di Chicco Testa
La Green Transition è stata uno dei principali motivi programmatici della legislatura europea che sta per finire. E’ diventata uno dei principali motivi di scontro e di scontento, che alimenta copiosamente il serbatoio elettorale delle forze più critiche nei confronti dell’ Unione: partiti di ispirazione populista o apertamente di destra. Perché questo è avvenuto?
Lasciamo pure perdere una minoranza diciamo così negazionista dall’inizio schierata all’opposizione. Ma il fatto che l’applicazione delle misure conseguenti abbiano sollevato un largo scontento fra i cittadini, le imprese più importanti del panorama europeo, gli agricoltori e i consumatori, qualche esplicita presa di distanza da parte di Governi e in zona Cesarini il tentativo di mitigarne gli effetti da parte per esempio dei Popolari europei, deve, se lo si vuole salvare e riproporre nella prossima legislatura, suggerire qualche drastico cambio di rotta.
Che cosa non ha funzionato? Prima di tutto troppe cose tutte insieme, con obbiettivi troppo sfidanti e in troppo poco tempo. Sono stati messi sul tavolo molti dossier (agricoltura, energia, imballaggi, case green, automotive, natura, ETS, border tax, …) con scadenze molto ravvicinate e target irraggiungibili. Pensare di poter ridurre l’uso dei fitofarmaci del 50% entro il 2030 per esempio. O proporsi di raddoppiare, sempre entro il 2030, il tasso di penetrazione elettrica tutta fatta con le rinnovabili. In Italia questo significherebbe immatricolare fra i 6 e gli 8 milioni di auto elettriche in 7 anni , quando nel 2023 se ne sono vendute circa 60.000. Oltre a diversi milioni di pompe di calore, quando molti appartamenti non hanno nemmeno lo spazio per installarle. La recente normativa sulle case green, altro esempio, significherebbe per l’Italia investimenti superiori ai 50 miliardi di euro per molti anni. Non credo che negli altri Paesi le cose stiano in modo molto diverso.
A ciò si deve aggiungere un approccio ultra dirigistico, quasi sovietico, che ha messo completamente da parte il principio, pure sancito nella narrativa europea, della neutralità tecnologica a favore di una meticolosa regolazione. L’ultima normativa sugli imballaggi si spinge a stabilire quali ortaggi possono o non possono essere imballati nella plastica e con quale peso. Per non parlare dell’errore tedesco, imposto a tutta Europa, dell’abbandono del nucleare, oggi fortunatamente soggetto a qualche tardivo ripensamento.
Ma dove il green deal ha mostrato tutta la sua debolezza è nell’attuazione di due principi fondamentali. La transizione “giusta” e l’innovazione tecnologico – produttiva.
Il peso si è scaricato quasi completamente sulle spalle dei consumatori con bollette energetiche gravate da centinaia di miliardi di incentivi alle rinnovabili, salvo poi dovere stanziare altrettante risorse per fare fronte alla crisi del gas e da diversi costosi obblighi.
Ancor peggio sta andando con la capacità competitiva dell’Europa. Questa è stata fra l’altro la giustificazione principale per spiegare perché l’ Europa con il suo 7/8% di emissioni totali dovesse avviarsi con tanto impeto nella direzione green: acquisire un vantaggio competitivo. E’ successo esattamente il contrario. Non vi è un’area tecnologica green in cui l’ Europa abbia la leadership. Materiali per le rinnovabili, batterie, materie prime fondamentali, auto elettrica. Cina e a seguire USA hanno tagliato fuori l’EU che oggi è costretta a decidere dazi protettivi, con l’inevitabile aumento dei costi per consumatori e le ritorsioni sull’export europeo. In compenso abbiamo provocato una crisi d’identità nel settore dell’automotive, dove avevamo un leadership indiscussa, che non sa letteralmente più che pesci pigliare.
Che fare quindi? Rallentare e selezionare prima di tutto e assicurarsi poi di avere le risorse finanziarie e tecnologiche per sostenere le decisioni. Puntare con forza sull’innovazione tecnologica. L’impatto sociale e produttivo delle misure va valutato seriamente non con i consigli interessati di qualche centro studi amico che moltiplica benefici e posti di lavoro come i pani e i pesci.
La transizione ecologica non può essere una nuova ideologia che consola gli orfani del socialismo o peggio ancora, dell’anticapitalismo. La transizione non si fa imponendo scadenze burocratiche, sarà invece un processo lungo, ha uno scenario che è il mondo, dove l’ Europa corre il rischio di finire come il classico vaso di coccio. Salviamo la transizione dagli eccessi.
Liberta’ Eguale