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Tornano difficili i rapporti tra Vaticano e Turchia

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AGI – Difficile immaginare che la decisione turca di restituire al culto islamico Santa Sofia a Istanbul restasse priva di conseguenze, nei rapporti con la Chiesa cattolica. Oggi Papa Francesco esprime il suo “profondo dolore” personale, a indicare la profondità della ferita inferta ad un dialogo ripreso da poco, dopo alti e bassi. Parole, quelle del Pontefice, che lasciano bene immaginare come la ricucitura sarà lenta e difficile, e probabilmente richiederà lunghi anni di paziente lavoro sotterraneo. A Santa Sofia Bergoglio si era fermato per una visita alla fine di novembre del 2014.

Quel giorno – il particolare è significativo – aveva scelto piuttosto la Moschea Blu per soffermarsi in adorazione a piedi scalzi davanti al mihrab, accanto al Gran Mufti’ di Istanbul Rahmi Yaran. Un gesto già compiuto anni prima da Ratzinger e con il quale si sottolineava, tra le altre cose, che il luogo di culto era quello, e non l’antica basilica bizantina. Museo, quest’ultima, era come tale era stata ammirata.

Oggi le cose cambiano, come è cambiata la destinazione di Aghia Sophia. Un papa che dà voce alla sua più profonda amarezza per la decisione di un governo straniero indica una cosa sola: quelle giornate sono ormai lontane, ed il futuro non sarà più come il passato. Eppure di alti e bassi le relazioni tra Santa Sede e governo di Erdogan ne hanno registrati molti. Se il viaggio del 2014 aveva registrato con una vera e propria apertura di credito da parte di Bergoglio, gli sviluppi successivi non erano stati altrettanto promettenti. Sull’aereo che lo portava ad Ankara, prima tappa di quella trasferta, il Pontefice aveva avuto modo di sottolineare l’accoglienza “generosa” di “una grande quantità di profughi” da parte della Turchia, precisando che “la comunità internazionale ha l’obbligo morale di aiutarla nel prendersi cura” di loro. Ruolo stabilizzatore nell’ambito di una catastrofe umanitaria di dimensioni bibliche, quello di Erdogan: la Siria ed i suoi profughi (in tanta parte cristiani) costituivano una vera e propria credenziale nelle mani di Ankara nei confronti dell’Europa e non solo.

La battuta d’arresto venne registrata pochi mesi dopo, quando Francesco divenne il primo papa a parlare apertamente, condannandolo, del genocidio degli armeni del 1915. Tema delicatissimo: la Turchia nega ancora che quei fatti siano definibili come tale, quanto semmai una politica di ricollocamento della popolazione armena all’interno dell’allora impero ottomano, e non accetta altre versioni. Invece, cent’anni dopo i fatti, Bergoglio disse esplicitamente: “La nostra umanità ha vissuto nel secolo scorso tre grandi tragedie inaudite: la prima, che generalmente viene considerata come il primo genocidio del XX secolo, ha colpito il popolo armeno, prima nazione cristiana”. Mettendo cosi’ gli armeni a fianco degli ebrei della Shoah. Reazione immediata di Erdogan: attacco personale al Papa (“ho cambiato la mia opinione su di lui come politico e come religioso”) e ritiro dell’ambasciatore presso la Santa Sede. Il diplomatico tornerà un anno dopo, in tempo per preparare una visita a Roma dello stesso Erdogan che regolarmente si svolge nel febbraio 2018.

L’accoglienza è amichevole, il clima definito caloroso come da prammatica, ma da parte vaticana si chiede rispetto e protezione per le minoranze cristiane in Turchia e nella regione” come anche rispetto per i curdi e cessazione immediata delle uccisioni in atto, soprattutto delle vittime civili e innocenti. Insomma, amici ma l’amicizia si basa sulla franchezza. Come anche su una serie di protocolli in cui le posizioni sono meno divergenti: profughi, Siria, Gerusalemme. Trump ha appena spostato l’ambasciata americana in Israele nella Città Santa, e la cosa non viene gradita nè da una parte, nè dall’altra. Come sempre, anche in questa visita i regali ebbero la loro simbologica importanza.

Cosi’ Erdogan si presentò da Bergoglio con una raccolta di scritti di un poeta turco dal nome evocativo, Rumi (che rimanda ai Romani, come i bizantini chiamavano se stessi) e il Papa contraccambiò con un medaglione raffigurante l’Angelo della Pace, forse ad indicare alla controparte il ruolo che sperava essa assumesse nella regione, e non solo. Quindi il Pontefice aggiunse una litografia seicentesca della allora erigenda Basilica di San Pietro, e se il pensiero di qualcuno magari corse a Santa Sofia, la risposta dell’ospite turco fu una stampa coeva di Istanbul, dove spiccava una Santa Sofia già trasformata in moschea.

Vedi: Tornano difficili i rapporti tra Vaticano e Turchia
Fonte: cronaca agi


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