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Scala: in mostra Callas vista da Curran, Armani e Martone

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Maria Callas interpretata e svelata attraverso lo sguardo di cinque voci del panorama artistico contemporaneo: Giorgio Armani, Alvin Curran, Latifa Echakhch, Francesco Vezzoli e Mario Martone. E’ una mostra inusuale, inedita, ‘Fantasmagoria’, organizzata dal Teatro alla Scala per celebrare il mito di Maria Callas, a cura di Francesco Stocchi con allestimento di Margherita Palli, presso il Museo Teatrale alla Scala, nell’ambito del palinsesto di iniziative per Callas 100, il centenario dalla nascita della Divina.
D’altra parte il soprano era profondamente legato alla storia del Piermarini che l’ha vista interprete di 23 titoli d’opera in 28 spettacoli dal 1950 al 1961, tra cui 6 inaugurazioni di stagione. Percorrendo le sale in cui si snoda l’esposizione, fortemente voluta da Donatella Brunazzi, direttrice del Museo, ci si ritrova a ‘conoscere’ l’artista da cinque diversi punti di vista: attraverso l’interpretazione dello stilista Giorgio Armani che a lei ha dedicato un magnifico abito da sera rosso magenta della collezione ‘privè’ del 2021. Sulla parte della sala la dedica dello stilista: “Si può dare forma una voce? Ho pensato quindi a un abito che rispecchiasse l’idea che avevo della sua voce, del suo canto, ma anche della sua personalità. Un vortice di passione, controllo e sentimento, timbro nitido e chiaro. L’ho scelto ascoltandola e immaginandola”.
Si continua con l’installazione di Francesco Vezzoli ‘La Traviata 63 volte’, dove il volto di Maria Callas, stampato a laser su tela, si ripete per sessantatré volte. Ogni fotogramma è arricchito da un ricamo metallico azzurro che richiama l’idea del make-up, costruendo una riflessione sul volto di scena del soprano. Da una sala all’altra, attraverso pesanti separè neri. Ci si ritrova nel lavoro del musicista e compositore Alvin Curran, che si è detto “arricchito in maniera indescrivibile” per questa esperienza, “per essersi immerso nel mondo sonoro di Maria Callas”. Focalizzando la propria attenzione sulla voce del soprano quale elemento fondante della sua figura, Curran costruisce un’inedita composizione musicale tratta dalla vasta raccolta di registrazioni e concepita per restituire le stratificazioni del timbro che è sempre stato la cifra stilistica della Callasa. Sulla parete la sua dedica: “La Callas, la sua voce un dono della natura che appartiene a tutti noi”, “il suono del vento, il suono del ruscello. Ha quella immensità infinita”.
Si prosegue con l’installazione dell’artista Latifa Echakhch, che approfondisce l’aspetto della presenza scenica di Maria Callas, con la quale ha detto di sentire delle affinità: “si è adattata a un ambiente sociale non suo, come ho fatto io per amore dell’arte”. Oltre una cascata di perle bianche, come lacrime, e piccole stisce rosse, come il sangue, il dolore, al visitatore si rivela la sagoma fantasmatica del soprano, restituita come una visione di bellezza e fragilità.
Un altro capitolo della mostra è raccontato dal regista Mario Martone, che si concentra sull’incontro tra Maria Callas e Ingeborg Bachmann, avvenuto a Milano nel 1956 in occasione di una prova de La Traviata.
La rappresentazione filmica, interpretata da Sonia Bergamasco, racconta l’impatto che l’incontro ha avuto sulla scrittrice e poetessa austriaca e realizza un ritratto profondamente umano della figura del soprano, raccontato non come diva da idolatrare ma come personalità profonda e singolare. “E’ stato un processo creativo bello – ha detto il regista – un flusso di energia vitale al cui centro c’è la considerazione che lei è ancora qualcosa di vivo”. D’altra parte come spiega anche il curatore della mostra Francesco Stocchi “La vera erede della Callas è la Callas stessa. Il suo temperamento, il suo carisma e la sua voce intrisi di eternità, hanno delineato i tratti della diva del XX secolo”.
“Fantasmagoria Callas” si apre con una selezione di costumi che il soprano ha indossato nel tempo, attualmente conservati presso l’Archivio storico del Teatro alla Scala. Testimoniano l’influenza che Maria Callas ha sempre esercitato sulle arti l’abito in seta marrone realizzato da Pietro Zuffi per Alceste e i due costumi pensati da Nicola Benois per Poliuto e Don Carlo, fino ad arrivare a quello dipinto da Salvatore Fiume per Medea nel 1953. (AGI)