di Pasquale Pasquino
Il 27 febbraio Libertà Eguale e altre organizzazioni hanno promosso un incontro al Teatro Sala Umberto di Roma con la partecipazione di studiosi e di attori politici a proposito della riforma costituzionale, con lo scopo di incoraggiare una proposta condivisa fra la maggioranza e almeno parte dell’opposizione, che dovrebbe permettere di evitare il referendum costituzionale che spaccherebbe il corpo elettorale con, tra l’altro, il rischio di una nuova vanificazione della riforma.
L’incontro ha fatto emergere a mio avviso alcuni problemi su cui riflettere insieme ad alcune difficoltà che si può provare a superare.
Il tema all’origine dell’incontro, cioè il tentativo di trovare un progetto che non venga solo dal governo e dalla maggioranza che lo sostiene era appunto quello della condivisione della riforma.
Vi sono a questo proposito buone ragioni, che vale la pena esplicitare e sottolineare.
La Costituzione italiana è nata, al di là dell’antifascismo, sulla base di due decisioni fondamentali ostili al regime retto dallo Statuto Albertino sin dall’unità del Paese: quella, fatta dai cittadini elettori, in favore della forma repubblicana contro la monarchia e quella, fatta dalla Costituente, circa la rigidità della costituzione da adottare.
Il tema presente già nei lavori della Commissione Forti faceva valere il principio che le norme che regolano il funzionamento delle istituzioni repubblicane in una democrazia liberale devono esprimere principi e procedure condivise non solo da una parte della rappresentanza politica – fosse anche la maggioranza assoluta – ma devono dar vita a regole il più possibile condivise, al di sopra e al di là delle diverse concezioni e scelte politiche delle parti in competizione nella normale vita democratica, basata su elezioni e possibile alternanza al governo del paese.
È questa norma che regola il buon funzionamento delle stesse revisioni costituzionali – il potere costituente derivato – e che deve far riflettere sulla scelta di operare un mutamento delle regole costituzionali da parte di una sola maggioranza, fosse anche con il risultato positivo di un referendum confermativo, valido quale che sia il numero dei partecipanti alla consultazione, per la strana assenza di quorum (come è scritto sorprendentemente nell’art. 138 della Carta).
Se si scegliesse questa via, che non ha precedenti incoraggianti, invece dell’accordo a maggioranza qualificata in seno alle assemblee rappresentative, nel tentativo di stabilizzare l’esecutivo (punto sul quale tutti sembrano d’accordo) si finirebbe per destabilizzare la costituzione. Riducendola infatti da norma suprema, qual è, a legge ordinaria di competenza della maggioranza parlamentare. Questo avrebbe la conseguenza questa sì pericolosa – invece dell’uomo solo al comando! – di spingere ogni nuova maggioranza parlamentare a modificare a suo piacere la costituzione – come si è spesso fatto per le leggi elettorali negli ultimi decenni e come avviene spesso nei paesi di America Latina, distruggendo in tal modo il principio stesso della rigidità costituzionale.
Pretendere di rafforzare il governo smontando le più sagge procedure di revisione costituzionale sembra una molto discutibile scelta. Ed è per questo che la proposta di Libertà Eguale che non viene da alcuna maggioranza merita il più grande rispetto ed interesse.
Affinché questo sforzo non si sfianchi servono alcune considerazioni sulle procedure necessarie per aprire un tentativo di revisione della proposta di riforma del governo. Ma anche una osservazione sul contenuto. Parto da quest’ultima. Si possono avere opinioni diverse sul come rafforzare il potere del presidente del consiglio, ma se esso deve esserlo attraverso modalità di nomina connesse con le elezioni è inevitabile chiarire con quale eventuale legge elettorale questa nomina dovrebbe essere collegata. Non si può costruire il primo piano di un immobile senza il pianterreno. È quindi necessario che chi propone questa strada lo faccia rendendo esplicita la legge elettorale che sostiene la riforma costituzionale, in mancanza della quale quest’ultima non sta in piedi come un uomo senza gambe o un uccello senza ali.
Quanto alle procedure in vista di un compromesso è abbastanza evidente che non si può cominciare dall’enunciazione di punti non negoziabili. Si deve iniziare da problemi condivisi da risolvere. Questi vanno esposti con chiarezza poiché si tratta dei fini per raggiungere i quali le proposte di riforma sono solo mezzi. E la razionalità di questi ultimi dipende dalla chiarezza dei fini che si vogliono raggiungere. Ricollegandomi a una osservazione del Senatore Pera credo che si debba iniziare non tanto dalla modalità di nomina del Primo ministro ma dalla specificazione dei suoi poteri.
Al momento sembra che la proposta avanzata da Stefano Ceccanti ne dia a questa figura maggiori rispetto alla proposta governativa.
Aggiungerei che la modalità dell’elezione/nomina del primo ministro non è il problema essenziale e che si rischia uno stallo su un falso punto di disaccordo. Il nodo sono i suoi poteri e le sue competenze. Se il premier per non essere sfiduciato minaccia, poiché ne ha il potere, di sciogliere il parlamento, indipendentemente dalla funzione deterrente di tale potere, evapora la responsabilità politica del governo nei confronti delle assemblee legislative e si inventa sul serio una nuova forma di governo che non è più il parlamentarismo, caratterizzato dal controllo del parlamento sull’esecutivo e non viceversa. E si importa una norma francese: quella che permette al Presidente della Quinta Repubblica francese (eletto a maggioranza assoluta, se necessario con ballottaggio) di sciogliere l’Assemblée nationale quando vuole (sondaggi permettendo, che qualche volta sbagliano!).
Al di là di queste osservazioni, se si accetta come sembra più che ragionevole la tesi che la costituzione non può e non deve essere resa flessibile, cioè inclusa sotto il controllo della maggioranza del momento, è necessario per avviare un vero confronto fra maggioranza ed opposizione in parlamento – più facile dopo le elezioni europee che grazie alla legge elettorale proporzionale acutizza i conflitti fra tutti i partiti, inclusi quelli dentro la maggioranza – abbandonare la normale dialettica politica ed assumere uno spirito costituente, che finora né la maggioranza (nonostante la buona volontà del ministro Casellati) né l’opposizione (con le sue migliaia di emendamenti) hanno manifestato e riprendere il filo del discorso cominciando dai fini e non irrigidendosi sui mezzi considerandoli come assolutamente giusti e gli unici per raggiungere uno scopo non ben identificato.
Liberta’ Eguale