Nella notte tra il 3 e il 4 giugno 1989 i carri armati dell’Esercito di Liberazione Popolare cinese uccisero a Piazza Tienanmen centinaia di persone, mettendo fine alle proteste degli studenti che reclamavano la democrazia. La protesta a piazza Tienanmen era iniziata un mese e mezzo prima, il 15 aprile. In quell’anno, quello della caduta del Muro, molti regimi comunisti furono rovesciati in Europa. Studenti provenienti da più di 40 università marciarono su piazza Tienanmen il 27 Aprile, dove furono raggiunti da operai, intellettuali e funzionari pubblici. A maggio più di un milione di persone riempì la piazza, luogo in cui nel 1949 Mao Zedong aveva dichiarato la nascita della Repubblica Popolare Cinese. Il 20 Maggio il governo impose la legge marziale a Pechino. Truppe corazzate furono inviate per disperdere i manifestanti. Le forze governative di fronte all’immensa folla presente si ritirarono, poi Deng Xiaoping all’epoca capo della Commissione militare, uno dei maggiori leader del paese, diede ordine di fare fuoco. Il risultato fu un massacro il cui “bilancio ufficiale” riporta 319 vittime, ma che, secondo la Croce Rossa, le organizzazioni internazionali, i media stranieri e i testimoni furono molti, molti di più. La foto simbolo della protesta è quella di uno studente che da solo e completamente disarmato si para davanti a una colonna di carri armati per fermarli, passato alla storia come il Rivoltoso sconosciuto. 30 anni dopo Trent’anni dopo, il ministero della Difesa parla di quei giorni definendo quanto accadde “disordini politici”, non “repressione”. Il portavoce del ministero, Wu Qian, ha detto: “Non sono d’accordo con l’uso del termine ‘repressione'”. “Negli ultimi 30 anni, le riforme, lo sviluppo e la stabilità, e i successi raggiunti in Cina rispondono da sé”. “Si trattò di una turbolenza politica, il governo centrale prese le misure decisive e i militari presero le misure per fermarla e calmare il tumulto”, precisa il ministro della Difesa, il generale Wei Fenghe. Il tema in Cina è da sempre un tabù. La presenza di Wei allo Shangri-La Dialogue di Singapore, il forum annuale sulla sicurezza in Asia, ha permesso di aprire una finestra: sollecitato su Tienanmen, in vista dell’anniversario del 4 giugno, ha chiesto perché si continui a dire che la Cina “non gestì l’incidente nel modo più appropriato. I 30 anni hanno provato che la Cina ha attraversato importanti cambiamenti”. Tutto questo è stato possibile perché l’azione del governo “ha potuto beneficiare di stabilità e sviluppo”, ha aggiunto. Intanto, nella simbolica ricorrenza, la censura ha lavorato a pieno ritmo, ripulendo Internet con gli algoritmi e provvedendo a fermi e arresti preventivi, mentre per i millennial c’è un “vuoto di memoria” frutto della potente e sperimentata arma dell’oblio. La “sparizione” del rocker cinese che cantava Tienanmen Sono passati circa tre mesi dalla “sparizione” del musicista rock cinese Li Zhi: un tour nella regione del Sichuan cancellato a febbraio e i suoi account social chiusi. La sua musica è stata rimossa dai popolari siti di streaming cinesi, come NetEase Music e QQ Music. In molti si chiedono, nel 30esimo anniversario dei tragici fatti di Tienanmen, se le sue canzoni come “La Piazza” e versi come “ora questa piazza è la mia tomba” siano stati giudicati inadatti a questi tempi. Un comunicato di aprile del Dipartimento culturale del Sichuan diceva di aver “fermato urgentemente” i piani su ben 23 concerti di “un ben noto cantante con condotta impropria”, formula spesso usata per indicare la trasgressione politica. Nello stesso periodo, la presenza di Li è stata cancellata da Internet: secondo il China Digital Times, il governo centrale aveva deciso di ordinare a tutti i siti web di cancellare audio e video relativi a cinque canzoni di Li riconducibili alle vicende di piazza Tienanmen. Oltre a “La piazza”, “La primavera del 1990” e “La divinità”, dedicata alla Dea della Democrazia che fu eretta dagli studenti. Su un account a lui riconducibile sul microblogging