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Sardegna l’Ohio d’Italia: voto e terzo mandato micce accese

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Se lo stato Usa simbolo della Rust Belt è decisivo per la Casa Bianca è anche vero che la terra dei Quattro Mori sembra essere l’ago della bilancia per gli equilibri di maggioranza e per le Europee

Claudia Fusani

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Per chi viaggia il jet lag è fastidioso: sei su un altro fuso orario, il metabolismo è scombussolato, dormi nei momenti sbagliati. Ma per i politici che viaggiano il jet lag non è la cosa peggiore: quello che davvero fa male è vedere la differenza tra la qualità del dibattito politico italiano e ciò di cui discute il mondo.
La politica italiana vede i consueti litigi: la Schlein che mette in fuorigioco i riformisti che stanno zitti e accettano qualunque cosa; la Meloni che si sente accerchiata da tutto, dai poteri forti ai Salvini deboli; la Russia che viene utilizzata per vicende di banale politica interna anziché richiamarci a una riflessione geopolitica più ampia. Nel frattempo l’Italietta della diplomazia prende un’altra bella batosta dopo Expo e Bei: abbiamo straperso anche la gara per l’Autorità antiriciclaggio. Di solito da quando c’è Tajani arrivavamo terzi (su tre), stavolta siamo arrivati quarti, su quattro. Dopo Francoforte, Madrid e Parigi. Un successone direi. Per fortuna di Tajani al congresso di Forza Italia è l’unico candidato: non essendocene altri, forse ce la fa. Forse.
Invece il mondo discute di questioni vere: l’intelligenza artificiale e il rapporto con l’energia, la qualità del lavoro, lo spazio con gli americani che tornano sulla Luna, la geopolitica.
Sullo sfondo l’elefante nella stanza: le elezioni americane. Ne ho parlato ieri a Miami in un panel con – tra gli altri – Mike Pompeo, già Segretario di Stato americano con Trump e già capo della CIA. Pompeo è una vecchia volpe di sangue abruzzese ed è un uomo molto intelligente, uno dei volti migliori dell’Amministrazione Trump. Quando si dialoga con personalità di questo genere – anche sui temi che non si condividono – ci si rende conto della distanza siderale rispetto alle beghe politiche nostrane. Fateci caso, in Italia alla fine dei conti capire se si farà la pace tra Russia e Ucraina occupa meno spazio del capire se si farà la pace tra Fedez e Ferragni: la trasformazione dei politici in influencer è ormai quasi completata. Tutti a cercare like, pochi a offrire una visione realmente innovativa per il Paese. E dire che proprio le elezioni americane sono la più grande opportunità per accelerare su alcuni progetti, a cominciare da quello della difesa comune europea. Sono progetti che vanno concretizzati prima della vittoria di Trump. La scelta di Rutte alla guida della Nato è un segnale di serietà apprezzato. Ma la gravità della situazione geopolitica richiederebbe una classe dirigente più attenta alle esigenze delle persone e meno occupata a conservare se stessa: i burocrati e presunti leader di Bruxelles capiranno che stavolta la campana suona anche per noi? Cambiamo l’Europa oggi prima che il nuovo disordine mondiale renda superfluo il ruolo del Vecchio continente. Insomma: è tempo di Stati Uniti d’Europa, non di piccole beghe di cortile.
Echi l’avrebbe mai detto che la Sardegna sarebbe diventata l’Ohio. Se il piccolo Stato americano è decisivo per la Casa Bianca, la Sardegna peserà moltissimo sugli equilibri di maggioranza e sulle Europee. E una faccenda da addetti ai lavori, il terzo mandato per sindaco e governatori bocciato giovedì da un asse rossobruno che ha visto insieme I Fratelli, Forza Italia, Pd 5 stelle e persino la sinistra, sta diventando l’innesco per una reazione a catena di cui potremo già vedere le conseguenze domani nelle urne. E soprattutto nelle prossime settimane tanto a destra quanto a sinistra. Il voto sardo e il nodo “terzo mandato” sono due micce accese. Molto meno del caso Russia e Navalny. Cominciamo dal centrodestra. Salvini è rimasto in Sardegna fino a ieri. Nelle ultime ore utili per l’appello al voto ha provato a togliersi di dosso il sospetto del filo-putiniano, ombra e macchia che lo inseguono da sempre e specie adesso che non ha speso mezza parola sull’omicidio di stato dell’unico oppositore dello zar, il dissidente Alexei Navalny. “Io non metto piede in Russia da anni (nel 2019 era sulla piazza Rossa, ndr) – ha detto ieri ai cronisti che lo aspettavano – e non ho mai fatto accordi commerciali con la Russia (di quello con Russia Unita, il partito di Putin