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SCARPINATO, IL GRILLINO INTEGERRIMO, VENDEVA CASA ALL’IMPUTATO

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Piero Sansonetti Aldo Torchiaro

Il j’accuse «Quella che vi sto mostrando è la relazione della procura della Repubblica di Palermo, firmata anche da Scarpinato, che documenta, anzi, come dire, confessa – data la situazione! – che il compratore o il marito della compratrice del pm era un mafioso!»
Pare che la notizia sia antica. Però nessuno la conosceva, e quando, ieri, me l’hanno portata, non ci credevo. Invece pare che sia tutto verificato. Roberto Scarpinato, fino qualche mese fa Procuratore generale a Palermo (una delle cariche più importanti in magistratura) e ora passato alla politica con il partito dei grillini e di Conte, ed esposto sempre su posizioni assolutamente integerrime, e di denuncia feroce del malcostume e della politica degli occhi mezzi chiusi con la mafia, beh proprio lui, quando già era un Pm molto noto a Palermo, vendette una casa di famiglia, a Sciacca (cittadina di circa 40 mila abitanti, sul mare, in provincia di Agrigento) ad un prezzo esorbitante e ad un acquirente un po’ sospetto. La casa fu venduta per circa 700 milioni – scrisse all’epoca l’ex ministro della Giustizia Filippo Mancuso – mentre – sempre secondo Mancuso, sul mercato non valeva neanche la metà di quei soldi. Fu un gran bell’affare. L’acquirente era stato processato per mafia, e questo Scarpinato lo sapeva. Si dice che l’acquirente fosse molto vicino ai Siino. Chi era Siino? veniva chiamato il ministro dell’economia di Riina, si occupava di appalti. Sugli appalti di Siino indagò il colonnello Mori ma poi la sua indagine, avviata da Falcone, fu archiviata, prima che Borsellino potesse prenderla in mano. Fu archiviata da Scarpinato e da un altro magistrato.
Coincidenze, coincidenze, coincidenze. Non è mica vietato vendere la casa a un probabile mafioso. Dov’è il reato? Non venitemi a parlare della solita bufala del concorso esterno in associazione mafiosa, per favore. È un reato che non esiste, lo abbiamo scritto mille volte. Certo se il protagonista di quella vendita, invece di Scarpinato, fosse stato un deputato del centrodestra, o anche del centrosinistra, la Procura avrebbe aperto una indagine. Ma non era un deputato, il protagonista, e non ci fu indagine. Ora il protagonista ha la possibilità di diventare deputato. Tra gli integerrimi 5 stelle.
L’ex procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, vuole appendere la toga al chiodo di Palazzo Madama. Candidandolo come paladino dell’Antimafia nella sua Sicilia, il M5s di Giuseppe Conte gli ha promesso (e garantito, da capolista) uno scranno parlamentare. In quel Parlamento il nome di Scarpinato era già entrato, nel 1999. E non esattamente per un encomio. A farlo risuonare fu allora l’ex ministro della giustizia Filippo Mancuso che dai banchi dell’opposizione, dove sedeva per Forza Italia, indirizzò una circostanziata interrogazione al Governo.
L’atto di sindacato ispettivo partiva da un articolo pubblicato dal Velino il 26 ottobre di quell’anno. Rendeva noto un fatto che il ministro guardasigilli Oliviero Diliberto non ebbe modo di smentire nel merito. Scriveva Mancuso: «…Nel mirino degli investigatori c’è la vendita, fatta il 30 agosto del 1996, di un immobile a Sciacca e del quale Scarpinato Roberto, (al tempo, ndr) sostituto nella procura di Palermo, era comproprietario con la sorella Lidia Maria Giulia e altri parenti. La casa fu venduta per 690 milioni a una società, la Cesa, di cui è socia accomandataria gerente la signora Rosaria Di Grado. La signora Di Grado è la moglie di Salvatore Fauci, uno dei maggiori imprenditori siciliani specializzato nella produzione di laterizi. L’imprenditore, nel 1992, fu indagato dalla procura della Repubblica di Palermo assieme a decine di altri imprenditori in seguito al dossier De Donno sui rapporti tra mafia, politica e appalti. Attenzione: parliamo di Mafia e Appalti, l’inchiesta proibita costata qualche carriera e forse più d’una vita. Occhio alle date che concatenano i tratti ora salienti, ora drammatici, di quella nefasta stagione del 1992: il 23 maggio la strage di Capaci uccide Giovanni Falcone, che insieme a Paolo Borsellino stava concentrando il lavoro su Mafia e Appalti. Il 13 luglio i pm di Palermo, Scarpinato e Lo Forte, chiedono l’archiviazione dell’inchiesta Mafia Appalti. Il 19 luglio il giudice Paolo Borsellino muore in un agguato sotto casa della madre, in via D’Amelio. Il 14 agosto viene concessa – con inusuale solerzia, alla vigilia di Ferragosto – l’archiviazione definitiva dell’indagine.
