lui garantire sostegno psicologico e servizi sociali alle famiglie e ai minori i cui traumi sono ancora vivi. Ferite per curare le quali una nuova casa non e’ sufficiente. Alla Turchia si chiede un salto di qualita’. Erdogan ha piu’ volte affermato che il sisma e’ stato l’occasione “per ricostruire meglio e in modo piu’ sicuro” e con il lavoro svolto il problema abitazioni e’ destinato a essere in gran parte risolto nei prossimi due anni. Stara’ al presidente turco cogliere l’occasione per far fare al proprio Paese un salto di qualita’dal punto di vista assistenziale. Dopo le fratture nei muri, si presenta infatti dinanzi a Erdogan la sfida delle fratture psicologiche con cui questa gente e’ costretta a convivere dal 6 febbraio 2023, una data che ha cambiato per sempre la storia del