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Trentasei anni fa l’assassinio politico di Olof Palme

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Il Socialismo Democratico europeo non ha più avuto personalità come Olof Palme, Willy Brandt, François Mitterand. La loro mancanza pesa come un macigno non solo nel campo della sinistra ma su tutta la recente storia dell’Europa

di Loan

“È con orgoglio e con gioia che sono un socialista democratico. Lo sono diventato quando in India ho visto il contrasto tra una spaventosa miseria e l’incredibile ricchezza di pochi; quando negli Stati Uniti ho visto una povertà per certi versi ancora più infamante; quando da giovane mi sono trovato faccia a faccia con l’illibertà, la repressione e le persecuzioni nei paesi comunisti. E quando ho visitato i campi di concentramento nazisti e ho visto l’elenco dei socialdemocratici e dei sindacalisti condannati a morte”.

Sono parole pronunciate nell’ottobre 1969 da Olof Palme, leader socialdemocratico e primo ministro svedese, vicepresidente dell’Internazionale Socialista, davanti al congresso del suo partito.

Ventisei anni fa, la sera del 28 febbraio 1986, il premier svedese e la moglie Lisbeth, usciti dal cinema Grand, nella Sveavägen, via in pieno centro di Stoccolma, dopo aver visto il film I fratelli Mozart, poco dopo le 23 si avviano a piedi verso la metropolitana per rientrare a casa. A un tratto, nell’aria fredda del rigido inverno svedese risuona un grido all’indirizzo del primo ministro, che si volta di scatto, un uomo sconosciuto gli spara a bruciapelo alcuni colpi di pistola. Olof Palme si accascia, ferito a morte, sul selciato Olof Palme, la moglie resta ferita di striscio, l’assassino si allontana indisturbato prima che arrivino i primi soccorsi.

Le indagini della procura di Stoccolma, dopo aver seguito altre piste per anni, portano ad identificare l’assassino in un oscuro militante di destra di nome Stig Engström, consulente assicurativo, alcolizzato, che avrebbe agito da solo, forse con premeditazione, forse no. Engström avrebbe scaricato la sua arma sul premier per odio verso le sue politiche progressiste.

Negli anni successivi queste conclusioni delle indagini sono state messe in dubbio da alcune inchieste giornalistiche,  ma il suicidio di Stig Engström, morto nel 2000 all’età di 66 anni, ha reso impossibile la formalizzazione dell’accusa nei suoi confronti.

Tra le tante dietrologie sull’omicidio di Palme una delle ipotesi più insistenti ha fatto riferimento agli ambienti razzisti del Sudafrica che puntavano a contrastare la politica antiapartheid della Svezia e la candidatura del leader socialdemocratico alla segreteria generale dell’Onu, ipotesi malvista dagli USA che non avevano gradito la forte opposizione di Palme alla guerra in Vietnam. Non è mancata neppure una ricostruzione che portava alla P2 italiana di Licio Gelli.

Resta in ogni caso un unico dato certo: che quello di Olof Palme è stato un assassinio politico. Il leader socialdemocratico, era impegnato a fondo contro il riarmo europeo e l’installazione dei missili Pershing e Cruise da parte degli Stati Uniti di Ronald Reagan, sulla scia della Ostpolitik di Willy Brandt egli credeva nella riapertura del dialogo con la Russia, si era anche proposto come mediatore nella guerra Iran-Iraq. La sua politica del “neutralismo attivo” aveva ricevuto ampi consensi ma gli aveva procurato anche molti nemici, in patria e fuori.

Il partito socialdemocratico svedese, sotto la guida sicura di Palme, puntava alla costruzione di un modello socialista fondato sulla cogestione delle imprese, sulla redistribuzione della ricchezza, sul rigore della tassazione, su un ampio programma di investimenti pubblici nel welfare. Il “Piano Meidner”, elaborato negli anni Ottanta dall’economista Rudolf Meidner, programmava una sempre maggiore partecipazione dei lavoratori nella gestione dell’economia.

L’omicidio di Palme segnò se non proprio la fine, il drastico ridimensionamento negli anni successivi del modello socialista svedese. A succedergli nella guida del Partito socialdemocratico e del governo fu Ingvar Carlsson, figura che non poteva avere il medesimo carisma.

Il Socialismo Democratico europeo non ha più avuto personalità come Olof Palme, Willy Brandt, François Mitterand. La loro mancanza pesa come un macigno non solo nel campo socialista ma su tutta la recente storia dell’Europa. Per ritrovare una strada sicura nella temperie che attraversa il nostro continente, serve oggi un nuovo gruppo dirigente, una guida morale, soprattutto riannodare il filo di un’idea antica con le reti di cablaggio di un futuro che sembra oggi nelle mani del capitalismo più hard e più spietato.

“Io sono un socialdemocratico svedese, un socialista democratico europeo – sono ancora le parole di Olof Palme – noi ci pensiamo come un movimento di liberazione. Il socialismo democratico è infatti un movimento di liberazione dell’uomo. La storia europea di questo secolo si è incaricata di dimostrare che il movimento riformista dei lavoratori ha avuto nemici sia nelle dittature di destra che in quelle di sinistra. La nostra tradizione ci ha aiutato a giocare un ruolo fondamentale nella ricostruzione democratica del continente europeo. La nostra identità si è sviluppata su tre temi: lavoro, giustizia sociale, pace. Noi abbiamo sempre cercato di offrire a tutti i cittadini sicurezza e eguaglianza di fronte agli imprevisti della vita. Come socialdemocratici, non abbiamo la pretesa di disegnare la società perfetta del futuro. Quello per cui lavorano i socialdemocratici è semplicemente una società che dia a ognuno l’opportunità di realizzare i propri progetti di vita”.