Di Vittorio Sangiorgi (Direttore del Quotidiano dei Contribuenti)
Esiste un nesso tra i terremoti verificatisi nella dorsale appenninica e la presenza di anidride carbonica (CO2) nelle falde . A dirlo è uno studio condotto dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) e dall’Università di Perugia pubblicato sulla rivista Science Advances.
Nel corso della ricerca sono stati presi in considerazione dati geochimici e geofisici raccolti dal 2009 al 2018, inclusi anche quelli riguardanti i disastrosi sisimi verificatisi a l’Aquila e ad Amatrice e Norcia. Come spiega Carlo Cardellini, docente di Geochimica e Vulcalogia dell’ateneo umbro, infatti: “Dai dati emerge una correlazione tra i due fenomeni, ma non sappiamo ancora se la CO2 è un segnale che annuncia il sisma: per verificarlo si tenterà un monitoraggio continuo nel tempo”. Significativo, su questo aspetto, che é probabilmente quello sul quale si lavorerà maggiormente in futuro, il rilievo di Giovanni Chiodini, Dirigente di ricerca dell’Ingv: “Per quanto le relazioni temporali tra il verificarsi di un evento sismico e il rilascio di CO2 siano ancora da approfondire, in questo studio ipotizziamo che l’evoluzione della sismicità nella zona appenninica sia modulata dalla risalita del gas che deriva dalla fusione di porzioni di placca che si immergono nel mantello“.
Un meccanismo, quello appena descritto, che determina la formazione di serbatoi ad alta pressione nella crosta terrestre, i quali poi – è questa l’ipotesi che viene fuori dallo studio – favorirebbero il verificarsi di terremoti. Come precisano Francesca Di Luccio e Guido Ventura, ricercatori dell’Ingv, infatti: “La sismicità nelle catene montuose potrebbe essere correlata alla depressurizzazione di questi serbatoi e al conseguente rilascio di fluidi che, a loro volta, attivano le faglie responsabili dei terremoti”.
Le conclusioni di questa ricerca, dunque, aprono nuovi ed importanti scenari nello studio dei fenomeni sismici e in ottica prevenzione.