AGI – Fa la lista nera dei nemici del partito, non arretra di un millimetro sulle elezioni truccate. Attacca l’avversario come un ariete, promette la remuntada nel voto del 2022 e la conquista della Casa Bianca per il Grand Old Party nel 2024 (“Mi chiedo chi ci andrà”). Non scende ufficialmente in campo, ma nel partito repubblicano resta l’unico giocatore in grado di vincere ancora. L’aria che tira è tutta riassunta nel sondaggio fatto dagli elettori conservatori presenti a Orlando alla convention Cpac: la stragrande maggioranza sta con lui, e in fondo è una non notizia.
La notizia, invece, è Trump in grande spolvero, tutt’altro che disposto a sotterrare l’ascia di guerra, disposto a lasciare libero il campo a una nuova leadership, perché ha davanti due opzioni: o il candidato alle elezioni del 2024 è lui o lo sceglierà lui. È la dura legge del consenso, e ancora una volta la prova della piazza (materiale e virtuale) premia Trump. Lo ha ricordato lui stesso quando ha snocciolato i 75 milioni di voti “conquistati dall’incumbent”.
Non ha mai concesso davvero la vittoria a Joe Biden, impensabile che lo facesse nella “sua” Florida. Dunque: “Le elezioni sono truccate”, e naturalmente “ho vinto io”, con urgenza “bisogna riscrivere le leggi elettorali e proteggere il voto perché i dem hanno usato la scusa del Covid per cambiare le regole in corsa” e “la Corte Suprema” é stata codarda.
E’ sempre Trump, sempre sotto e sopra le righe. Non lo nasconde, rivendica il suo essere politicamente scorretto (“Oh sentirete molto altro ancora”) quando parla della difesa dei record delle donne nello sport minacciati dalla presenza dei transgender, con il benestare di Joe Biden.
Trump tocca tutti i tasti ideali dei conservatori americani, è una cosa che sa fare bene, è la leadership che si esprime nel suo terreno ideale, fa orrore ai democratici, ma questo non sposta di una virgola il copione: folla, applausi, “we love you” e la playlist dei MAGA rally con il siparietto finale sulle note “YMCA”.
Sopra e sotto, c’è la battaglia per le elezioni di medio termine che è già iniziata. L’avviso a Biden è che le speranze di dividere i repubblicani sono minime, l’avvertimento agli avversari interni è che la loro rielezione passa per il detto e non detto di The Donald. Quando fa l’elenco dei nemici del Gop, scandisce i nomi con precisione chirurgica, li accusa di tradimento, di intelligenza con il nemico democratico (“bisogna liberarsene”). Sei con me e sei eletto, sei contro di me e vai a casa (“Il mio endorsement è un potente strumento politico”).
Tutto il resto è la Santa Barbara del trumpismo: il Green New Deal della sinistra “è ridicolo”, i prezzi della benzina “saliranno alle stelle”, “America First diventa America Last”, l’apertura delle frontiere favorirà il terrorismo, il futuro dei giovani “è stato venduto al sindacato degli insegnanti”. Pizzica le corde del Gop sull’amore per l’America e per la bandiera, sulla lotta contro il monopolio del Big Tech e contro la censura delle voci repubblicane, la difesa del Secondo emendamento, il diritto a portare armi.
Il primo mese di Biden nel racconto di Trump è un’impresa da guinness dei fiaschi politici (“Il più disastroso della storia”). Trump, naturalmente, ha l’iperbole incorporata nel ciuffo più giallo che biondo, ma proprio per questo da non sottovalutare. Il suo più grande avversario tra i democratici, il governatore di New York Chris Cuomo, è in difficolta, è rimasto impigliato nelle accuse di sessismo al punto da fare una dichiarazione di scuse proprio durante lo show di Trump, il sindaco di New York Bill De Blasio è contestato dai circoli dem della Grande Mela per la gestione dei lockdown, Chuck Schumer ha una leadership traballante.
Resta salda la navigatissima Nancy Pelosi, ma il gruppo progressista è a dir poco effervescente e ha chiesto alla Casa Bianca spiegazioni sul bombardamento del Pentagono in Siria. L’amministrazione Biden può vantare una campagna di vaccinazione galoppante, ma anche qui Trump sfodera le frecce per il suo arco: “Ho investito miliardi nei vaccini, con quello di Johnson & Johnson ne abbiamo tre e la produzione è merito mio”, Biden “sta solo attuando il mio piano”.
Segnali dal futuro? Intanto l’emersione ormai chiara dell’italo americano Ron DeSantis, come nuova star dei repubblicani, il governatore della Florida ha tenuto botta durante il Covid, non ha chiuso, con il lockdown duro le attività economiche, ha applicato una ricetta fatta di conservatorismo e pragmatismo, e oggi appare il numero due dopo Trump nel Gop. Tutto questo a molti fa pensare a un ticket Trump-DeSantis per il 2024, e forse dopo la performance di Trump a Orlando non è un’ipotesi non troppo lontana dalla realtà.
Entrambi vengono dal Sunshine State, sono aperturisti, contro l’establishment washingtoniano del partito, amati dalla base che ha in Rush Limbaugh (il conduttore radiofonico scomparso qualche giorno fa) un suo riferimento culturale. Altri bagliori dal domani? Una manovra chiara di Trump per assicurarsi il controllo totale del Gop: “Non farò un nuovo partito, è fake news. C’è il Gop, sarà unito e più forte che mai”.
Il solco è già tracciato: elezioni nel 2022 e poi, nel caso di un ribaltone alla Camera e al Senato, la strambata di nuovo verso la Casa Bianca tra quattro anni. Le primarie? Per ora sono una formalità. In fondo, il nuovo inizio dei repubblicani ha un titolo, la frase con cui Trump ha aperto il suo primo discorso da ex presidente: “Vi sono mancato?”.
Source: agi