AGI – Metafore calcistiche, insegnamenti di vita. Il calcio spiega il mondo, scrisse una volta Franklin Foer. Non c’è motivo di dargli torto, altrimenti toccherebbe far finta di nulla di fronte alle curve del National Front già tifoso dell’Inghilterra, che prepararono il male oscuro della classe operaia poi sfruttato da Cummings; oppure di converso alla globalizzazione – anche quella del politicamente corretto – che nel gioco più bello di tutti trova la sua quintessenza. No, sia chiaro: metafora e vita, questo è il calcio.
Così domenica non si scontrano a Wembley due nazionali tra le più blasonate (noi più di loro, sia tenuto bene a mente) del Continente, ma due modi di intendere cosa Esso sia. Vale a dire: il Continente, che dall’ultimo europeo del 2016 – Portogallo regnante – un po’ più Vecchio si trova ad essere, e non per colpa sua. E nemmeno unicamente della Brexit, anche se la Brexit del suo ne ha messo.
Divide et impera in inglese è “divide and rule”: fanno così per lo meno dal Congresso di Vienna, figuriamoci se vi rinunciano adesso, che vanno scoprendosi ogni mattino una tacca più debolucci del giorno innanzi. Se sei malato, fai ammalare tutti gli altri. Nessuno si accorgerà della tua debolezza.
Inutile negare: in qualche modo ha funzionato. Innanzitutto questa Europa, con buona pace di Macron e Merkel che alle prossime elezioni una sarà a casa, l’altro potrebbe andarci, è sempre meno carolingia.
L’asse franco-tedesco è stato una bella cosa. Dopo il crollo del Muro di Berlino Mitterrand lo rispolverò con grande scaltrezza, per imbrigliare quel Prometeo scatenato che era il colosso tedesco, e Kohl che era uno statista gli dette ragione. In santa pace la Germania tornò ad essere il cuore dell’Europa, e la Francia potè atteggiarsi ad esserne la guida saggia e lungimirante.
Finì che i tedeschi umiliarono la più grande potenza mondiale per 7-1 e agguantarono due Mondiali nel post Guerra Fredda, nonché un Europeo. Periodo nel corso del quale i francesi, fino ad allora potenza medio-piccola, fecero loro altrettanti Mondiali ed Europei. Fino a un paio di settimane fa chi li incontrava aveva ben ragione di tremare. Ora sono fuori: Loew sta facendo la fine ingrata di Valcareggi dopo la Finale del ’70 e lo spogliatoio dei Blu è ridotto letteralmente a quattro galletti in un pollaio.
Alle semifinali sono approdate, infatti, le due periferie: l’asse del Mediterraneo e quello del Mare del Nord. In termini geopolitici: la vecchia Efta euroscettica e quello che a Bruxelles, con poca intelligenza e senza avere una gran voglia di allargare l’eurozona troppo a mezzogiorno, una volta chiamavano il Club Med.
Ci piace ricordare, di fronte a cotali memorie di scetticismo, che il Portogallo eurocampione ha dimostrato, nell’ultimo quinquennio, che si può benissimo essere tutto: latini, primi in Europa e risanatori dei bilanci senza dare troppa retta agli eurocrati. A Lisbona c’è qualcuno che vale, nel suo campo che non è di calcio, un buon Cristiano Ronaldo e forse più.
L’altra grande sconfitta è Visegrad, nel senso di Polonia Ungheria Repubblica Ceca e Slovacchia. A parte la seconda, che ha avuto un torneo più che dignitoso, le altre risultano non pervenute o quasi. Combattere ad armi pari può essere molto duro, alle volte. Molto più facile puntare i piedi a Bruxelles, lontani dagli scontri diretti.
Gli inglesi, per contro, vanno avanti a forza di stereotipi. Immobile cade e si rialza, e loro ridono e si sganasciano. Poi però non dicono nulla o quasi se è Sterling a fare il volo dell’angelo in piena area, ignorando il doppio pallone in campo e il fatto che nessuno lo ha sfiorato (non il doppio pallone: il piede di Sterling).
Sterling, del resto, significa “lira sterlina”: per sua stessa natura è contro l’euro. Parafrasiamo quel che la BBC disse di Maradona: qui qualcuno deve avere imparato all’Old Strafford come si ottengono i penalty.
Diviene troppo difficile, a questo punto, dribblare il ricordo: vinsero un solo Mondiale, con una Germania ancora Ovest e in punizione, e lo fecero con un falso storico degno dei Modigliani ritrovati nei Fossi di Livorno.
Oggi l’Uefa e l’Europa hanno un debito – morale – con loro, avendo essi ritirato immediatamente le loro squadre da quel progetto sconsiderato che era la Superlega. Come stabilito da legittimo calendario hanno potuto giocare in pace le ultime partite del torneo di fronte a un pubblico amico. Tra i due fattori non c’è rapporto di causa-effetto, sia chiaro, ma dopo di questo il credito con la fortuna può ben considerarsi estinto.
Ragion per cui si vada alla finale senza false certezze, ma con la coscienza di chi sa che Wembley ci ha già regalato in passato dei bei sorrisi. Chiedete a Fabio Capello.
Ricordiamoci quindi di due cose. La prima è che comunque Kane il rigore se lo è fatto prendere: ha dovuto abbassarsi a dare un’ulteriore e poco nobile pedata, prima di poter esultare per la somma rapina degna dello Sceriffo di Nottingham. La seconda che, se si tratta di rigori, noi certo non siamo più la squadra di belle gioie di una volta.
L’ultima delusione risale al ’94, a un Roberto Baggio cui sarebbe pura cattiveria addossare alcunché. Quindi venne Totti, che trasformò quella che tradizionalmente era una purga in un soave dolce al cucchiaio.
Solo Jorginho ha saputo compiere impresa ad essa paragonabile per freddezza e giovanile sfrontatezza: portiere seduto a terra e palla che lemme lemme si insacca esattamente dall’altra parte. Nemmeno i rigori alla Francia di Trezeguet e Zidane furono altrettanto saporosi, anche se ci valsero il trionfo sulla Francia in quel di Berlino.
Totti segnò contro l’Olanda, la qual cosa rammenta a chi oggi spera nel meglio che esiste un’altra categoria geopoliticofinanziaria di sconfitti, in questo Europei. Sono quel gruppo di saccentelli autonominatisi I Frugali. Quelli che non vorrebbero aprire mai i cordoni della borsa, e se poi c’è di mezzo il Club Med dio ce ne scampi. Olanda, Finlandia, Austria. Da ultimo la stessa Danimarca.
Vengano da noi, a imparare cosa sia il rigore: non negheremo mai un saggio consiglio a chi ha dimostrato di averne bisogno.In fondo siamo tutti europei.
Source: agi