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Salvini assolto, il salvinismo no

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Gli hanno inflitto la peggiore pena: lo hanno assolto. I giudici di Palermo assolvono Matteo Salvini dal processo Open Arms perché “il fatto non sussiste”. Lo assolvono dal sequestro di persona, dall’abuso d’ufficio. Matteo Salvini viene assolto alle 19,40 del 20 dicembre 2024. Non è un leader perseguitato, non è Berlusconi, non è Bobby Sands, e non è più il leader che rischia sei anni di carcere. Da oggi è solo l’assolto Salvini. Esce dall’aula insieme a Giulia Bongiorno, e dice mentendo: “Sono felice. Ha vinto il buonsenso, ha vinto l’italia, ha vinto il concetto che difendere i confini non è un reato. Si assolve un’idea”. Era pronto a fare il pirata di governo, Salvini uncino, e sale invece sulla zattera dei leader scagionati, i vincenti che perdono.
Anni di persecuzione (letterale) e di ansia e di cinico sputtanamento senza prove, anni di messa al bando dalla politica piena senza un indizio che avesse peso. Così vanno le cose in Italia, mentre si spera inutilmente da trent’anni che quest’oscenità venga riconosciuta e messa al bando da un paese minimamente civile. Motivo per cui Matteo Renzi fa benissimo a denunciare lo stato delle cose. Una cosa santa. Senza però dimenticare come le sorelle Meloni, da
Salvini
assolto, il salvinismo no. La sentenza di un tribunale conta, naturalmente, e Salvini ha ottime ragioni per esultare per le quattro parole consegnate ieri dal Tribunale di Palermo sul caso Open Arms: il fatto non sussiste. Si potrebbe dire che quella del Tribunale di Palermo sia stata una sentenza dal sapore politico, per così dire, perché ad aver confessato di aver violato il diritto del mare, cinque anni fa, sul caso Open Arms, fu lo stesso ex ministro dell’interno e la sentenza del tribunale, da questo punto di vista, è una concessione alla Realpolitik e può creare un precedente pericoloso: se un ministro decide di mettere la propaganda politica su un piedistallo più alto del rispetto del diritto internazionale quel ministro è legittimato a farlo. La sentenza del tribunale di Palermo è importante e va rispettata, come si dice in questi casi, anche se con qualche dubbio, e se a Salvini fosse stata data una piccola pena pari a mille ore da dedicare allo studio dei trattati internazionali e altre mille ore da dedicare a girare per il Mediterraneo con una ong non sarebbe stato uno scandalo. Ma i temi sollevati dal processo Open Arms costringono a riflettere su un altro processo altrettanto importante, che riguarda sempre il dossier dell’immigrazione, che riguarda sempre il ministro Salvini e che vede in questo caso per il vicepremier una condanna senza appello. Salvini potrà inscenare ogni genere di teatrino, dopo l’esito del primo grado del processo a Palermo, ma quello su cui non potrà cavillare è il fatto che il governo di cui fa parte, da due anni e passa, ha scelto di muoversi sull’immigrazione seguendo una traiettoria opposta rispetto a quella teorizzata dal vicepremier in questi anni. Nel corso degli ultimi anni Salvini ha sempre sostenuto – e la sentenza di Palermo gli darà qualche elemento in più per continuare a sostenerlo – che per governare l’immigrazione sia necessario chiudere i porti, promuovere il blocco navale, sfidare l’europa, allearsi con i nazionalisti, bocciare il modello Ursula, non firmare i trattati sull’asilo e sui migranti, non riattivare le missioni navali europee e non chiedere solidarietà ai partner europei per evitare di trasformare l’italia nel campo profughi d’europa. Il governo di cui fa parte Salvini, invece, ha sonoramente bocciato il modello Salvini, condannandolo all’irrilevanza, e per fortuna ha fatto tutto l’opposto dimostrando che l’approccio all’immigrazione modello Truce è controproducente per la difesa dell’interesse nazionale. E così, in questi ultimi due anni, il governo di cui Salvini è vicepremier ha fatto l’opposto di quello che Salvini sostiene sia necessario fare quando si parla di immigrazione: non ha chiuso i porti, non ha sfidato l’europa, non si è alleato con i nazionalisti, ha promosso il modello Ursula, ha firmato il trattato sull’asilo e sui migranti.
lui indicate come burattinaie dell’origine e della perduranza dei suoi guai, senza l’aiuto generoso delle signorine Milella, dei signorini Travaglio e Lerner, del signor Bersani con relative mucche al seguito, prima, quindi della signorina Schlein, alla testa dell’identica mandria (trattasi qui della medesima signorina con cui Renzi pare stia per maritarsi), ecco: senza dimenticare, si diceva, come le terribili sorelle Meloni, tutte sole col loro piemme, avrebbero al massimo sferruzzato la maglia.