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Trame politiche, bilancio, G20 e Cop26: un fine settimana cruciale

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di Antonello Longo
direttore@quotidianocontribuenti.com

Questo fine settimana è caratterizzato da eventi politici della massima importanza che riguardano il presente e il futuro del nostro Paese. Mi riferisco a quanto già avvenuto sul fronte della politica interna, in particolare la bocciatura al Senato del disegno di legge sull’omotransfobia già approvato in precedenza dalla Camera e l’approvazione in Consiglio dei ministri del disegno di legge di Bilancio. E mi riferisco poi a quanto sta avvenendo con la riunione del massimo vertice del G20 riunito a Roma e con l’apertura, da lunedì, della conferenza sul clima Cop26 a Glasgow.
Personalmente, non sono tra quelli che piangono per l’affossamento del ddl Zan, perché condivido le perplessità espresse da una parte consistente del mondo femminista sull’avere introdotto nel testo il concetto, di natura antropologica, della “identità di genere”, accostandolo alle sacrosante misure di rafforzamento delle norme contro le discriminazioni verso le persone LGBTQI+.
Le stesse comunità omosessuali e transessuali non sono concordi nel confondere l’identità di genere con l’identità transessuale. In effetti, l’identità transessuale ancora oggi costringe in modo ingiusto e discriminatorio numerose persone a vivere in una condizione di doloroso dramma esistenziale, pertanto è doveroso che, in uno Stato democratico, la legge intervenga con la tutela rafforzata di un diritto umano e civile.
L’identità di genere, come definita dal testo del ddl Zan (“identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione”) fa propria la teoria gender senza che questa sia maturata nella coscienza collettiva attraverso un processo culturale, un dibattito aperto, ampio, coinvolgente sulla problematica aperta dall’esistenza di varie e diverse identità.
Ora, la grande questione, culturale, morale, economica, civile, politica della della cultura patriarcale e della violenza di genere che ne deriva non può, non deve a mio avviso, essere confinata alla dimensione della salvaguardia dei diritti di una o più minoranze, perché le donne, al contrario, sono la maggioranza della popolazione nazionale e dell’Umanità intera ed è a questa realtà che le democrazie devono riferire nel loro complesso processi riformatori, legislazione, cultura, formazione e linguaggi.
È bene però avere chiaro – ed è per questo che inserisco il passaggio politico della bocciatura del ddl Zan fra gli eventi capaci di condizionare il futuro prossimo del Paese – che il voto del Senato non ha avuto niente a che vedere con le motivazioni cui ho accennato. Si è trattato invece del combinato disposto delle pulsioni omofobe e sessiste di una destra insofferente dell’avanzamento dei diritti civili e desiderosa di consolidare un terreno di scontro che ne rafforzi l’insediamento elettorale con le manovre di politica politicante che mettono insieme questa destra con pezzi del cosiddetto centrosinistra su un obiettivo duplice. Da un lato, come hanno giustamente sottolineato tutti gli osservatori, le prove generali di una possibile maggioranza per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Dall’altro lato, come pochi hanno colto, si è voluta dare una dimostrazione della possibilità di formare una maggioranza parlamentare favorevole ad una legge elettorale maggioritaria, che il centrodestra (ma non solo) concepisce come preparatoria di una svolta presidenzialista.
Protagonista di entrambi questi “avvertimenti” al centrosinistra ed a tutto il circo politico e mediatico italiano, è Matteo Renzi, determinato più che mai a sfruttare fino in fondo, con tutta la spregiudicatezza di cui è capace, il ruolo determinante della sua pattuglia di parlamentari (nominati quando era segretario del PD) per la formazione di maggioranze, di governo e su singole scelte, in questa legislatura.
In questo clima il premier Draghi ed il ministro Franco hanno illustrato i contenuti della nuova legge di bilancio approvata, con applauso finale, dal Consiglio dei ministri. Non entro nel merito delle singole misure (cosa che il nostro giornale farà, con attenzione e senza pregiudizi, durante l’iter parlamentare di approvazione), limitandomi a dire che, per esprimere un giudizio compiuto, occorre attendere l’annunciato maxi-emendamento con il quale il governo chiarirà come concretamente intende utilizzare le risorse ricavate nella manovra 2022 per l’alleggerimento del carico fiscale e per svolgere una funzione “espansiva” e trasformare il rimbalzo del PIL di quest’anno, che si attesterà su livelli superiori al 6%, in un processo strutturale di crescita economica.
