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SCONFITTA IN EUROPA, MELONI SI VENDICA: FA SALTARE IL MES E COSÌ SI SUICIDA

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David Romoli

La maggioranza e il governo perdono la testa, la faccia e la compattezza tutto in un colpo solo. La sola boccata d’ossigeno, per la premier, è che l’opposizione, ancor più divisa, sta messa anche peggio. La ratifica della riforma del
Mes è stata bocciata, prima in commissione Bilancio, poi definitivamente nell’aula della Camera, col voto di FdI, Lega e M5S. Favorevoli alla ratifica il Pd e i centristi. Astenuti FI e Avs. Per sei mesi, dunque fino alle europee e oltre, la ratifica non potrà essere riproposta ma anche a quel punto, senza variazioni sostanziali, Palazzo Chigi e la Lega non sono certo orientati a cambiare idea. I 26 Paesi europei su 27 che avevano invece approvato la riforma resteranno paralizzati, essendo necessaria l’unanimità, a tempo indeterminato e forse per sempre. Difficile credere che la prenderanno bene. Dopo un anno di sofferenze, rinvii, ambiguità e oscillazioni ieri la Camera ha dunque deciso a sorpresa di esprimersi sulla ratifica della riforma del Mes. Non se lo aspettava nessuno.
L’ennesimo rinvio sembrava certo e la stessa Meloni puntava su quella carta. A forzare la mano e imporre la scelta subito è stato Salvini e lo stesso leader della Lega ha orientato l’esito del voto. Aveva affermato perentorio, rivolto all’alleata tricolore, che “così la riforma del Mes non la si può approvare”. Insomma la Lega avrebbe comunque votato contro. Meloni, che del resto era davvero contraria alla ratifica di suo, non se la è sentita di firmare una seconda resa di fronte agli imperativi dopo quella del giorno precedente, in questo caso, oltretutto, lasciando a un solitario Salvini la parte del duro e del coerente. In realtà a spingere i due partiti maggiori della destra verso la posizione drastica è stato probabilmente anche il bisogno di stornare l’attenzione dalla resa sul Patto di Stabilità e di “compensarla” con una scelta di segno diametralmente opposto.
Il problema è che, stando alle posizioni e alle dichiarazioni ufficiali sul compromesso che ha permesso di varare le nuove regole europee fiscali e sul bilancio, il voto di ieri è letteralmente incomprensibile. Costituisce anzi un tradimento degli impegni assunti con i colleghi ministri delle Finanze da Giorgetti. Meloni aveva sempre sostenuto di volersi affidare a una “logica di pacchetto”. I continui rinvii della decisione sul Mes erano spiegati e giustificati proprio con la necessità di vedere prima la conclusione delle trattative sul Patto. I governi europei, sulla scorta di quanto assicurato da Giorgetti, si aspettavano il semaforo verde per il Mes riformato subito dopo il raggiungimento dell’intesa sul patto.
Quell’intesa è arrivata. Non è quella che chiedeva l’Italia. È una sconfitta secca che avrà conseguenze profonde e di lungo periodo, appena mitigata da alcune concessioni, soprattutto l’esclusione degli interessi sul debito dal deficit, ma nulla di più. L’Italia la ha subìta senza esserne affatto soddisfatta. La ha approvata solo perché Meloni e Giorgetti non se la sono sentita di opporsi a un accordo stretto, sulla testa dei governanti italiani, da Germania e Francia. Ufficialmente, però, il governo italiano è invece soddisfatto. Giorgetti afferma di aver “ottenuto moltissimo”. Il via libera alla riforma del Mes sarebbe dunque dovuto arrivare senza ostacoli, quasi una formalità. Tale era in effetti considerata dagli altri governi europei dopo le assicurazioni del ministro italiano nell’ultimo vertice Ecofin prima di quello eccezionale e in videoconferenza di due giorni fa. Il credito che l’Italia si era comunque garantito piegando la testa sul Mes è stato così vanificato e si è anzi rovesciato nel suo opposto con la mossa di ieri.
Da Chigi minimizzano. Segnalano che comunque essendo “il nostro sistema bancario il più solido d’Europa e d’Occidente”, la mancata riforma non ci penalizza né ci mette a rischio dal momento che il nuovo Mes doveva servire soprattutto a garantire il salvataggio delle banche sistemiche a rischio di crollo. Sottolineano che per gli Stati non c’è alcun problema, potendo comunque accedere al “vecchio” Mes, cioè proprio al Fondo salva Stati. Vedono anzi nella bocciatura italiana un elemento positivo per tutti, dato che si potrebbe così “avviare una riflessione su nuove modifiche”. Ma è un tentativo goffo: la risposta dell’Europa potrà non essere fragorosa al momento ma che prima o poi arrivi è inevitabile. La preoccupazione per la mossa italiana, per i suoi riflessi a livello europeo ma anche per il precedente che si è così fissato, in concreto per il timore che d’ora in poi chiunque nell’Unione ricorra al veto, al Quirinale è fortissima. L’opposizione spara a zero ma non è che stia messa meglio della maggioranza. Si è articolata su tre posizioni diverse e la segretaria del Pd lo riconosce sostenendo però che “le differenze che certo ci sono non ci impediscono di costruire alleanze nei territori, come stiamo facendo”. Però quando le differenze riguardano questioni come la posizione nell’Unione, le guerre in Ucraina e Gaza e il rapporto con la Nato qualche problema, magari non “nei territori” ma nel territorio nazionale anche Elly Schlein farebbe bene a porselo.

Fonte: L’Unità