Un’avventura straordinaria giunta dopo 13 anni di addestramento. E che valesse la pena attendere così tanto è stato il primo pensiero del colonnello Walter Villadei una volta giunto nello Spazio, ha raccontato l’astronauta italiano durante l’evento di saluto tenutosi a Palazzo Aeronautica undici giorni dopo il suo rientro sulla Terra, al termine dei 18 giorni trascorsi sulla Stazione Spaziale Internazionale (Iss) nel quadro della missione Axiom 3. Una missione segnata da numerosi collegamenti con la Terra, il più intenso dei quali quello con i piccoli pazienti dell’ospedale Bambin Gesù, che Villadei incontrerà dal vivo questo venerdì. E, chissà, forse dagli esperimenti scientifici condotti in orbita potrà giungere un rimedio anche per alcuni dei loro problemi, ha auspicato.
Il cosmo non gli manca particolarmente, racconta ai cronisti, perché “la Terra vista dallo Spazio è bellissima ma sono contento di esserci tornato, perché anche la Terra vissuta a terra è straordinaria”. Nondimeno quella sull’Iss è stata “un’esperienza incredibile”: “Quando arrivi a bordo, ogni momento è attività operativa ma si cerca anche di vivere quel momento come persone”, spiega, “ci sono anche opportunità per godersi un pochino questo ambiente unico, straordinario a partire dalla cupola, un capolavoro che l’Italia ha realizzato negli anni e dal quale si vede la Terra”. Un ambiente internazionale dove lavorano undici astronauti di nove nazioni diverse “in un clima di incredibile collaborazione” perché, secondo Villadei, nello Spazio si espandono anche i nostri confini umani. Colleghi che l’esperienza condivisa in un ambiente tanto ostile ha reso amici, sottolinea il colonnello nell’intervista concessa all’Agi.
D: Può descriverci i punti salienti del suo lungo addestramento?
– R: “È stato un addestramento progressivo e per step successivi. Si inizia con l’ addestramento di base per gli astronauti allo scopo di conseguire tutta una serie di abilitazioni. Io lo ho iniziato in Russia e lo ho completato e perfezionato negli Usa. Una volta che si arriva alla missione, l’addestramento è di due tipologie: il primo è quello di gestione dei compiti assegnati all’astronauta, nel mio caso il ruolo di pilota della missione Axiom 3 in tutte le sue fasi, dal decollo fino al rientro; c’è poi un addestramento che è finalizzato al poter svolgere tutta l’attività sperimentale a bordo della stazione, quindi l’interazione con il mondo accademico e scientifico è fondamentale per avere consapevolezza di ciò su cui si sta operando. Il terzo tipo di addestramento è come equipaggio: dobbiamo essere coordinati, c’è un’esigenza di true coordination che è un’attività tipica a cui l’aeronautica punta sempre quando addestra i propri equipaggi. Quindi parte dell’addestramento è stato vivere insieme come equipaggio e maturare questo tipo di coordinamento che è poi diventato un’amicizia con i miei colleghi di questa straordinaria avventura”.
– D: Quali sono stati i momenti più inattesi e difficili di questa avventura?
– R: “L’addestramento è fatto in modo tale che non ci sia nulla che sorprenda completamente l’astronauta e quindi devo dire che di cose particolarmente inaspettate non ce ne sono state, e questo significa che l’addestramento è stato ben distribuito. È vero anche che è un ambiente completamente nuovo che poi impari a vivere e a conoscere per la prima volta quando sei lì, quindi anche quelle piccole cose di vita quotidiana diventano particolari e si sviluppano una serie di piccole tecniche o segreti che gli equipaggi o gli astronauti che sono lì già da diversi mesi ti passano come suggerimenti e consigli. Non ci sono particolari difficoltà ma c’è sicuramente l’esigenza di avere una capacità di adattamento e di flessibilità perché alcune cose vengono fatte per la prima volta quando sei effettivamente in volo”.
– D: Missioni come la sua possono essere da stimolo e da esempio per i giovani, data la necessità che ha l’Italia di laureati in discipline scientifiche che forniscano alla Space Economy l’adeguato capitale umano?
– R: “Indubbiamente il coinvolgimento dei ragazzi e delle ragazze per riuscire ad avere nel futuro ingegneri, piloti, medici e astronauti che possano proseguire e ulteriormente consolidare il ruolo dell’Italia, ma anche dell’Europa, nello Spazio è fondamentale. Per questo riuscire a parlare con i ragazzi è importantissimo: credo che entusiasmarli sia una delle attività più importanti che gli astronauti possano fare. Non esiste una ricetta segreta per diventare astronauti ma ci vuole passione, ci vuole pazienza, ci vuole costanza, quindi occorre spiegare ai ragazzi che anche attraverso lunghi percorsi si può riuscire”.
– D: Ha definito la Space Economy come un modello vincente per il sistema Paese. È un modello che può essere allargato?
“Questo modello nell’ambito delle attività spaziali funziona e crea sinergie fondamentali. È importante ricordare come a distanza di 60 anni, quando lanciammo il primo satellite San Marco nel ’64, la collaborazione fu tra l’Aeronautica militare e l’Università di Roma. Già al tempo questa interazione tra mondo accademico, scientifico e militare diede risultati straordinari. Oggi questo si arricchisce di un ulteriore livello, la Space Economy, cioè la possibilità di creare modelli e piattaforme che siano opportunità di promozione del Made in Italy e rafforzino innovazione e ricerca. Un modello che sicuramente funziona e potrebbe essere applicato anche in altri settori”. (AGI)