Allarme della Banca d’Italia: se si fermassero le forniture di gas dalla Russia, in Italia “l’inflazione si avvicinerebbe all’8% nel 2022 e scenderebbe al 2,3 nel 2023″. La crescita del Pil italiano si fermerebbe attorno al 2% nel 2022 e 2023”
di redazione
Gli sviluppi della guerra in Ucraina rischiano di portare, per scelta europea o anche per decisione della stessa Russia, all’interruzione dei flussi di gas russo verso l’Europa. Il nostro Paese è, assieme alla Germania, quello che ne subirebbe il danno maggiore a causa della sua dipendenza. Banca d’Italia lancia l’allarme: se si fermassero le forniture di gas dalla Russia, in Italia “l’inflazione si avvicinerebbe all’8% nel 2022 e scenderebbe al 2,3 nel 2023″. La crescita del Pil italiano si fermerebbe attorno al 2% nel 2022 e 2023. “L’eventuale interruzione dei flussi dalla Russia – si valuta da Via Nazionale – potrebbe essere compensata per circa due quinti, entro la fine del 2022 e senza intaccare le riserve nazionali di metano, attraverso l’incremento dell’importazione di gas naturale liquefatto, il maggiore ricorso ad altri fornitori e l’aumento dell’estrazione di gas naturale dai giacimenti nazionali”.
Il governo prospetta un percorso graduale di uscita dalla dipendenza dal gas russo. Rispetto ai tempi il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani ha parlato di 24-36 mesi ma, allo stato, le alternative appaiono limitate: l’Algeria, attraverso il gasdotto Transmed, potrebbe aumentare la sua fornitura di non più di 5-6 miliardi, mentre la produzione in Libia è ferma. La possibilità di estrarre gas dal sottosuolo e dai mari italiani è modesta. La verità è che l’alternativa più praticabile è il Gnl proveniente via nave dall’America. Gli Stati Uniti forniranno all’Europa 15 miliardi di metri cubi di gas liquido in più ogni anno, ma a che prezzo? Di certo molto più caro del gas russo.
La domanda che emerge con prepotenza è: fermare l’acquisto di gas e petrolio dalla Russia aiuterebbe davvero a trovare una via diplomatica verso la fine della guerra, costringendo Putin ad una vera trattativa? Difficile dirlo, difficile crederlo. Sono certe invece le ripercussioni pesantissime sulla nostra economia in termini di mancata crescita e perdita di posti di lavoro. E non è spegnendo i condizionatori che si potrà affrontare il problema, piuttosto appare indispensabile che l’Unione europea assuma adeguate misure di sostegno per i Paesi più esposti ed i settori economici maggiormente colpiti.
Poiché il 45% dell’elettricità in Italia viene prodotta da centrali che che utilizzano come combustibile il gas combustibile, contrarre l’approvvigionamento potrebbe portare, di fronte a picchi di domanda, all’interruzione dell’energia elettrica per il sistema produttivo. Sarebbero a rischio le imprese che consumano la maggiore quantità di energia, a partire da acciaierie, cementifici, cartiere.
Dal mondo imprenditoriale arriva un grido d’allarme. Secondo Francesco Buzzella, presidente di Confindustria Lombardia, “l’embargo del gas russo sarebbe una extrema ratio e avrebbe un peso inimmaginabile. Oggi su 76 miliardi di metri cubi, 30 arrivano dalla Russia. Buona parte dell’industria va a gas. Non è solo una questione di condizionatori accesi, come diceva ieri Draghi. Il discorso è spegnere le aziende e perdere posti di lavoro”.
Paolo Agnelli, presidente di Confimi Industria, la Confederazione dell’industria manufatturiera, è molto esplicito: “Un embargo immediato di gas ed energia equivale all’istantanea chiusura di migliaia di aziende. Fonderie, acciaierie, trafilerie, laminatoi infatti – e solo per fare qualche esempio – hanno bisogno di gas continuo per sciogliere, per trafilare, per estrudere materie prime. Cosa accadrebbe un minuto dopo la chiusura del gas: blocco degli impianti e cassa integrazione per tutte le maestranze al 100% dell’orario. Mancanza immediata di materie prime semilavorate con conseguenze negative per la produzione dell’intera filiera produttiva”.
Il presidente di Engie, colosso francese dell’energia, Jean-Pierre Clamadieu, ha detto che “Oggi, ciò che va soppesato, sono ovviamente tutte le motivazioni morali, politiche, che spingono verso nuove sanzioni nei confronti della Russia e poi l’impatto massiccio che uno stop delle importazioni comporterebbe per l’economia. Se le importazioni di gas russo cessano, saremmo probabilmente capaci di sostituirlo per circa la metà, ma il resto, sul breve termine, dovrebbe essere realizzato, ottenuto, compensato attraverso una riduzione dei consumi, in particolare, nei settori industriali”.