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Storia dell'uomo che convinse tutti a "lavarsi le mani"

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Mentre medici e infermieri lottano contro il coronavirus dalle corsie degli ospedali, anche chi resta a casa, come ci viene detto ormai da settimane, può fare la sua parte. Le raccomandazioni sono semplici: restare in casa e mantenere un soddisfacente grado di igiene, soprattutto per quanto riguarda le mani.

Anche a proposito delle mani le indicazioni, sulle quali molto si è ironizzato sui social, sono basilari: lavarle spesso e lavarle bene, minimo quaranta secondi o, se preferite, il tempo di intonare due volte consecutivamente “Tanti auguri”, così come fa in maniera ossessiva il protagonista di “Basta che funzioni” di Woody Allen.

Per molti un gesto banale, un gesto che siamo abituati a fare, chi più chi meno, tutti i giorni, magari giusto prima dei pasti e dopo aver utilizzato il gabinetto; ma non è stato sempre così, anzi, la storia del lavaggio delle mani è precisa e lunga, si, ma non troppo. Senza scomodare rituali religiosi antichissimi infatti, l’igiene delle mani diventa regola solo 130 anni fa, cinquant’anni prima però viene letteralmente scoperta.  Miryam Wahrman, professoressa di biologia alla William Paterson University nel New Jersey e autrice di “The Hand Book: Surviving in a Germ-Filled World”, ha raccontato al Guardian l’origine di questo gesto: “Se dovesse esserci un padre del lavaggio delle mani sarebbe Ignaz Semmelweis

La storia e l’intuizione di Semmelweis

Il protagonista è un medico ungherese, pioniere di un approccio più scientifico alla medicina, che lavorava nell’ospedale di Vienna, più precisamente nel reparto maternità. Un reparto che registrava un altissimo grado di decessi dei neonati. Non appena venuti al mondo i piccoli venivano attaccati da una febbre alta che li uccideva in pochissimo tempo.

Semmelweis rimase incuriosito da quei numeri e decise di impegnarsi per capirne la motivazione. Siamo nel 1840, i germi non sono ancora stati scoperti e si credeva che il malanno che uccideva i neonati dipendesse dai cattivi odori emanati dai cadaveri in decomposizione presenti nell’edificio, dalle fognature o dalla vegetazione circostante, per cui il massimo che si provava a fare era chiudere bene porte e finestre.

Ma la prassi, in una medicina dove non esisteva ancora la specializzazione, era che i medici passassero da un’autopsia a un parto in pochi minuti e senza sentire la necessità di lavarsi le mani. Un giorno uno di questi medici si taglia un dito con un bisturi e muore della stessa febbre che attacca e uccide i bambini, e secondo Semmelweis non è un caso.

Il medico intuisce che potrebbe esserci una certa connessione tra il lavoro in obitorio e quello nel reparto maternità, il suo riferimento è sempre il cattivo odore, secondo lui è in quel modo che le particelle dei cadaveri finiscono ad intaccare i neonati, cosa chiaramente errata ma che gli fa venire in mente una soluzione che si rivelerà non solo giusta, ma quasi rivoluzionaria: chiede ai colleghi, prima di occuparsi del parto, di lavare le mani e gli strumenti in una soluzione di cloro.

“Prima dell’esperimento – afferma la professoressa Wahrman – il tasso di mortalità per le neomamme era del 18%. Dopo che Semmelweis ha implementato l’igiene delle mani tra l’obitorio e la sala parto, il tasso di mortalità per le neomamme è sceso all’1% circa”. Ma siamo nel 1840, come già detto, e questa rivoluzione, nonostante i numeri stupefacenti, non venne presa benissimo dai colleghi che, al contrario, venendo tutti da classi della medio-alta borghesia, convinti che il gradino che occupavano nella scala sociale li rendesse puliti a prescindere, si sentirono offesi da tali iniziative, tant’è che Semmelweis non solo perse il lavoro, ma cadde in rovina e morì in un ospedale psichiatrico all’età di 47 anni.

I passi successivi

Ci vorranno altri quarant’anni prima che si ipotizzi l’esistenza dei germi e si cominci uno studio profondo su come affrontarli. Nel 1876, lo scienziato tedesco Robert Koch scopre il bacillo dell’antrace, dando il via al nuovo campo di ricerca della batteriologia medica; verranno poi identificati colera, tubercolosi, difterite e tifo.

Ma le scoperte di Koch servono soprattutto a far cambiare strada ai governi, ci si rende conto, così come recita una campagna sulla salute pubblica risalente agli inizi del 900, che “la tubercolosi non è qualcosa che hai ereditato da tua nonna, ma è tua nonna, tossendo, che te l’ha attaccata”. Come spiega Nancy Tomes, professoressa di storia della Stony Brook University di New York, le persone una volta recepito il messaggio “sono diventate totalmente fobiche nello stringersi la mano o nel baciarsi. Avevano capito che la loro bocca, la loro pelle e i loro capelli erano mezzi per trasmettere questi batteri. È uno dei motivi – aggiunge – per cui i giovani hanno iniziato a evitare le barbe all’inizio del secolo e perché gli alimenti hanno iniziato a essere venduti confezionati singolarmente”.

Così il XX secolo vede un abbattersi dei numeri riguardo la mortalità. E questo fa in modo, come sottolinea Tomes, che ci si convinca che il nemico è sconfitto, facendo scattare una sorta di preoccupante lassismo riguardo l’igiene. Parallelamente si sviluppa anche il movimento hippy che tende a sovvertire tutte le regole imposte da genitori e nonni, compresa, a quanto pare, l’igiene delle mani.

La preoccupazione torna a crescere negli anni ’70 quando cominciano a crescere in maniera preoccupante i numeri riguardanti le malattie trasmesse tramite il sesso. Una crisi che vedrà il suo culmine negli anni ’80 col diffondersi dell’HIV. Messi alle strette da un nuovo virus così violento e mortale, ecco tornare la psicosi collettiva rispetto l’igiene personale, anche se viene scoperto abbastanza in fretta che l’HIV si trasmette esclusivamente tramite sangue, sperma, fluidi vaginali e latte materno, il mondo cambia mentalità rispetto anche il lavarsi le mani.

Qualche decennio dopo ecco che un nuovo male si affaccia sul mondo, lo sappiamo, si chiama coronavirus, che ci coglie non ancora del tutto consapevoli dei rischi legati al lavaggio delle mani. Nel suo libro Wahrman cita una ricerca condotta con studenti universitari nel 2009, pubblicata sull’American Journal of Infection Control, che dice che dopo aver urinato, solo il 43% degli uomini si lava le mani, il 69% delle donne. Donne in vantaggio anche sul lavaggio delle mani dopo la defecazione, 84% contro 78%. Prima di mangiare le percentuali invece crollano per entrambi i sessi, solo il 10% degli uomini e il 7% delle donne sente il bisogno di lavarsi le mani prima di sedersi a tavola.

“All’inizio di una pandemia, non essendoci interventi farmaceutici, in pratica questo è tutto ciò che hai” a dirlo è Petra Klepac, un assistente professore di modellistica delle malattie infettive alla London School of Hygiene & Tropical Medicine, che due anni fa in un documentario dal titolo “Contagion! The BBC Four Pandemic” ha previsto che una pandemia influenzale si sarebbe diffusa nel Regno Unito.

Secondo gli studi della Klepac non solo che il lavaggio delle mani è il modo migliore per combattere una pandemia ma scientificamente si rivela molto più utile rispetto all’utilizzo di una mascherina.

Vedi: Storia dell'uomo che convinse tutti a "lavarsi le mani"
Fonte: cronaca agi


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