Di FERRUCCIO DE BORTOLI
Le elezioni si avvicinano e sarebbe importante dedicare tempo e spazio alle competenze tecniche reali di chi andrà a rappresentare il Paese. L’unione sarà chiamata a rinnovare la Politica agricola comunitaria (Pac), il capitolo di maggiore spesa comune (escluso il Next generation Eu) che è anche tra i più cruciali per la transizioni energetica. Parliamo di 380 miliardi in sette anni: di questi al momento 52 vanno all’italia Sul tavolo del prossimo Parlamento Ue la questione delle etichette alimentari
Completate le liste dei candidati al Parlamento europeo, sarebbe vitale che la campagna elettorale si svolgesse anche sui grandi temi economici della prossima legislatura. Non solo sui diritti (sacrosanti), sulla guerra (che non finisce, purtroppo, con il voto europeo anche se qualcuno lo lascia credere), o sull’europa vista solo come il riflesso delle più modeste diatribe nazionali. Non dobbiamo mai dimenticare che il 70 per cento della legislazione nazionale è di derivazione europea. Il nostro futuro si decide più a Strasburgo che nel Parlamento italiano.
Il dibattito, da qui al 9 giugno, avrà come protagonisti i leader di partito, com’è naturale che sia. Molti di loro otterranno migliaia di preferenze che il giorno dopo finiranno in un cestino perché utili solo a trainare le liste in un confronto politico dai toni e dalle finalità domestiche. Se ci concentrassimo davvero sull’interesse nazionale — al di là degli slogan e dei discorsi di maniera — dovremmo a questo punto augurarci che un po’ di attenzione sia riservata anche a quei candidati che nei vari schieramenti hanno competenza ed esperienza sulle materie più delicate.
Eche siano proprio questi concorrenti alla fine, ad essere eletti, al netto delle rinunce e delle opzioni. Altrimenti rischiamo di avere un esercito di comparse, seppur lautamente retribuite. Prendiamo, per esempio, la sfida green. Con questa definizione, assai generica, vorremmo concentrarci solo, in questo articolo, su quello che oggi è il principale settore manifatturiero europeo. Ovvero l’agricoltura e l’industria ad essa collegata. Il più esposto alla transizione energetica. Siamo convinti che si possa trovare un ragionevole compromesso, una sorta di «alleanza virtuosa», tra le indiscutibili e non più rinviabili ragioni della decarbonizzazione e le attese dei settori coinvolti senza il consenso dei quali la transizione si interrompe. Com’è accaduto dopo la rivolta dei trattori, in parte già dimenticata.
Le idee
Si deve anche e soprattutto a Paolo de Castro, ex ministro delle Politiche agricole con i governi D’alema e Prodi, la soluzione di compromesso che ha placato gli animi (l’eliminazione del vincolo del 4% dei terreni a riposo, la garanzia sulla libertà di coltura e altre misure). De Castro, europarlamentare da tre legislature, è stato considerato, bipartisan, tra i
deputati più influenti dell’emiciclo. A destra come a sinistra. Più all’estero che in Italia. E, infatti, il Pd non lo ha ripresentato. «La prossima legislatura europea — spiega de Castro — sarà importante, se non decisiva, su molti aspetti. Per prima cosa -—e mi sorprende che non sia oggetto di alcun confronto in campagna elettorale — l’unione europea sarà chiamata a rinnovare la Politica agricola comunitaria (Pac) che rappresenta il capitolo di maggiore spesa comune, se escludiamo il Next generation Eu. Stiamo parlando di 380 miliardi in sette anni. E vi ricordo che, di questi, 52 vanno attualmente all’italia. L’unione esporta, nella filiera agroalimentare, per 200 miliardi, di cui 63 dell’italia. Una cifra enorme se ci pensiamo. Oltre alla nuova Pac, verranno discusse tutte le nuove norme sulle informazioni ai consumatori, sulle etichettature. Immaginate, solo per un attimo, che cosa significhi per i prodotti italiani, dai prosciutti ai formaggi, se venissero segnalati, nel cosiddetto Nutriscore, con il “rosso”. Ma potremmo parlare anche della revisione della direttiva sulle pratiche sleali, sulla distribuzione, e via di seguito». De Castro si augura che vi siano candidati, e soprattutto eletti, all’altezza della complessità delle sfide.