E torniamo al 1992 con il documento agli atti parlamentari. Scriveva ancora l’ex magistrato Filippo Mancuso: «Nel 1992, comunque, la posizione di Fauci fu archiviata con decisione firmata dall’allora procuratore della Repubblica Pietro Giammanco, dall’aggiunto Guido Lo Forte e da, appunto, Roberto Scarpinato. Il fatto di cui sopra non risulta finora in alcun modo smentito e, nella parte riguardante i menzionati magistrati, appare di notevole gravità sotto l’aspetto deontologico e funzionale». Fin qui i fatti riportati alla Camera dei Deputati. Leggiamo il resoconto stenografico depositato a Montecitorio, perché nell’archivio documentale delle interrogazioni parlamentari il testo a oggi non appare leggibile. Chiese allora Mancuso al ministro Diliberto: «Chiedo di sapere quali iniziative di propria competenza intenda promuovere nei confronti dei magistrati che, in questa vicenda, siano coinvolti o in prima persona o come titolari dei doveri di vigilanza e/o disciplinari, a tutt’oggi trascurati». L’allora ministro della Giustizia del governo D’Alema rispose senza eccepire i fatti, ma decise di non dover procedere. La replica di Diliberto: «Dalla documentazione acquisita dal procuratore generale, dal procuratore della Repubblica di Palermo, nonché dal procuratore della Repubblica di Caltanissetta, emerge in primo luogo che il dottor Scarpinato era nudo comproprietario per un sesto indiviso di un immobile a Sciacca pervenutogli in eredità dalla madre nel 1992. (…) Alla vendita per 690 milioni si provvide tramite una delle agenzie originariamente incaricate. Il dottor Scarpinato non partecipò alle trattative, ma alla stipula dell’atto, ovviamente, avvenuta nell’agosto 1996. Ad acquistare l’immobile fu la società Cesa di Di Grado Rosaria, moglie di Salvatore Fauci, già indagato in un procedimento instaurato a seguito di una informativa dei carabinieri del 1991 e alla trattazione del quale il dottor Scarpinato era stato designato nel maggio del 1992 con altri sette componenti del cosiddetto pool antimafia. Per il Fauci, come per altri venti dei complessivi ventisette indagati, fu chiesta l’archiviazione il 13 luglio 1992 con provvedimento a firma del procuratore Giammanco, del dottor Lo Forte e dello stesso Scarpinato. La richiesta fu accolta dal Gip il successivo 14 agosto». Due date che coincidono con l’archiviazione di Mafia e Appalti, con lo spegnimento in tutta fretta di quello che era avviato ad essere il motore centrale delle indagini sul sistema corruttivo in Sicilia. Tanto che una parte della magistratura ha deciso di non arrendersi: la Procura di Caltanissetta a fine luglio di quest’anno ha riaperto il filone. Mafia e Appalti aveva messo in luce, tra le altre prime risultanze, il ruolo nevralgico di Angelo Siino: autentico regista degli affari dei Corleonesi, il “ministro dei Lavori pubblici” di Riina era un esperto di aste, gare e appalti. Nel suo sistema aveva previsto che per tutti gli affari conclusi in Sicilia, al “Capo dei capi” doveva essere assegnato lo 0,80%. Oltre a questa, le percentuali che doveva pagare chi otteneva l’appalto erano il 2% per i politici, il 2% per la famiglia mafiosa territorialmente competente e lo 0,50% per i pubblici controllori. Siino venne arrestato nel 1991 e iniziò a collaborare con la giustizia nel 1995; dai verbali dei suoi interrogatori derivano i dettagli sulle percentuali sugli appalti. È scomparso l’anno scorso. Non potrà quindi dire la sua sulla vicenda di questa compravendita che ha riguardato la proprietà immobiliare del giudice Scarpinato e uno degli uomini ai quali sarebbe stato legato, il re dei laterizi Salvatore Fauci. E non potrà dire la sua Filippo Mancuso, scomparso nel 2011. Le sue ultime parole furono gridate nell’aula di Montecitorio: «Quella che vi sto mostrando è la relazione della procura della Repubblica di Palermo, firmata anche da Scarpinato, che documenta, anzi, come dire, confessa – data la situazione! – che il compratore o il marito della compratrice del pubblico ministero Scarpinato era un mafioso legato ai Siino, braccio destro del famoso Siino!». E concludeva: «Mentre sussisteva tutto questo, il dottor Scarpinato si elevava agli onori degli altari dell’antimafia, con un piglio che è ancora più grave dal punto di vista antropologico che da quello morale: un’indegnità comunque, in ogni caso». La risposta del Guardasigilli provò a dissolvere le ombre: «Nessun addebito di carattere deontologico e funzionale sembra poter essere rivolto al dottor Scarpinato. Peraltro ho provveduto a richiedere informazioni, come dicevo, anche alla procura di Caltanissetta. Questa ha riferito che non esistono indagini aventi ad oggetto il tema dell’interrogazione né alcun organo di polizia ha trasmesso comunicazione di notizia di reato attinente».
Nessun illecito, a parere del Ministro di allora, ma una dinamica tanto discutibile quanto scivolosa. Per la cronaca, stando alle valutazioni di Mancuso: l’immobile di Scarpinato, situato nel comune di Sciacca, pur essendo stato valutato 300 milioni di lire, venne venduto a quasi 700 milioni. Più del doppio del suo valore. Venne comprato dalla moglie di un indagato su cui lo stesso Scarpinato aveva svolto indagini e disposto l’archiviazione quattro anni prima di concludere l’affare. Nel giugno 2014 Siino iniziò a ricordare meglio il ruolo di Fauci: «Pagava il pizzo attraverso fatture gonfiate. Si aumentava il costo delle operazioni contabili, si riscuoteva il relativo importo e la differenza tra il valore reale e quello creato veniva consegnato in contante alla mafia». Fauci nel 2016 verrà condannato in Appello a un anno e mezzo per essere stato “Responsabile di false informazioni ai magistrati con l’aggravante dell’aver agevolato Cosa nostra”. Una storia che ha dell’incredibile, quella della casa di Scarpinato a Sciacca, su cui sarà indispensabile andare a fondo. Ieri lo ha chiesto Luca Palamara, oggi ci torna Matteo Renzi: «Ancora ieri c’è stata una polemica contro di me da parte del M5s e di Scarpinato, magistrato candidato con i grillini. Io vorrei chiedergli: perché invece di insultare me non risponde a Palamara?». Oppure a Filippo Mancuso, venti anni dopo.

Fonte: il Riformista