“Il nostro studio”, dichiara Susan Kaech, titolare della cattedra NOMIS al Salk, “mostra che la funzione di una cellula può essere direttamente collegata a ciò di cui si nutre, aiutando a chiarire la metamorfosi delle cellule T in disfunzionali o esaurite e a definire di coseguenza possibili strategie di prevenzione”.
Il metabolismo ha un ruolo centrale nel processo cellulare di trasformazione dei nutrienti che forniscono alla cellula tutte le risorse per svolgere le proprie attività, in metaboliti, ovvero piccole molecole che nascono dalla scomposizione degli stessi nutrienti. I metaboliti svolgono diverse e importati funzione nell’organismo, ad esempio promuovono la regolazione epigenetica, un processo che cambia la forma del DNA di una cellula per alterare l’accessibilità di diversi geni. Ciò fa, dunque, supporre che un cambiamento nel metabolismo possa essere responsabile anche di alterazioni epigenetiche che trasformano le cellule T effettrici in cellule T esauste, ma il punto era scoprire se e quali geni fossero coinvolti in questo processo. Pertanto l’attenzione dei ricercatori si è focalizzata sull’acetil-CoA, uno dei metaboliti più importanti e diffusi, prodotto sia dalle cellule T effettrici sia da quelle esaurite, in cui è stata evidenziata un’interessante differenza. Le cellule T esauste tenderebbero, infatti, a produrre acetil-CoA utilizzando una proteina chiamata ACLY che utilizza il citrato, anziché ACSS2, un’altra proteina che invece si serve dell’acetato.
Studiando geneticamente la produzione di queste due proteine metaboliche in entrambi i sottotipi di cellule T in campioni di tessuto sia di topi sia umani, i ricercatori hanno scoperto che l’espressione genica ACSS2 era più altamente espressa nelle cellule T effettrici e drasticamente ridotta nelle cellule T esauste Al contrario, i geni ACLY erano espressi in modo simile sia nelle cellule T effettrici sia in quelle esauste, con un’espressione leggermente maggiore in queste ultime, suggerendo che le cellule T hanno bisogno di esprimere ACSS2 per mantenere uno stato funzionale e che l’esaurimento genera maggiore dipendenza da ACLY. Per testare questa ipotesi, i ricercatori hanno eliminato singolarmente dalle cellule T i geni ACLY e ACSS2, osservando che la perdita di ACLY aumentava l’attività delle cellule T antitumorali e che all’opposto la perdita di ACSS2 riduceva l’efficacia e l’efficienza delle cellule T. Ciò suggerirebbe che l’acetil-CoA a valle, derivato da queste proteine, possa determinare la formazione di cellule T esaurite.
“È chiaro dunque che i tipi di nutrienti sfruttati dalle cellule sono in grado cambiare la loro espressione genetica e identità, e questo rapporto di “dipendenza” dai nutrienti apre all’opportunità di sfruttare i nutrienti come strategia per combattere le malattie croniche”, afferma Shixin Ma, ricercatore post-doc presso il laboratorio di Kaech. “Le cellule T esauste che abbandonavano ACSS2 per rivolgersi a ACLY, ci hanno indotto a usare più citrato e meno acetato per creare acetil-CoA, nonostante la disponibilità equivalente di entrambi i nutrienti”.
I ricercatori hanno inoltre osservato l’accumulo di due distinte forme di acetil-CoA, altrimenti identici, in diverse posizioni nel nucleo in cui è immagazzinato il DNA della cellula, a seconda che fosse derivato dall’acetato tramite ACSS2 o dal citrato tramite ACLY. Ogni nutriente-specifico è stato quindi collegato a determinati istone acetiltransferasi, ovvero a proteine che rimodellano il DNA e influenzano l’espressione gene-specifica per modificare il comportamento e l’identità cellulare. In una sorta di effetto domino, è stata infine osservato una “ripetizione” del nesso tra nutriente e esito prodotto, in partiolare: l’enzima metabolico (ACSS2 o ACLY) avrebbe determinato il tipo nutriente utilizzato, l’enzima metabolico la posizione dell’acetil-CoA, la posizione dell’acetil-CoA l’attivazione di specifici istone acetiltransferasi e infine istone acetiltransferasi il mantenimento dell’identità delle cellule T effettrici o il passaggio a cellule T esauste. Questo nuovo collegamento tra nutrizione e identità cellulare offre una innovativa spiegazione sull’identità delle cellule T esaurite e a sua volta offre nuovi bersagli per future terapie che potrebbero mantenere le cellule T “accese” più a lungo.
“I risultati di queste scoperte”, conclude Kaech “potranno esser sfruttate in ambito di immunoterapia e di immunologia poiché ogni cellula utilizza questi processi metabolici, aprendo nuovi potenziali approcci per supportare la funzione immunitaria”. Uova strapazzate e pancetta o frutta e verdura fresche? Se rispondessimo le seconde, la scelta sarebbe più che salutare non solo per l’organismo, come ormai risaputo, ma anche per determinare l’identità delle cellule immunitarie. Immunologi del Salk Institute, in un lavoro su Science, avrebbero dimostrato la capacità del cibo, quindi dei macro e micronutrienti, di determinare anche la natura e la “robustezza” delle cellule immunitarie.
È noto che l’organismo si affida alle cellule T “effettrici” per contrastare gli agenti patogeni, specializzate per combattere i patogeni, le quali tuttavia in contesti critici, come infezioni da HIV o tumori, potrebbero trasformarsi in cellule T “esauste”, senza più armi adeguate per attaccare e difendere l’organismo da fattori di danno importanti per l’organismo. Ma non solo, cellule T esauste, sarebbero meno pronte anche a rispondere efficacemente a importante trattamenti, quali l’immunoterapia ad esempio. In termini nutrizionali, la trasformazione delle cellule T da effettrici a esauste, sarebbe governate dal passaggio dell’acetato a citrato. Tale scoperta dunque porta nuove informazioni sulla potenzialità dei nutrienti di poter modificare l’espressione genica, la funzione e l’identità di una cellula, sottolineando il ruolo dell’alimentazione nel determinare la salute dell’organismo (e delle cellule immunitarie). (AGI)