Non si può fare pratica a Strasburgo. Il tempo necessario ad aggiornarsi sui dossier scorre tutto a favore dei rappresentanti, più ferrati, di altri Paesi che in diverse circostanze prevedono un passaggio di consegne molto prima del ricambio degli eletti. Proprio perché prevale l’interesse nazionale.
Ciò che conta di più, però, è far luce sul sentiero impervio della transizione energetica. Perché se il settore agroalimentare — lasciamo per un attimo fuori l’industria dell’auto e altre attività sulle quali l’impatto sarà ugualmente rilevante — vive il Green Deal, com’è accaduto nei mesi scorsi, alla stregua di una politica punitiva — non si va da nessuna parte.
Gli obiettivi
«Dobbiamo mirare tutti all’obiettivo della decarbonizzazione — continua de Castro — avendo cura di valutare e affrontare i costi per raggiungerlo. Senza illuderci che non ci siano. L’errore politico che è stato compiuto, non tanto dall’estremismo verde di Frans Timmermans, quando era vicepresidente della Commissione europea e responsabile del Green Deal, quanto soprattutto dalle scelte del responsabile dell’agricoltura, il polacco Janusz Wojciechowski, un giudice, brava persona, ma non un esperto. Una tempesta perfetta. I produttori agricoli si sono sentiti imputati e si sono ribellati. Vanno invece resi protagonisti. Come stanno facendo, per esempio, gli Stati Uniti con il tanto temuto Inflation Reduction Act: non solo aiuti o incentivi, ma programmi per sviluppare insieme produzioni a minori emissioni o a genetica non Ogm. Nell’unione europea l’efficienza nella diminuzione dell’uso di principi attivi nelle colture o degli antibiotici per gli allevamenti, dimostra che si possono raggiungere obiettivi ambiziosi sul piano ambientale, salvaguardando la competitività delle aziende e l’originalità dei prodotti».
Ma vi è stato un passaggio ulteriore che ha contribuito ad allargare la frattura tra la filiera dei coltivatori e trasformatori e le istituzioni europee: l’esclusione dei prodotti agricoli dalle misure decise dopo l’invasione russa dell’ucraina. Con la conseguenza che le esportazioni di mais e altri prodotti ucraini, prima destinati a mercati extraeuropei, si sono fermati in Europa, abbattendo i prezzi all’origine per i nostri coltivatori. L’import di grano duro russo si è persino decuplicato. Solo recentemente, con l’istituzione di alcuni dazi, il fenomeno è stato arginato. «Devo constatare con una certa amarezza — conclude de Castro — che non solo la sinistra italiana, ma in generale quella europea hanno smesso di rappresentare questo mondo, abbracciando in numerosi casi le posizioni ecologiste più estreme». Un grande esperto in lista, e di pressoché sicura rielezione, è invece Herbert Dorfmann, della Südtiroler Volkspartei. Appartiene al gruppo dei Popolari europei. La sua analisi non si discosta molto da quella del socialista de Castro. «Il mondo dell’agricoltura e tutta la filiera dell’agroalimentare — sostiene Dorfmann — sono i più interessati alla lotta al cambiamento climatico. I campi non hanno tetti, si inondano e soffrono la siccità. Se i prodotti scarseggiano o sono di qualità inferiore all’attesa ne soffre l’industria di trasformazione. La mia Regione mi sembra che dimostri, e non è per fortuna la sola, quanto sia importante investire sulla sostenibilità e sulla decarbonizzazione. Ma le regole dobbiamo trovarle insieme oppure non riusciremo ad applicarle».
Fonte: Corriere el Mezzogiorno