WeChat (“Nanjing 334 Plan”, dove il numero indica i totale dei concerti che avrebbe voluto tenere nel periodo 2017-2029) è apparso ad aprile un post sibillino: “È stato un momento difficile per noi. Siamo come bambini che mangiano il loro cibo, e un gruppo di forti ‘adulti’ è venuto e ha strappato il nostro cibo, urlando che non ci sarà più cibo o saremo colpiti, quindi se ne sono andati. I bambini sono confusi – non sappiamo perché non ci viene dato del cibo. Alcuni bambini erano spaventati e se ne andarono, alcuni continuarono a mangiare”. La canzone The Square di Li Zi su una piattaforma di streaming (Ap) Uno “sbiadito evento storico” La stampa cinese vede la sanguinaria repressione delle proteste pro-democratiche del 1989 come un “vaccino” per la società cinese, che “aumenterà enormemente l’immunità della Cina contro qualsiasi grande disordine politico in futuro”. Lo scrive in un editoriale pubblicato on line il tabloid Global Times, spin off del Quotidiano del Popolo, organo di stampa del Partito comunista cinese, secondo cui i fatti di allora “non sono diventati un incubo di lungo termine” per il Paese, ma semmai uno “sbiadito evento storico”. Dall'”incidente” del 1989, come viene definito, la Cina è diventata la seconda economia mondiale e la linea di evitare di discutere dei fatti di allora ha contribuito al decollo economico del Paese. Il controllo dell’incidente del 1989, prosegue il giornale di Pechino, ha segnato la differenza tra la Cina e le “tragedie politiche” avvenute ad altri Paesi, come la Yugoslavia e l’Unione Sovietica. L’èlite intellettuale di oggi, prosegue il tabloid, “è molto più matura” di quella del 1989, definita “piena di idealismo”. Ogni anno, con l’avvicinarsi del 4 giugno – anniversario della strage condotta dall’Esercito di liberazione popolare cinese – due categorie di “forze al di fuori del territorio cinese” attaccano la Cina, prosegue l’editoriale, che cita i dissidenti che vivono all’estero, definiti come “rimasti fermi al 1989”, e politici e media occidentali, il cui giudizio è “in gran parte influenzato dalle relazioni dei loro Paesi con la Cina”. Tieni a mente Tienanmen Al di fuori dei confini, negli ultimi giorni, in molti hanno ricordato le vittime della brutale repressione. Un artista di Taiwan, Shake, ha realizzato una struttura gonfiabile dell’uomo di fronte al carro armato, l’immagine più forte delle proteste di quei giorni, diventata il simbolo dell’opposizione alla tirannia nel ventesimo secolo. L’opera è stata posta nello spiazzo antistante il Memoriale di Chiang Kai-Shek, uno dei luoghi più visitati di Taipei. “Come taiwanese”, ha detto Shake, “spero di potere aiutare la Cina a raggiungere la democrazia, un giorno”, aggiungendo, però, che la strage “è già stata spazzata via dalla visione politica autoritaria della Cina”. Alla vigilia delle commemorazioni, ha parlato qualcuno dei protagonisti di allora che hanno lasciato la Cina. “Non ce lo saremmo mai aspettati”, ha dichiarato uno degli studenti al vertice delle proteste, Wang Dan, che oggi vive a Washington. “Aprire il fuoco sulla folla era al di là delle nostre aspettative”, ha detto all’agenzia France Presse. Wang si è anche detto sorpreso di essere stato inserito in cima alla lista degli studenti ricercati dalla polizia: “Non ero il più famoso. Ero solo uno di loro”. Per commemorare i trenta anni dalla strage, a Hong Kong – dove ogni anno si tiene una veglia per ricordare le vittime alla vigilia dell’anniversario – un gruppo di attivisti ha riaperto, dopo tre anni, un museo che raggruppa reperti dei momenti più tragici delle proteste. Tra cui le repliche della Dea della Democrazia e della Libertà, la statua in polistirolo e cartapesta alta dieci metri che fu costruita dagli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Pechino durante le proteste. Fu eretta il 30 maggio in piazza Tienanmen proprio di fronte alla grande fotografia di Mao Zedong e distrutta dall’Esercito Popolare di Liberazione il 4 giugno.
di Annamaria Esposito – fonte: Rai.it