se ne trova traccia anche sul web, ndr). Per quel che mi riguarda, chi invade, chi aggredisce, chi uccide, chi bombarda, chi semina morte, distruzione e odio, non può avere nulla a che fare con me”. È il minimo sindacale ma è già molto rispetto all’ambiguità dei giorni scorsi (“saranno medici e giudici a fare chiarezza sulla morte di Nalvalny”). Probabilmente parole concordate con la premier che oggi comparirà per il primo G7 a presidenza italiana a Kiev accanto a Zelensky. La presidenza G7, dopo le nette prese di posizione di Ursula von der Leyen, Joe Biden, Emmanuel Macron e Borrell, non possa iniziare con i dubbi e i sospetti che in Italia siano al governo amici di Putin. Sotto questo profilo il leader della Lega ha teso la mano alla premier. E alla sua base elettorale, soprattutto al nord, un po’ stufa delle intemerate del segretario.
I rapporti in maggioranza si sono avvelenati con la spaccatura sul Terzo mandato a sindaci e predro sidenti di regione, favorevole la Lega, contrari FdI e Forza Italia. Il voto in Commissione giovedì è stata l’ennesima secchiata d’acqua gelida nella schiena del leader del Carroccio. Può finire così? No. Al di là della promessa di Salvini (“ne riparliamo in aula”) per tutto il giorno ieri si sono inseguite voci sul fatto che il vicepremier stesse dando indicazioni per il “voto disgiunto, alla Lega come lista e a chi volete voi come candidato governatore”. Ricostruzioni velenose che Salvini ha dovuto smentire: “Queste sono fantasie di qualche quotidiano di sinistra che ha l’attendibilità di Topolino. Spero che tanti votino Lega e di avere Paolo Truzzu come governatore”. L’intensità delle indiscrezioni era tale per cui è stato obbligato a smentire. Ma non c’è dubbio che Salvini prenderebbe una boccata d’aria se per la prima volta in due anni Giorgia Meloni “cadesse” in Sardegna. Truzzu è il suo candidato, è un amico di Atreju, lo ha voluto a tutti i costi – nonostante il giudizio non esaltante – e se non ce la dovesse fare sarebbe una brutta caduta. La prima. Anche a Forza Italia, che tutto sommato un paio di candidati buoni li avrebbe avuti, non dispiacerebbe l’incidente sardo. Salvini ha bisogno di riorganizzare le idee in vista delle Europee. I sondaggi lo danno basso e lui sente di perdere terreno. Luca Zaia “libero” in circolazione, senza la possibilità del terzo mandato, potrebbe diventare il più temibile competitor interno. A cui la stessa Meloni potrebbe guardare con interesse per avere un socio di maggioranza meno riottoso e imprevedibile. Scenari che frullano nella testa di Salvini. E non sono una bella compagnia. Anche nel centrosinistra il quaè complicato. Elly Schlein si è affrettata ieri ad andare in tv a spiegare: “Quello era un emendamento solo per Zaia, per noi invotabile. Todde è l’unica alternativa, Soru fa un favore alle destre”. Tre punti facilmente confutabili. Ma lo stesso Bonaccini ha rinviato la discussione “dopo la Sardegna”. Atto di responsabilità perché sarebbe quasi un sabotaggio scatenare ora un regolamento di conti con la segretaria che lunedì ha aperto alle ragioni di chi, tra gli amministratori, ha chiesto almeno di ragionare sui motivi del terzo mandato, ha avviato un gruppo di lavoro che poi è stato bellamente dimenticato dal capogruppo Boccia quando giovedì mattina ha imposto al gruppo in Commissione di votare no. Insieme a Meloni e Tajani. E anche 5 Stelle e Sinistra e Verdi. Da giovedì le chat interne e quelle dei sindaci sono in fermento. “Schlein ha preso in giro mezzo partito ed è urgente un chiarimento” è la richiesta più ortodossa. Si ragiona anche, in questa parte del Pd, del fatto che se Todde dovesse vincere (“cosa che tutti noi ci auguriamo” precisa un dem seppure irritato per “la sceneggiata” sul terzo mandato) “alla fine vedrai che il merito sarà di Conte”. Per lui è sempre win-win: se vince perché ha imposto la sua candidata; se perde è colpa del Pd e della scissione al centro fatta da Renato Soru”. La cui lista, in base ai sondaggi, sta andando molto bene: è l’unica che parla di Sardegna e lo fa con qualche risultato a disposizione. Lista nata perché Conte ha imposto Todde e Schlein ha accettato in nome di una “prova generale del campo largo” negando le primarie che invece Soru aveva richiesto. In base al regolamento del partito. Conte, che poi un giorno sì e l’altro pure, alza paletti e distinguo rispetto al Pd.
Al Pd tutto questo non piace. Urge chiarimento. Dopo la Sardegna che è diventata molto di più dell’Ohio. Perché in fondo quello sardo è solo il primo test in vista delle Europee.

Fonte: Il Riformista