Festa grande in Sudafrica per il rientro dell’ambasciatore sudafricano Ebrahim Rasool espulso dagli Stati Uniti, in rotta con l’amministrazione Trump. “Non è stata una nostra scelta tornare a casa, ma torniamo a casa senza rimpianti”, ha dichiarato a Città del Capo l’ambasciatore Rasool, estromesso da Washington con l’accusa di essere “un politico razzista” che odia Trump.
All’aeroporto internazionale di Città del Capo, Rasool è stato accolto da centinaia di sostenitori che sventolavano cartelli, per lo più vestiti con i colori verde e giallo del partito African National Congress (Anc) al governo. “Voglio dire che ci sarebbe piaciuto tornare con un’accoglienza del genere se avessimo potuto dirvi che abbiamo respinto le bugie di un genocidio bianco in Sudafrica, ma in America non ci siamo riusciti”, ha detto con un megafono, dopo un viaggio di oltre 30 ore via Doha, capitale del Qatar.
L’ex attivista anti-apartheid ha difeso le sue osservazioni sulle politiche di Trump, affermando che intendeva analizzare un fenomeno politico e avvertire i sudafricani che il “vecchio modo di fare affari con gli Stati Uniti non avrebbe funzionato”. “Il nostro linguaggio deve cambiare non solo per la transazionalità, ma anche per un linguaggio che possa penetrare un gruppo che ha chiaramente identificato una frangia della comunità bianca sudafricana come proprio collegio elettorale”, ha affermato.“Il fatto che ciò che ho detto abbia attirato l’attenzione del Presidente e del Segretario di Stato e li abbia commossi a tal punto da dichiararmi persona non grata, dimostra che il messaggio è arrivato alle più alte cariche”, ha aggiunto.
Domani Rasool dovrà presentare un rapporto al presidente Cyril Ramaphosa. Tuttavia, Pretoria non dovrebbe cercare di ricucire i legami con Washington “col sacrificio dei nostri valori”, ha avvertito Rasool. “La dichiarazione di persona non grata ha avuto lo scopo di umiliare, ma quando torni a casa con una folla come questa. Indosserò la mia persona non grata come un distintivo di dignità, dei nostri valori e del fatto che abbiamo fatto la cosa giusta”, ha concluso il diplomatico sudafricano. La scorsa settimana, il segretario di Stato americano, Marco Rubio, ha dichiarato che Rasool è stato espulso dopo aver descritto il movimento Make America Great Again di Trump come una reazione suprematista alla diversità negli Stati Uniti.
In raltà, la sua espulsione è l’ultima manifestazione del ‘divorzio’ tra Washington e Johannesburg, dal ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. Il presidente Usa ha tagliato gli aiuti finanziari al Sudafrica, denunciando la sua politica di confisca ingiustificata delle terre agli agricoltori bianchi, ma anche per la causa per genocidio contro Israele intentata dal Sudafrica presso la Corte internazionale di giustizia e per altri contrasti in politica estera.
Anche l’alleato di Trump, Elon Musk, nato in Sudafrica sotto l’apartheid, ha accusato il governo di Ramaphosa di avere “leggi sulla proprietà apertamente razziste”.
Tuttavia il capo di Stato sudafricano, Ramaphosa – attuale presidente di turno del G20 – ha dichiarato di considerare prioritario il miglioramento delle relazioni con Washington. Gli Stati Uniti sono il secondo partner commerciale del Sudafrica e l’anno prossimo assumeranno la presidenza di turno del G20. (AGI)
VQV