“I due principali attori di questo sistema, sul versante ormonale – ricorda Gianluca Ianiro docente di gastroenterologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, gastroenterologo di Fondazione Policlinico Gemelli – sono l’adiponectina e la leptina; la prima ha effetti favorevoli, poiché migliora la sensibilità all’insulina e contrasta l’infiammazione metabolica. Più alte sono le concentrazioni di adiponectina nel sangue circolante, più si riduce l’incidenza di obesità e di patologie ad essa correlate, come il diabete di tipo 2 e gli eventi cardiovascolari; per questo, rappresenta un potenziale target terapeutico (e alcuni farmaci già in uso, come SGLT2 inibitori, analoghi recettoriali di GLP-1, agonisti di PPARgamma, ne aumentano i livelli; ma sono allo studio anche farmaci ad hoc, come gli agonisti Adipor). La leptina è al contrario la ‘cattiva’ della situazione; è un prodotto del gene ob (come ‘obesità’), promuove l’assunzione di cibo, l’adipogenesi e l’infiammazione, peggiorando così le malattie metaboliche e infiammatorie. Rilasciata dal tessuto adiposo, arriva al cervello dove controlla l’assunzione di cibo e la sazietà, l’appetito, il peso e il bilancio energetico. È implicata in una serie di malattie autoimmuni e infiammatorie. La presenza di elevate concentrazioni di leptina nel sangue è predittiva della comparsa di diabete di tipo 2 e rappresenta un fattore di rischio per malattie cardiovascolari e non solo. I gli analoghi recettoriali dei GLP-1, usati per trattare obesità e diabete, riducono le concentrazioni di leptina e questo può contribuire ai loro effetti”. Molti altri i mediatori prodotti dal tessuto adiposo hanno un importante ruolo nell’infiammazione. La NAMPT (nicotinamide fosforibosil-transferasi) ad esempio è un’adipochina ad attività pro-infiammatoria, mentre l’apelina e l’FGF21, hanno proprietà anti-infiammatorie (il trattamento con apelina sintetica, APL-13, riduce la gravità della colite cronica e i danni neurologici dopo ischemia cerebrale nel topo). L’apelina ha anche effetti benefici sulle malattie metaboliche: riduce la disfunzione metabolica, la resistenza insulina e il peso corporeo nell’obesità. L’equilibrio tra ‘buoni’ e ‘cattivi’ dell’infiammazione può influenzare la formazione dei tumori, la resistenza insulinica, le malattie cardiovascolari aterosclerotiche, l’infiammazione e la fibrosi del fegato. E tutto parte dal tessuto adiposo. Il tessuto adiposo, lungi dall’essere un semplice magazzino di energia, è stato sdoganato da anni anche come organo endocrino, in quanto produttore di una serie di sostanze (come adiponectina, leptina) implicate nel controllo della fame e dell’appetito e quindi del peso corporeo. “Ma il grasso è molto più di questo”, afferma Antonio Gasbarrini, preside della Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ordinario di Medicina Interna e direttore della UOC di Medicina Interna e Gastroenterologia di Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS. “È infatti un organo attivo anche sul versante immunitario, per la produzione di una serie di citochine come il Tumor Necrosis Factor (TNF) e l’IL-1 beta”, aggiunge. L’insieme di sostanze ad azione ormonale e citochine viene indicato col nome di adipochine. “I mediatori prodotti dal tessuto adiposo – prosegue Gasbarrini – sono in grado di influenzare le risposte immunitarie alla base della cosiddetta ‘infiammazione metabolica’ e la metainfiammazione, che caratterizzano una serie di malattie metaboliche ed alla base di condizioni quali la resistenza insulinica, le malattie epatiche associate a disfunzione metabolica (il ‘fegato grasso’, steatosi epatica associata a disfunzione metabolica) e di una serie di complicanze cardiovascolari”. In un articolo pubblicato su Nature Immunology da Gasbarrini e da Gianluca Ianiro, in collaborazione con ricercatori dell’Università di Innsbruck (Herbert Tilg e Timon E. Adolph), gli autori mettono in evidenza come le adipochine partecipino a questa ‘conversazione’ immunitaria che si verifica tra una serie organi metabolicamente attivi e il loro ruolo fondamentale nell’obesità; ma anche di come queste conoscenze possano essere sfruttate per potenziali interventi terapeutici “La sostanza a maggior potenziale terapeutico – ricorda Gasbarrini – è al momento l’FGF21, un’adipochina prodotta dal tessuto adiposo e dal fegato che migliora il metabolismo del glucosio, riduce i trigliceridi e aumenta la produzione di adiponectina; ha inoltre effetti anti-infiammatori e anti-fibrotici. Tutte azioni che ne fanno un target terapeutico ideale contro le malattie metaboliche. Al momento l’efruxifermina, una proteina di fusione Fc-FGF21 a lunga durata d’azione è al vaglio di studi clinici sulla steatoepatite metabolica”. In conclusione, la carenza di adipochine protettrici o l’eccesso di adipochine patologiche possono contribuire all’infiammazione metabolica, alla metainfiammazione, allo sviluppo di disfunzione metabolica e quindi alla comparsa di malattie cardio-metaboliche. Nonostante un indubbio avanzamento delle conoscenze però restano ancora molte zone d’ombra su come un tessuto adiposo disfunzionale, tipico dell’obesità, possa contribuire all’infiammazione metabolica (misurabile’ attraverso la proteina C reattiva ad alta sensibilità, hsPCR) perché sono tanti gli attori in scena. A questa situazione già complessa, contribuiscono inoltre anche istanze di medicina di genere, che rappresentano un’ulteriore importante variabile in grado di influenzare la sintesi delle adipochine e l’infiammazione metabolica. “Un modello a ‘più colpi paralleli’ – spiega Ianiro – è quello che meglio potrebbe spiegare l’origine dell’infiammazione metabolica; da una parte la disbiosi del tratto gastrointestinale, comune nell’obesità e caratterizzata da un’espansione dei ‘patobionti’ ad azione pro-infiammatoria. Dall’altra la dieta, in grado non solo di modulare il microbiota intestinale, ma anche il ‘tono’ infiammatorio. Disbiosi intestinale e dieta pro-infiammatoria possono dunque contribuire non solo all’infiammazione sistemica ma anche a peggiorare quella del tessuto adiposo”. Conclude Gasbarrini: “La perdita di peso, ottenuta attraverso la chirurgia bariatrica o con i farmaci anti-obesità (come gli analoghi recettoriali del GLP-1 o doppi agonisti GLP-1 e GIP) è il modo più efficace per ‘spegnere’ l’infiammazione sistemica e migliorare gli esiti a lungo termine nell’obesità. Nel frattempo, sono in rampa di lancio anche gli studi clinici sugli agonisti dell’adiponectina. Ed è importante continuare ad approfondire le ricerche sul ruolo delle diverse adipochine nelle varie patologie cardio-metaboliche, anche con l’ausilio dell’intelligenza artificiale, visto che la pandemia di obesità è destinata ad aggravarsi nella prossima decade”. (AGI)