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Sandro Pertini: «Si svuotino gli arsenali, si colmino i granai»

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Il settimo presidente della Repubblica Italiana si spegneva a Roma il 24 febbraio 1990, all’età di 94 anni

di Gianni De Iuliis

Il 24 febbraio 1990 si spegneva a Roma, all’età di 94 anni, Sandro Pertini. Fu il settimo presidente della Repubblica Italiana (1978-1985). Primo socialista e unico esponente del PSI a ricoprire tale carica.

Il suo mandato iniziò proprio all’indomani del caso Moro, quindi in un Paese fortemente scosso dal terrorismo. Riuscì a rappresentare la Nazione senza divisioni. Il suo carisma, la sua simpatia, la sua umanità, l’interpretazione di fondo che diede alla carica più prestigiosa della Repubblica italiana, spesso fuori dai tradizionali protocolli e cerimoniali, la sua costante critica alle istituzioni e ai partiti, accrebbero notevolmente la sua popolarità.

Il «Presidente con la pipa» non abitò sul Colle e spesso interveniva direttamente nelle questioni politiche, rivoluzionando un ruolo che fino a quel momento era stato spesso «notarile» e di «rappresentanza».

Citiamo alcuni episodi che meglio possono riassumere la figura di Sandro Pertini.

Nel 1980, all’indomani del terremoto dell’Irpinia, giunse subito sul luogo e urlò «Fate presto» per chiedere di accelerare i soccorsi.  Fu il principale sostenitore della nascita della moderna Protezione Civile.

Nel 1981 Alfredo Rampi, detto Alfredino, cadde in un pozzo artesiano a Verimicino, vicino Frascati. Giunse subito sul posto il presidente, che si fece porgere il microfono per poter parlare con il bambino e che si trattenne tutto il giorno e tutta la notte, rimanendo sveglio vicino quel posto maledetto per più di 24 ore consecutive.

Nel 1982, dopo la vittoria italiana ai Mondiali di calcio di Spagna, riportò in Italia con l’aereo presidenziale i calciatori e lo staff, giocando a carte sull’aereo con il ct Bearzot, il capitano Zoff e l’ala destra Causio.

Nel 1983, da antifascista convinto, andò al capezzale di Paolo Di Nella, un giovane missino romano ucciso a sprangate nel 1983 da militanti di sinistra, che non furono mai condannati.

Nel 1984, dopo il drammatico comizio finale a Padova di Enrico Berlinguer, fece prenotare una stanza dell’ospedale padovano in cui fu ricoverato il segretario del PCI in seguito all’ictus che lo colse proprio sul palco, rimanendo a vegliarlo per due giorni e due notti fino alla sua morte, riportando a Roma la sua salma e organizzando personalmente i funerali del suo compagno.

Un populista? Un interprete di una Repubblica presidenziale? Sarebbe interessante rivedere il concetto stesso di Populismo secondo l’interpretazione di Pertini, sganciandolo dalla deriva peronista e dalla sua tragica conversione demagogica. Sicuramente Pertini non fu un demagogo, né un picconatore fine a se stesso in cerca di consensi. Né tantomeno espressione di élite economiche che utilizzano il populista di turno per controllare le masse e continuare a fare progredire i propri affari. Né infine un assertore convinto di una forma di presidenzialismo all’italiana mirato a screditare il Parlamentarismo. Il suo rapporto diretto con le masse si fondava innanzi tutto sulla forte volontà di esaltare il popolo per difenderlo e proteggerlo dal potere partitocratico e dalla corruzione della classe dirigente. Ricordiamo che poco tempo dopo la morte di Pertini inizierà la decadenza e la crisi della Prima Repubblica, il cui funerale sarà celebrato nell’ambito dell’inchiesta Mani Pulite del pool di magistrati della procura di Milano, la tristemente famosa Tangentopoli.

Alcune notizie biografiche, per non dimenticare

Pertini fu arruolato durante la Prima Guerra Mondiale e inviato a combattere sul fronte dell’Isonzo. Aderì dopo la Grande Guerra al Partito Socialista Unitario di Filippo Turati.  Perseguitato e condannato per il suo impegno politico contro la dittatura di Mussolini fu costretto all’esilio all’estero, ove comunque proseguì la sua attività antifascista. Divenne una delle personalità di primo piano della Resistenza; a Roma fu catturato dalle SS e condannato a morte, evadendo dal carcere di Regina Coeli assieme a Giuseppe Saragat. Nell’aprile del 1945 partecipò agli eventi che portarono alla liberazione dal nazifascismo, organizzando l’insurrezione di Milano e votando il decreto che condannò a morte Mussolini e gli altri gerarchi fascisti.

Nell’Italia repubblicana fu eletto deputato all’Assemblea Costituente per i socialisti, quindi senatore nella prima legislatura e deputato in quelle successive, sempre rieletto dal 1953 al 1976. Ricoprì per due legislature consecutive, dal 1968 al 1976, la carica di presidente della Camera dei deputati. Infine fu eletto presidente della Repubblica Italiana l’8 luglio 1978.