Type to search

Salute: 4 anziani su 10 esclusi da cure migliori causa l’età

Share

Dopo l’appello degli scienziati italiani per la crisi del servizio sanitario pubblico sottofinanziato, i geriatri lanciano l’allarme sui bisogni di salute, soprattutto dei grandi anziani, su cui il Servizio sanitario nazionale non investe abbastanza risorse. Gli anziani sono considerati “troppo vecchi e costosi” per ricevere le cure più avanzate, da cui trarrebbero i maggiori benefici, e per essere inclusi negli studi clinici per la sperimentazione di farmaci di cui sono i primi a fare uso. Un paradosso, frutto di uno stigma grave e inaccettabile sulla base dell’età, che secondo i geriatri si riflette anche sulla percezione negativa del proprio invecchiamento inducendo la stessa persona anziana a rinunciare all’aderenza alle terapie, a screening e comportamenti preventivi, con gravi effetti sulla salute. L’ageismo è una questione di rilevanza globale.
Secondo uno studio condotto su oltre 80 mila persone in 57 Paesi, pubblicato sull’International Journal of Environmental Research and Public Health, una persona su due ha pregiudizi basati sull’età che influenzano anche uno dei settori chiave della vita degli anziani, cioè la sanità, riducendo l’accessibilità alle cure e l’appropriatezza dei trattamenti. Per questo motivo l’ultimo e storico rapporto sull’ageismo stilato da Oms e Onu nel marzo del 2021 ha evidenziato la necessità di politiche e leggi che affrontino la questione, oltre che di attività educative e intergenerazionali che riducano i pregiudizi, in modo da progredire nella collaborazione globale per il decennio dedicato all’invecchiamento attivo dalle Nazioni Unite (2021-2030).
Ogni azione in questo senso è urgente considerato che, secondo l’Oms, entro il 2050 una persona su cinque nel mondo sarà over-60. In questo contesto nasce la Carta di Firenze, il primo manifesto mondiale contro l’ageismo sanitario, messo a nudo e rafforzato anche dalla pandemia, che sarà presentato in occasione del congresso “Anti-ageism Alliance. A Global Geriatric Task Force for older adults’ care”, organizzato dalla Fondazione Menarini con il patrocinio della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (Sigg), che vedrà riuniti a Firenze il 5 e 6 aprile, nell’Auditorium della Camera di Commercio, i presidenti delle maggiori società geriatriche del mondo, insieme a esponenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e delle Nazioni Unite, esperti di etica e rappresentanti delle associazioni di pazienti.
Il documento coordinato da Andrea Ungar, ordinario di Geriatria all’università di Firenze, presidente del congresso e della Sigg, e da Luigi Ferrucci, direttore scientifico del National Institute on Aging di Baltimora, è stato messo a punto da un panel internazionale di esperti, tra cui Alana Officer, capo del dipartimento su Cambiamento demografico dell’OMS e responsabile della campagna dell’Healthy Ageing, Marlane Sally Krasovitsky, consulente della campagna globale contro l’ageismo sostenuta dall’OMS, Laura Fratiglioni del Karolinska Institute di Stoccolma e Mary Tinetti dell’Università di Yale.
Il manifesto appena pubblicato sull’European Geriatric Medicine e sul The Journal of Gerontology, punta su 12 azioni concrete per ridurre al minimo l’impatto negativo dell’ageismo nell’assistenza sanitaria e migliorare la qualità di vita degli anziani, riducendo i costi legati alle loro patologie. In base ai pregiudizi e agli stereotipi legati all’età si ritengono gli anziani già “titolari di una quantità di vita sufficiente”, ormai gravosi per il sistema sociale ed economico.
“Quasi un effetto collaterale del successo medico che ha cronicizzato le malattie, determinando un incremento della coesistenza di più patologie nello stesso individuo”, dichiara Ungar. “È aumentato così il numero di anziani da assistere e, con esso, la forma più diffusa di ageismo, cioè la discriminazione degli anziani nell’ambito sanitario. Infatti, nonostante rappresentino la maggioranza dei malati con patologie croniche quasi sempre concomitanti, il 40% degli anziani è tagliato fuori dalle terapie più avanzate e appropriate e dai protocolli sperimentali senza valide ragioni mediche ma solo in base all’età. Gli effetti negativi dell’ageismo influenzano anche la longevità, con una probabilità fino a 4 volte più alta di morire nelle persone anziane che hanno un’autopercezione negativa dell’invecchiamento rispetto a coloro che hanno una visione positiva della vecchiaia. Interiorizzare stigma e pregiudizi potrebbe essere un nuovo fattore di rischio per una vita più lunga”. A sostenerlo i risultati di uno studio condotto su 5483 persone di età compresa tra i 50 e 74 anni, pubblicato su The Gerontologist dai ricercatori del New Jersey Institute for Successful Aging, secondo cui gli anziani che hanno atteggiamenti ageisti hanno un rischio di mortalità entro 9 anni fino a 4 volte più alto (45%) rispetto a chi ha una percezione positiva dell’invecchiamento, pur tenendo conto delle variabili demografiche di salute e stile di vita.
