di Ettore Minniti
Si è celebrata domanica 15 maggio la festa dell’autonomia siciliana. Lo Statuto Speciale della Regione Siciliana, antecedente anche alla Costituzione della Repubblica Italiana, è stato emanato con Regio Decreto del 15 maggio 1946, da Re Umberto II di Savoia.
Questo statuto rappresenta un unicum all’interno del sistema costituzionale. Un documento che rappresenta e attesta l’identità regionale siciliana nella sua particolarità all’interno della Repubblica.
Eppure, nonostante, esso sia costato la morte di tanti giovani, con l’intervento dell’Esercito per sopprimere i moti rivoluzionari indipendentisti, non è mai stato applicato.
Tra i morti, per questa indipendenza mai riconosciuta, si ricordano Antonio Canepa, Carmelo Rosano, Giuseppe Lo Giudice.
Come sostiene lo storico Massimo Costa nel suo libro “Autonomia tradita”, la riforma del Titolo V ha fatto nascere un nuovo assetto istituzionale tra le regioni ordinarie e quelle a statuto speciale. Con la sola differenza, che l’autonomia Siciliana vede la sua integrità minata, e la costante disapplicazione dello Statuto ne è la prova. Un unicum che non va solo preservato in ossequio alle norme, ma perché ne dipendono le stesse sorti della Regione Siciliana. E che non tutti i guai dipendono dalle azioni dei siciliani che da questa situazione ne escono ampiamente danneggiati.
Anche Giuseppe Scianò, Coordinatore del centro studi “Andrea Finocchiaro Aprile”, sostiene come il Costa che il colpo definitivo di mannaia allo Statuto si ebbe mel mese di aprile del 2008 quando, con una sentenza discutibile della Corte costituzionale, si aboliva di fatto l’Alta Corte per la Regione Siciliana. Una violazione del “PACTUM” (sul quale nel 1944 era stato creato il “compromesso” fra il Popolo Siciliano in armi e lo Stato italiano), con la “specialità” dello Statuto di Autonomia per la Regione Siciliana.
Altro sostenitore dell’autonomia siciliana fu Emanuele Macaluso, il quale ne riconobbe un’importante funzione storica e sociale. Macaluso aveva 23 anni quando entrò a Palazzo dei Normanni, sede del più antico parlamento d’Europa. Vi rimase per tre legislature che sono coincise con il periodo più intenso delle lotte contadine e delle svolte politiche. La più importante porta il nome di “milazzismo” che, con l’apporto dei cristiano-sociali, mandò la Dc di Amintore Fanfani all’opposizione. Il protagonista di quell’operazione, Silvio Milazzo, sosteneva che “era necessario di fare crescere in Sicilia una borghesia produttiva con un nuovo modello di sviluppo”. “La sconfitta del milazzismo – disse – portò al decadimento dell’autonomia e alla riscossa del blocco di poteri di quel tempo“.
Gli effetti di quel declino si rintracciano ancora oggi nel giudizio diffuso che considera le regioni una sorta di zavorra. Quella siciliana in particolare. La burocrazia ha fatto il resto mettendo in ombra i valori dell’autonomismo.
Senza poi voler dimenticare il ruolo svolto da Don Luigi Sturzo. L’adesione ad una visione autonomista nei rapporti fra governo nazionale e comunità locali ha contrassegnato la vita politica e religiosa del prete di Caltagirone. La sua era una visione antistatalista. Così negli anni di fine secolo Sturzo avvia una forte lotta contro lo Stato accentratore, riprendendo da siciliano il problema del decentramento amministrativo. Sturzo riteneva che lo Stato avrebbe dovuto aver più attenzione verso la Sicilia, il Mezzogiorno e le classi più deboli, in particolare verso la classe contadina. I suoi scritti evidenziano una sorta di “guerra” regionalista nei confronti dell’affermazione di uno Stato centralista, rivendicando l’esigenza di pervenire al più presto ad una vera autonomia municipale e regionale.
Purtroppo, ancora oggi la classe politica locale e nazionale rimane sottomessa a Roma, per cui possiamo affermare, senza possibilità di essere smentiti, che lo Statuto speciale siciliano è poco speciale e sempre di più ordinario.