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Stato e mercato, un nuovo paradigma

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di Amedeo Lepore

Oggi come non mai, di fronte a un mondo sempre più complesso, ai problemi posti dal riassetto geopolitico globale e alla possibilità di portare a conclusione una transizione che dura da mezzo secolo, emerge la necessità di indicare i tratti essenziali di un nuovo paradigma economico. Dagli ultimi decenni del secolo scorso, come è accaduto in ogni fase di trasformazione, mentre veniva meno il modello che ha connotato buona parte del Novecento, quello dell’industria di massa e del keynesismo-fordismo, sono cominciati a sorgere e diffondersi alcuni degli elementi costitutivi di un modello innovativo, senza però assumere le sembianze di uno schema compiuto e intellegibile.

In poche parole, il vecchio tipo di organizzazione dell’economia è man mano venuto declinando, ma lo scenario prossimo venturo, attraverso la formazione di un nuovo archetipo produttivo, finanziario e di scambio, ancora non si è affermato in tutta la sua portata e non ha assunto il carattere di una teoria generale. Due volumi usciti di recente e, in qualche modo, in relazione tra loro forniscono un contributo importante a questo tentativo di costruire un orizzonte di idee e una prospettiva concreta per il mondo a venire.

Il primo è quello di Claudio De Vincenti dal titolo Per un governo che ami il mercato. Una certa idea di intervento pubblico. L’autore, alla luce della sua duplice esperienza di economista ed esponente di governo, si è interrogato sull’esigenza di un aggiornamento di fondo degli strumenti di analisi e di condotta dell’economia. Il risultato è una pubblicazione che ha il pregio di rivolgersi sia al colto che all’inclita, mediante diversi livelli di lettura con ampie sintesi iniziali di ciascun capitolo.

Inoltre, il testo permette di compiere un esame del rapporto tra “mano visibile” (lo Stato) e “mano invisibile” (il mercato), partendo da un approccio “laico”, privo, cioè, di preclusioni ideologiche, e individuando presupposti teorici e svolgimenti effettivi – successi e fallimenti – di queste due entità storicamente in conflitto tra loro, sia pure con le dovute eccezioni.

De Vincenti descrive l’evoluzione degli eventi economici dagli anni Settanta del secolo scorso, evidenziando il passaggio dalla “grande moderazione”, un periodo di relativa stabilità economica, alla fase di turbolenza e incertezza globale determinata da crisi finanziarie, pandemia e conflitti, mostrando l’obsolescenza delle teorie economiche tradizionali al cospetto di tali rivolgimenti.

Dopo avere osservato come le due metafore dell’intervento pubblico e dell’iniziativa privata siano spesso state distorte e non abbiano consentito, isolatamente, di spiegare la complessità dei sistemi moderni, egli sostiene la necessità di superare questa dicotomia, proponendo un modello integrato, in cui entrambe le visioni concorrano al conseguimento di obiettivi di prosperità economica e benessere sociale.

Ognuna delle due impostazioni ha denotato limiti e inadeguatezze, quali concentrazioni di potere, inefficienze produttive, disuguaglianze sociali o asimmetrie informative. Perciò, un nuovo paradigma deve essere la migliore espressione di un equilibrio tra la capacità di assicurare stabilità e guida (l’ancora e il timone) da parte dello Stato e la naturale predisposizione a offrire un orientamento (la bussola) da parte del mercato. L’originalità del lavoro sta proprio in questa definizione di una cornice unitaria e di strategie inedite per affrontare le sfide del XXI secolo.

L’altro volume è frutto di una personalità molto rilevante nei campi del giornalismo e dell’innovazione, come Chris Anderson, che ha suggerito un modello di sviluppo alternativo a quello tradizionale nel suo primo scritto su La coda lunga. Da un mercato di massa a una massa di mercati, dedicato alle novità della rete telematica e delle industrie dell’intrattenimento in grado di spostare verso le produzioni “immateriali” la propria attività. In quell’opera, ha illustrato la creazione di mercati di nicchia e produzioni “personalizzate”, che ha messo in discussione la presenza consolidata di un’industria di massa e favorito una varietà estrema di scelta all’interno di un insieme diversificato di beni e servizi.

Nel suo nuovo libro dal titolo Generosità contagiosa, Anderson parte dagli effetti del Covid-19 per sottolineare la necessità di accrescere il proprio potenziale sfruttando la “contagiosità”, ovvero la facoltà di autoreplicarsi, anziché puntare solo a incrementare le dimensioni di un’iniziativa. Tra le differenti forme di contaminazione, una in particolare può migliorare il mondo: la generosità, che “ha svolto un ruolo fondamentale nella costruzione degli strumenti, delle idee e delle istituzioni che hanno permesso il fiorire della civiltà”.

Questa caratteristica, inoltre, ha un valore essenziale per la felicità personale, quale componente ineliminabile della sfera relazionale e del benessere umano. Un principio che era già propugnato dalla tradizione meridionale di pensiero dell’economia civile, culminata nella lezione di Antonio Genovesi, e che è valido ancora oggi nella declinazione dei concetti di fiducia, condivisione e collaborazione, mediante lo sviluppo delle reti. In questo quadro, grazie alla spinta della natura umana e della connettività, è possibile finalmente contemperare gli interessi individuali con il bene comune, aprendo un ambito di interazione del tutto inconsueto.

Gli autori, l’ambiente da cui provengono e i contenuti che propongono sono apparentemente distanti, ma vale la pena di leggere insieme questi due libri. Innanzitutto, perché sono forieri di una concezione che incarna un nuovo umanesimo. Ma anche perché, superando i vincoli posti dalla teoria di un economista di spicco come Dani Rodrik, svelano il trilemma possibile di una sintesi innovativa tra Stato, mercato e cooperazione.

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