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Si chiama Renato Paratore, ed è il futuro del golf italiano

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Due italiani parteciperanno agli Us Open a Pebble Beach, un campo di golf che guarda sull’oceano, in California, insieme ai migliori giocatori del mondo e ai due favoriti dei bookmakers, Brooks Koepka e Dustin Johnson. Uno, Francesco Molinari, 37 anni l’8 novembre, ha già riscritto la storia del green azzurro, l’altro, Renato Paratore, 23 anni il 14 dicembre, promette benissimo. Un veterano, già campione di un Major, l’Open Championship 2018, che si è qualificato di diritto, da numero 6 del ranking mondiale (11 europeo), e un esordiente a questo livello che è passato per le qualificazioni (106 nella race to Dubai europea, e 364 del mondo). Nel 2017, a 20 anni, ha vinto il primo titolo European Tour, il Nordea Masters in Svezia e ha nella Roma e in Francesco Totti una vera passione. 

Renato, come mai un esperto come Massimo Scarpa, telecronista e DT azzurro nei suoi tweet la chiama “Genius”?

“Perché magari, ogni tanto, riesco  a tirare un colpo fuori dalla norma, mi piace uscire dagli schemi se vedo una traiettoria, una possibilità, che gli altri non hanno pensato. Mi diverte immaginare un colpo e tentarlo”.

Addirittura qualcuno la paragona all’indimenticabile Severiano Ballesteros.

“Lo so. Non ho mai visto giocare Seve se non in qualche video d’epoca. Era davvero un fenomeno. Forse dicono così di me in particolare per come me la cavo nel gioco corto. Un po’ è talento naturale, e quindi feeling, un po’, come tutte le cose, va allenato”.

Il suo punto debole, invece, qual è?

“Devo trovare la stabilità ideale, che poi è fondamentale nello sport in generale e nel golf in particolare, dove non è mai detta l’ultima parola, sia in positivo che in negativo. Si parte in 120 e tutti possono vincere: il livello di competitività è altissimo. E qui sta il bello e anche il brutto del mio sport, dove mi stimola tanto lo sforzo da sostenere per temere sempre alta la concentrazione. Ho deciso quand’avevo 8 anni che avrei fatto il professionista di golf e ci sono riuscito”.

La chiamano Renny ed è un fenomeno precoce. Così come Manassero, che è esploso col nomignolo di Manny, ma si è perso.

“Matteo è un amico, gioca talmente bene, conosce talmente tanto il gioco, che sono sicuro che ritroverà la strada giusta”.

 

Qual è la strada giusta per un buon Us Open?

“Non è importante tirar lungo per forza, l’importante è tirar dritto e rimanere concentrati colpo dopo colpo, buca dopo buca. Pebble Beach è pazzesco: adoro la 18 con tutto l’oceano a sinistra. Non conosco il campo, non ci ho mai giocato, ma in genere questi percorsi americani mi piacciono, mi stimolano. Anche perché sono tenuti in condizioni sempre perfette”.

Qual è la sua motivazione maggiore al primo Major in carriera?

“Giocare accanto a gente così forte è molto motivante, alcuni li conosco già, Tiger no, e mi ha fatto effetto vederlo da vicino, ma non gli chiederò l’autografo. Come con Rory McIlroy, un altro dei miei primi eroi. Né mi farò trascinare dalle emozioni, è stato un problema dei primi tempi, che condizionava anche il gioco. Tiger non lo guardavo in tv perché fino ai 14 anni ho visto davvero poca tv, mentre ho fatto tanto sport, calcio e tennis”.

Perché poi ha scelto invece il golf?

“Perché ha qualcosa più degli altri, è più coinvolgente e mi avvince la continua sfida con me stesso, più ancora di affrontare un altro, come nel tennis. Eppoi è troppo bello il suono della pallina che va in buca”.

Suo nonno è stato un grande latinista, le ha insegnato qualche massima-guida?

“Ho sempre avuto un grande rispetto per nonno, magari in famiglia c’era qualche aspettativa perché prendessi quella strada, ma io volevo cercarne altre. E, quindi, di latino conosco solo un paio di declinazioni, Rosa, Rosae, ecco…”.

Magari il suo coach, Alberto Binaghi, le darà qualche dritta su cui ragionare, in gara.

“Mi alleno con lui da un anno, mi ha aiutato a risistemare lo swing, che avevo un po’ peggiorato. Mi ci trovo molto bene, mi conosce praticamente da sempre, dalle prime convocazioni nelle nazionali giovanili. Mi sta aiutando a diventare più consistente, anche col lavoro in palestra”.

E giocare accanto a Molinari?

“Con Francesco ho provato il campo all’Us Open, lui è un esempio fantastico nel golf e anche un’ottima persona”.

Anche Paratore, come Molinari, è freddo, gestisce bene le emozioni.

“E’ la mia indole, non perdo quasi mai la testa dopo un errore, riesco a mantenermi calma e a pensare al colpo successivo. La cosa fondamentale è mantenere la concentrazione”.

Vedi: Si chiama Renato Paratore, ed è il futuro del golf italiano
Fonte: sport agi


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