di Gianluca Passarelli e Francesco Battaglia
Nel processo di integrazione europea si è sempre discusso di come bilanciare due interessi contrapposti: allargare i confini dell’Unione e approfondire il livello dell’integrazione.
Il dibattito su “allargamento e approfondimento” fu al centro anche della Convenzione europea guidata da Giscard d’Estaing sul futuro dell’Europa, non solo nell’ottica di definire l’estensione territoriale dell’Unione, ma anche di chiarire cosa fosse e cosa dovesse diventare l’Unione. Tuttavia, si era progressivamente sopito dopo il 2004, poiché il rapido passaggio da 15 a 28 Stati membri aveva portato le istituzioni e l’opinione pubblica a ritenere che, quantomeno nel breve periodo, non ci fossero più le condizioni né per accogliere nuovi Stati né per avviare una seria discussione sulla riforma dei trattati. In tal senso, è noto che l’ex presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, nel primo intervento sullo stato dell’Unione, aveva escluso nuove adesioni durante il suo mandato (2014-2019). Ursula von der Leyen, in continuità con il predecessore, aveva mostrato freddezza rispetto alle questioni dell’allargamento e dell’approfondimento. Nemmeno lo shock causato dalla Brexit, con il conseguente ritorno a 27 Stati membri, aveva realmente riacceso l’entusiasmo su tali tematiche. Per diversi anni, il processo di integrazione europea, tradizionalmente inteso come un processo dinamico, sembrava destinato ad un definitivo immobilismo.
Lo scenario è completamente mutato dopo il 24 febbraio 2022, quando l’aggressione della Russia all’Ucraina ha ridefinito le priorità dell’Unione e ha riportato in primo piano le tematiche dell’allargamento e dell’approfondimento.
In risposta al mutato contesto geopolitico, le istituzioni europee hanno rilanciato l’allargamento, ritenendolo funzionale alla sicurezza e alla stabilità dell’Unione. Con un’insolita rapidità, quindi, a giugno 2022, il Consiglio europeo ha riconosciuto lo status di candidato ad Ucraina e Moldavia e l’8 novembre scorso la Commissione ha raccomandato di avviare i negoziati di adesione con entrambi i Paesi.
Secondo la presidente della Commissione, stando a quanto affermato nel discorso sullo stato dell’Unione del 2023, l’allargamento sarebbe addirittura diventato prioritario rispetto all’approfondimento istituzionale. A suo dire, infatti, non si potrebbe attendere di riformare i trattati per concludere il processo di adesione di nuovi Stati membri. E di questo si parlerà anche al consiglio del 14-15 dicembre.
Diametralmente opposta è la posizione del Parlamento europeo. Quest’ultimo, il 22 novembre 2023, ha adottato una proposta di revisione dei trattati, da lungo attesa, in cui si afferma che il quadro istituzionale è adeguato in un’Unione a 27, ma deve essere profondamente riformato prima di allargamenti. La proposta del Parlamento, che darebbe seguito ai lavori della Conferenza sul futuro dell’Europa, contiene modifiche ambiziose dei trattati, come il passaggio alla maggioranza qualificata nei settori in cui è prevista l’unanimità, un più incisivo meccanismo di controllo sui valori fondanti dell’Unione, un rafforzamento del Parlamento europeo nel processo legislativo e un ampliamento delle competenze dell’Unione in diversi ambiti strategici.
Una così ampia differenza di prospettive deve chiaramente essere affrontata in maniera seria. I processi di allargamento e approfondimento, infatti, richiedono una condivisione di intenti da parte delle istituzioni, a partire dall’identificazione delle priorità da seguire. Al momento, invece, sembra essersi delineata una situazione che prefigura un’impasse su entrambe le questioni. Il Parlamento europeo ritiene che si debba prima riformare e poi allargare, mentre il Consiglio, il Consiglio e la Commissione spingono per dare la priorità all’adesione di nuovi Stati, per procedere solo successivamente con un’eventuale riforma del quadro istituzionale. Tra l’altro, anche relativamente all’entità di un’eventuale riforma, le posizioni sono parecchio distanti. Mentre il Consiglio propende per modifiche settoriali, il Parlamento vorrebbe, invece, un’ampia revisione dei trattati, quasi sul modello del progetto Spinelli del 1984. La proposta presentata il 22 novembre scorso, infatti, contiene numerosi e significativi emendamenti ai trattati, tra cui l’aumento dei settori in cui le istituzioni decidono a maggioranza qualificata e tramite la procedura legislativa ordinaria, incluso il meccanismo sanzionatorio; la modifica del sistema di nomina del Presidente della Commissione, conferendo un ruolo più importante al Parlamento; la riduzione dei membri della Commissione a non più di 15 unità; il rafforzamento degli strumenti di partecipazione dei cittadini al processo decisionale; l’ampliamento delle competenze dell’Unione, ad esempio istituendo una competenza esclusiva in materia di ambiente e biodiversità ed una concorrente in materia di tutela della salute.
Questi, effettivamente, sono tutti aspetti di cui si dovrebbe discutere approfonditamente prima di estendere i confini dell’Unione, tenendo conto che, in una fase storica come quella attuale, indubbiamente una più delicate degli ultimi decenni, le decisioni che l’Unione assumerà nei prossimi anni saranno determinanti per il suo futuro e, pertanto, richiedono estrema cautela. Accelerare sulla strada dell’allargamento, senza prima apportare le riforme istituzionali necessarie a rafforzare la capacità di assorbimento dell’Unione, potrebbe mettere a rischio il corretto funzionamento dell’organizzazione, nonché accrescere il sentimento di disaffezione dei cittadini nei confronti del processo di integrazione, già oggi ad un livello critico. Un’Unione a più di trenta Stati non sembra sostenibile se prima non si attua una riforma del quadro istituzionale, del sistema elettorale, oggi ancorato alle dinamiche nazionali, dei processi decisionali, del sistema delle competenze e dei meccanismi a tutela dei valori fondanti sanciti all’art. 2 TUE.
In altre parole, per affrontare in maniera efficace l’attuale situazione, è necessario che “allargamento e approfondimento” procedano in maniera parallela, all’interno di un progetto che abbia un forte consenso popolare e che sia condiviso da tutte le istituzioni e dagli Stati membri. Un progetto in cui deve essere chiaro quale direzione debba seguire il processo di integrazione si vuole seguire e come si vuole cambiare l’Unione europea.
Come sosteneva Jean Monnet, l’Unione cresce in risposta alle sue crisi e, quindi, anche l’attuale situazione di difficoltà deve essere sfruttata per fare un passo in avanti nel processo di integrazione, evitando accuratamente di prendere decisioni che lo possano compromettere irrimediabilmente.
Pubblicato su Huffington Post dell’11 dicembre 2023