La guerra commerciale tra Washington e Pechino va oltre i dazi imposti dall'amministrazione Trump. La Cina ha deciso di chiudere le porte a un numero crescente di rifiuti riciclabili provenienti dagli Stati Uniti e non intende più essere la pattumiera della potenza rivale. Così montagne di scarti di plastica e di cartone si stanno accumulando nelle discariche statunitensi.
Dal 1 gennaio 2018 sono entrate in vigore nuove norme ambientali stabilite da Pechino che introducono regole più severe sugli standard dei rifiuti riciclabili da importare, standard non rispettati dagli scarti Usa, troppo contaminati.
Ormai rimangono fuori dal gigante asiatico 24 categorie di rifiuti di cui alcuni di plastica, carta e tessile. Prima del giro di vite, la Cina acquistava il 50% dei rifiuti riciclabili degli Stati Uniti (e dell'Europa), pari a 16,2 milioni di tonnellate di carte e plastiche.
Secondo una ricerca pubblicata il mese scorso su 'Science Advances' dal 1992 ad oggi il 72% dei rifiuti di plastica sono finiti a Hong Kong e in Cina, dove sono stati ripuliti, macinati e ritrasformati in materie prime utilizzate dalle industrie locali.
Lo stop dalla potenza asiatica sta costringendo le discariche statunitensi ad assumere lavoratori incaricati di ripulire manualmente e differenziare con maggiore cura i rifiuti – distinguendo quelli riciclabili da quelli non riciclabili – operazione che prima veniva affidata a macchinari automatici.
Alla fine del processo carta, cartone e plastica vengono compattati in immensi cubi che prima gli Stati Uniti vendevano alla Cina mentre ora sono loro a dover pagare paesi terzi per liberarsi di quei rifiuti ingombranti ed inquinanti.
Le nuove norme saranno applicate anche su cartone e metallo e gli ispettori cinesi hanno stabilito un tasso di contaminazione dei rifiuti dell'0,5%, che gli Usa non riusciranno mai a rispettare. Pertanto secondo gli analisti entro il 2020 quasi tutte le categorie di rifiuti rimarranno fuori dalla Cina, con costi proibitivi, seri problemi logistici e ambientali per gli Stati Uniti.
In queste nuove condizioni il riciclaggio sta diventando un lusso persino per la potenza americana.
"Nessuno vuole dirlo ad alta voce. In alcune piccole città, ad esempio in Florida, la raccolta destinata al riciclaggio è già stata interrotta", ha detto all'Afp Bill Caesar, capo di WCA Waste Corporation di Houston, aggiungendo che diversi comuni stanno già rinegoziando i contratti di trattamento e smaltimento dei rifiuti. Ipotecati gli obiettivi ambiziosi di riciclaggio persino a Washington – dal 23 all'80% degli scarti domestici – che paga 75 dollari per riciclare une tonnellata contro 46 per bruciare i rifiuti e produrre elettricità.
"La Cina ha dato troppo poco tempo al settore – solo sei mesi – per adattarsi alle nuove norme", ha sottolineato Adina Renee Adler dell'Institute of Scrap Recycling Industries, grande federazione professionale del trattamento dei rifiuti. Gli altri paesi importatori, quali Indonesia, Vietnam e India, non sono in grado di assorbire le decine di milioni di tonnellate di cui la Cina ormai non si fa più carico. Un nuovo contesto che ha spinto alcune città Usa a lanciare campagne di educazione ambientale dei propri cittadini – a Seattle sono vietate le cannucce di plastica – ma potrebbero anche aumentare le tasse per coprire i costi aumentati del trattamento dei rifiuti.
Mentre l'amministrazione Trump si è disimpegnata dagli accordi sul clima, la Cina è diventata leader mondiale dell'energia solare, superando la Germania. Lo scorso anno Pechino ha varato un piano di investimenti di 360 miliardi di dollari da destinare alle energie rinnovabili entro il 2020. Tuttavia il gigante asiatico rimane il primo produttore e consumatore mondiale di rifiuti di plastica riciclabili ed è responsabile del 24% delle emissioni di CO2. Secondo alcuni studi scientifici un livello di inquinamento che non ha eguali, responsabile di 4 mila decessi prematuri al giorno.
Vedi: Tra Usa e Cina è anche guerra dei rifiuti
Fonte: estero agi