AGI – L’Afghanistan dominerà l’agenda dei colloqui del ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, a Roma, dove nella giornata di venerdì 27 agosto incontrerà prima il presidente del Consiglio, Mario Draghi, e poi l’omologo Luigi Di Maio alla Farnesina.
La visita era in programma già prima della rapida crisi in cui è piombata Kabul con la presa del potere da parte dei talebani: a giugno, Lavrov aveva inviato un suo vice alla riunione dei ministri degli Esteri del G20, a Matera, dove era previsto a margine un bilaterale con Di Maio promettendo di venire in Italia entro i primi di settembre. Roma sarà l’ultima tappa di un mini tour europeo del capo della diplomazia russa che ha già toccato Budapest e Vienna.
I rapporti bilaterali, le relazioni di Mosca con la Ue e la Nato e poi la Libia e le crisi regionali sono i temi dell’agenda, in cui l’Afghanistan, da parte italiana, “avrà un ruolo predominante”. “Includere Russia e Cina” nei negoziati dell’Occidente è il leitmotiv di questi giorni sia di Draghi che Di Maio, impegnati nel costruire le basi per convocare a settembre un G20 ad hoc, in cui costruire un approccio condiviso e di ampio respiro alla crisi.
Nei due colloqui ufficiali, la Russia ha interesse a sollevare anche la questione ucraina e siriana, lo “stato degli affari generali nel Mediterraneo” come anche la “cooperazione in ambito sanitario”, con il vaccino Sputnik contro il Covid-19 che attende ancora l’approvazione dell’Ema, ma ha già trovato aziende farmaceutiche in Italia interessate a produrlo.
Da quasi 20 anni, la diplomazia russa ha un solo volto, quello di Serghei Lavrov. Dal 2004 fedele ministro degli Esteri del presidente Vladimir Putin, Lavrov – in arrivo stasera a Roma per incontri con Draghi e Di Maio – ha plasmato gli ultimi 17 anni delle relazioni internazionali della Russia, tornata protagonista sui principali dossier internazionali, grazie a una politica estera spregiudicata, che spesso ha sfruttato (e fomentato) divisioni e debolezze dell’Occidente.
Settantuno anni, di famiglia armena, Lavrov è un diplomatico di lungo corso, con una grande esperienza al Palazzo di Vetro. Laureato al prestigioso Istituto statale di Mosca per le relazioni internazionali (Mgimo), dove si formano i quadri della diplomazia russa – oggi – e sovietica – in passato -, quando ha assunto l’incarico di ministro degli Esteri era già uno dei diplomatici più rispettati tra le élite politiche, sia internazionali che russe.
I primi passi in diplomazia sono presso l’ambasciata sovietica in Sri Lanka, di cui parla la lingua (oltre al francese e all’inglese). Già nel 1981, entra nello staff della rappresentanza sovietica alle Nazioni Unite e dopo un passaggio da vice ministro degli Esteri, sotto Boris Eltsin, diventa rappresentante permanente della Russia all’Onu, nel 1994. Rimane a New York 10 anni e affina qui le sue note qualità di negoziatore intransigente ed esperto dell’alta diplomazia internazionale.
Non a caso, sulla scia dell’intervento russo in Ucraina e poi in Siria, eredita il soprannome di ‘Mister niet’ (Signor no), che il suo longevo predecessore ai tempi della Guerra Fredda, Andrei Gromyko, si era guadagnato per il frequente ricorso al veto al Consiglio di Sicurezza Onu.
A differenza dell’ex ministro sovietico, però, non incarna l’Urss minacciosa e diffidente, ma piuttosto una nuova Russia, assertiva e pragmatica, sempre comunque impegnata a impedire che gli Stati Uniti impongano la loro visione unilaterale del mondo, facendo in modo che non possano agire senza contrappesi.
Il volto di una Russia moderna, ma ancora legata alle sue tradizioni si rispecchia anche nella nomina di Maria Zakharova, nel 2015, a prima portavoce donna del ministero degli Esteri russo.
Come per la maggior parte degli alti funzionari di governo russi, della sua vita privata non si sa molto, tranne che è sposato, ha un nipote e una figlia di 39 anni che vive tra Londra e gli Usa e si occupa di arte. A differenza di molti dei suoi colleghi nell’apparato di governo – spesso ex agenti dell’intelligence – Lavrov ha uno spiccato senso dell’umorismo ed è totalmente a suo agio in Occidente.
Negli anni americani, va a sciare in Vermont e fa rafting nel tempo libero. Appassionato di whisky e accanito fumatore, è ormai leggenda il suo rifiuto di rispettare il divieto di fumo negli uffici Onu, voluto nel 2003 dall’allora segretario generale Kofi Annan.
E’ stato la voce della Russia negli alti e bassi delle relazioni con gli Stati Uniti e nel pivot verso l’Asia (in particolare la Cina), seguito alle sanzioni occidentali per l’annessione della Crimea e il sostegno di Mosca ai separatisti nell’Est ucraino. E’ lui a difendere, nei consessi internazionali, la campagna militare russa in Siria e il ruolo della Federazione nella crisi libica, rispedendo costantemente al mittente le critiche occidentali per i diritti umani nel suo Paese.
Anche se gode di un rispetto diffuso per la sua professionalità, la sua autonomia come ministro – in un sistema in cui il potere è incentrato nelle mani del presidente – è oggetto di dibattito. “Non puoi ballare il tango con Lavrov, perché non è autorizzato a ballare”, dice nel 2017, l’allora segretario di Stato Usa, Rex Tillerson.
Lavrov e Putin, comunque, concordano sull’importanza della Russia nella sfera geopolitica globale e sulla necessità di difenderne gli interessi nazionali con fermezza. È per questo, forse, che non va realmente d’accordo con Dmitri Medvedev, presidente dal 2008 al 2012, e che al Cremlino adotta un atteggiamento più conciliante nei confronti dell’Occidente: il ministro non gli perdona la decisione di aver avallato l’intervento occidentale in Libia, nel 2011, tradendo il caro principio di non interferenza.
Il concetto è valido anche in questi giorni della presa del potere dei talebani in Afghanistan. “Probabilmente la conclusione più importante è che non bisogna insegnare a nessuno come vivere, tanto meno costringerlo”, dichiara Lavrov da Vienna, ultima tappa del mini-tour europeo che da stasera lo vede a Roma.
Avendo superato il limite di età per i funzionari pubblici (70 anni), da tempo si rincorrono voci sul fatto che sia stanco e abbia chiesto di lasciare l’incarico, trovando però la puntuale opposizione di Putin. “Star e zar della diplomazia russa”, aveva titolato qualche giornale internazionale anni fa nel farne il ritratto.
Rimane tra i politici più popolari nell’opinione pubblica russa, tra gli unici – fatta eccezione per il leader del Cremlino e il ministro della Difesa, Serghei Shoigu – a essere finiti nel merchandising di magliette ‘patriottiche’.
Uno dei tanti modelli lo ritrae con una sigaretta in bocca e la scritta di una celebre frase, che nel 2008 avrebbe pronunciato parlando al telefono con il collega britannico durante la guerra lampo tra Russia e Georgia: “Who are you to fucking lecture me?” (Chi sei tu per farmi la predica?).
Source: agi