Se proponessi a mille lettori un sondaggio sul più famoso filosofo vivente, Žižek guadagnerebbe senza dubbio una buona posizione. È un autore che si rifà a Marx, Hegel e Lacan, ma anche ad Heidegger, Deleuze, Guattari, Derrida… fatta eccezione per il primo, insomma, riprende filosofi dalla scrittura e dall’impianto teoretico più complesso possibile – quelli che si può interpretare in qualunque modo senza timore di essere smentiti. Ciononostante lo stile del filosofo sloveno è piano, leggibile, divertente e appassionato, a patto di accettarne l’inarrestabile verbosità. Per farla estremamente breve, Žižek sostiene che tutti gli altri filosofi (tranne Alain Badiou) sbagliano più o meno su tutto. Questo, assieme alla sua radicale asistematicità, rende estremamente difficile dare una sintesi del suo pensiero. Potrei dire che propone una seduta lacaniana alla società, insufflando al contempo velleità metafisiche hegeliane – potrei dirlo, se solo mi sembrasse una frase anche lontanamente sensata. La natura della grande influenza di Žižek, comunque, non risiede nel suo sistema teorico, ma nel suo peculiare, profondo e divertito stile filosofico, che pone la cultura pop (soprattutto cinematografica) alla pari con la cultura alta. Uno stile che ha formato un’intera scuola di giornalismo culturale, di cui tutto sommato anche questo articolo è un esempio. E dunque grazie Žižek e scusa se dal punto di vista teoretico non ti ho mai capito un granché.
Platone, Hitchcock, l’Essere e il Nulla, Fichte, la fisica quantistica, la realtà delle finzioni, il Nirvana, Marx, Freud, la plebe, la follia, il sesso… e soprattutto Hegel e Lacan, anzi, più precisamente, la riscrittura lacaniana della dialettica di Hegel. Meno di niente, l’ultima fatica filosofica di Slavoj Žižek, è un libro sterminato, che sembra voler parlare di «tutto quanto si trova sotto il cielo».