“Nella comunità medica”, puntualizza Ferrucci, coordinatore insieme a Ungar della Carta di Firenze e direttore scientifico del Direttore Scientifico del National Institute on Aging di Baltimora, “resistono barriere mentali che fanno ritenere poco adeguato il ricorso a nuovi farmaci e alle terapie più innovative, oltre una certa età. Bisogna quindi proteggere gli anziani dalla discriminazione sanitaria e fare in modo che ricevano le cure migliori”.
Aggiungono gli esperti: “È inevitabile che, laddove le risorse sono limitate, si operino delle scelte, ma un paziente anziano curato in maniera inefficace, va incontro a ricadute e riospedalizzazioni e deve essere nuovamente trattato con uno spreco di risorse, oltre che di vita e sofferenze individuali”. Le azioni proposte nel manifesto per invertire la rotta puntano innanzitutto alla formazione. Il tema dell’invecchiamento deve diventare parte integrante del percorso formativo del personale sanitario e degli assistenti sociali.
“È necessario – continua Ungar – anche un cambiamento di paradigma nell’approccio alla cura dell’anziano che non può essere trattato “a pezzetti”, di volta in volta dal cardiologo, dal neurologo, dal diabetologo, ma deve essere seguito con il necessario sguardo di insieme dal geriatra come medico della complessità. Serve poi dare priorità agli anziani nei pronto soccorso che rappresentano un fattore di rischio per via dei lunghi tempi di attesa e una presa in carico non adeguata, che possono contribuire al declino cognitivo e al peggioramento delle condizioni fisiche”.
Il medico deve anche cercare una maggiore condivisione del percorso di cura con il paziente e con i suoi caregiver informandoli correttamente delle possibili alternative, ascoltando con attenzione le loro esperienze. “I pazienti anziani – sottolinea Ferrucci – andrebbero inclusi nei trial clinici per la sperimentazione di farmaci da cui sono tagliati fuori perché ritenuti troppo “inquinati” dalle loro fragilità, che comporterebbero studi più sofisticati e complessi e maggiori controlli. Vengono invece esclusi, quando sono i primi a far uso di farmaci e terapie. Altrettanto necessario riprogettare gli ambienti ospedalieri per renderli più age-friendly, riducendo l’isolamento e l’immobilismo a letto dei pazienti e realizzare device sanitari facilmente utilizzabili anche da chi è più avanti negli anni”.
L’ageismo è un fenomeno strisciante anche nella sanità italiana e gli effetti sono lampanti nel caso delle malattie cardio-cerebrovascolari, che riguardano oltre il 60% degli over-65 e raggiungono il picco dell’80% negli ultra 85enni che in Italia superano i 2,2 milioni. Con l’aumentare dell’età le prescrizioni farmacologiche e i regolari controlli raccomandati dalle linee guida si riducono progressivamente fino a dimezzarsi negli over-85, in cui si registra un sostanziale sotto-trattamento fino al 40% dei casi.
“Lo dimostrano i dati dei registri nazionali che documentano una marcata flessione della prescrizione di statine, con un crollo di ben il 50% negli ultra 85enni dopo sindrome coronarica” dichiara Ungar. Ciò deriva almeno in parte dall’errata convinzione che una persona molto anziana non tragga significativi benefici dalle terapie, ma i dati dimostrano l’esatto contrario. “Anche negli ultraottantacinquenni la mortalità dopo un anno da un infarto, ad esempio, è in media del 70% inferiore nei pazienti che ricevono tutte le terapie raccomandate, rispetto a quelli non trattati in modo inadeguato”. commenta Ungar. “Anche nei grandi anziani, nei quali i farmaci vanno utilizzati con cautela per un maggior rischio di eventi avversi, la corretta prescrizione si rivela efficace e fornisce un contributo fondamentale per allungare la vita, migliorarne la qualità e ridurre eventi letali”. Il problema dell’ageismo si riflette negativamente anche sulla percezione dell’invecchiamento da parte della stessa persona anziana.
“Additare qualcuno come fragile può provocare quella stessa vulnerabilità e condurre l’anziano a sviluppare un atteggiamento di rassegnazione per la vita, rinunciando all’aderenza terapeutica, a screening e a comportamenti preventivi”, mette in guardia Niccolò Marchionni, professore Emerito di Geriatria all’Università di Firenze.
Uno studio condotto dalla Yale School of Public Health e pubblicato su ‘The Gerontologist’, su persone di età superiore a 60 anni, ha stimato che l’ageismo percepito in un anno è stato la concausa di 17 milioni di nuovi casi di malattie, tra cui patologie cardiovascolari, respiratorie e un aumento della mortalità, con una spesa annuale di 63 miliardi di dollari. È dunque fondamentale, tra le azioni proposte nel manifesto, promuovere l’educazione e la sensibilizzazione della popolazione, ma soprattutto degli anziani, per sconfiggere gli stereotipi e le false convinzioni che li spingono a pensare che la loro età sia un periodo di inevitabile declino”. (AGI)
SCI/RED