Rispetto alle nuove spese per 23,4 miliardi di euro, capaci di mobilitare una trentina di miliardi complessivi, ciò che attira di più l’attenzione è la soluzione di compromesso per i punti più controversi delle pensioni e del reddito di cittadinanza. Quota 100 viene sostituita, dal 1° gennaio 2022, con Quota 102, che fa salire da 62 a 64 anni l’età minima per andare in pensione. Il reddito di cittadinanza viene rifinanziato con alcune correzioni per rendere più severi i controlli e limitare la fruizione del sostegno al reddito quando si rifiutano eventuali offerte di lavoro.
Tuttavia la parte maggiore delle risorse, 12 miliardi circa, che il governo ha deciso spendere nel 2022 sarà destinata alla riduzione della pressione fiscale. Sul come quest’obiettivo sarà materialmente raggiunto gli unici orientamenti che possiamo considerare definitivi sono quelli, anticipati nel DPB (Documento Programmatico di Bilancio) di agire su Ires e Irpef, il nuovo rinvio, al 2023, delle tasse sulla plastica monouso nella grande distribuzione (plastic tax) e sulle bevande zuccherate (sugar tax) ed anche la riduzione dal 22% al 10% dell’Iva sui prodotti assorbenti per l’igiene femminile. Il “Superbonus 110%”, agevolazione fiscale per le ristrutturazioni edilizie che migliorano l’efficienza energetica degli immobili, viene prorogato di un altro anno ma con modifiche (verrà riconosciuto anche ai proprietari di prime case monofamiliari, finora esclusi, con reddito ISEE fino a 25mila euro) e limitazioni (riservato solo ai condomìni e alle case popolari).
Infine, per la sanità, previsti solo 2 miliardi in più all’anno fino al 2024 per rifinanziare il Fondo Sanitario Nazionale, a fronte di 1,8 miliardi per comprare i vaccini e i medicinali contro il Covid.
Forse si poteva avere più coraggio in questa fase “espansiva” (nella quale cioè si può fare più debito) e la sensazione è che si stia avviando un processo di graduale spostamento delle risorse disponibili dalla spesa sociale al sostegno all’impresa ma, quanto pare, della grande impresa piuttosto alla massa delle medie, piccole e micro imprese di cui il pensiero dominate neoliberista ha decretato l’espulsione dal mercato, vedi il ridimensionamento del superbonus edilizio e, come lamentato ieri da Confedercontribuenti, la mancata presa in considerazione di ogni ipotesi di dilazione del pagamento delle imposte arretrate.
Il Sud, poi, resta fuori dai radar del governo e della politica nazionale, lo stesso Pnrr non è mirato a ridurre il gap territoriale e, nel silenzio-assenso generale, al bilancio resta collegato il progetto antimeridionale delle autonomie differenziate.
Sulla scorta della forte speranza per un rilancio dell’economia e di una grande inquietudine per una pandemia che non ferma il suo corso, i grandi della terra sono riuniti, in una Roma blindata, per discutere, e speriamo per prendere decisioni utili e coerenti, della risposta globale all’emergenza sanitaria e delle politiche comuni per avviare una ripresa economica imperniata sulla riconversione ecologica e digitale, senza che nessun paese venga lasciato indietro. E il summit romano dei capi di stato e di governo dei principali paesi industrializzati del mondo dovrà anche aprire la strada ad una conclusione costruttiva e, finalmente, concreta della conferenza Cop26 di Glasgow sul contrasto ai cambiamenti climatici.
Questi due grandi eventi di politica internazionale interessano direttamente, molto da vicino, il nostro Paese, non solo in quanto detentore della presidenza di turno sia del G20 che (assieme al Regno Unito) della Cop26 e per il ruolo centrale, di mediatore, attribuito, esagerando un po’, al nostro Presidente del Consiglio, ma soprattutto perché è vero che “nessuno si salva da solo” dalla pandemia mentre, per quanto riguarda la ripresa, il futuro delle generazioni future dipende dalla capacità del sistema economico globale di andare oltre una mera transizione dallo sfruttamento delle fonti fossili ad una green economy in mano agli stessi giganti energetici responsabili dell’inquinamento del pianeta. Ciò che serve è avviare con scelte decise e coraggiose un vera riconversione dei processi di produzione che diventi premessa per una più equa distribuzione della ricchezza prodotta.