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Riaperture, Def, decreto Imprerse. Il governo annuncia la via d’uscita dall’emergenza

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Migliorano lentamente i dati della pandemia e si delinea un piano di riaperture a partire del 26 aprile. Quando finalmente il Covid 19 sarà sconfitto, si riproporrà fatalmente il problema del debito pubblico, che cresce a dismisura. Ma al momento le priorità sono legate all’emergenza: vaccinare, salvare la salute e la vita dei cittadini, sorreggere le attività economiche per evitarne l’ecatombe, porre le basi per far ripartire la crescita. Quindi aprire la grande partita del Recovery Plan.

di Xavier Mancoso

Dal prossimo 26 aprile, come ha confermato il presidente del Consiglio ieri pomeriggio in una conferenza stampa seguita a un lungo e travagliato vertice di maggioranza, si tornerà a riaprire il Paese. Sarà una riapertura “graduale e irreversibile” ha detto Draghi. Scuole superiori, ristoranti, bar, esercizi commerciali potranno cominciare a respirare e speriamo che non si debba più tornare indietro.

La svolta segue la decisione del Consiglio dei ministri di chiedere al Parlamento un nuovo scostamento sul bilancio di previsione 2021 per 40 miliardi, da destinare alla copertura finanziaria di un nuovo decreto Sostegni che, come ha assicurato il ministro Franco, arriverà entro la fine del mese.
Con questo nuovo scostamento, nell’anno corrente, il deficit pubblico raggiungerà, secondo i calcoli riportati nella bozza del Documento di economia e finanza, l’11,8% del Pil che significa, ad occhio e croce, una massa di circa 200 miliardi di euro.
Nel Def il governo prevede per il 2021 un rapporto tra debito pubblico e Prodotto interno lordo del 159,8%. In valore assoluto, il debito dello Stato si aggira sui 2.600 miliardi di euro. È il record da più di un secolo; per dare un’idea, nel primo dopoguerra questo rapporto raggiunse il 159,5%. Sempre nelle previsioni, il rapporto debito-Pil dovrebbe poi scendere al 156,3% nel 2022, al 155% nel 2023 e al 152,7% nel 2024.
Sono numeri che descrivono un quadro di finanza pubblica che sarebbe sull’orlo del baratro se la BCE, di Draghi prima e della Lagarde oggi, non sostenesse i debiti dell’eurozona, con una forzatura del proprio statuto che la Corte costituzionale tedesca non ha mancato di far rilevare.
Oggi lo Stato italiano ha risorse fiscali sufficienti per sostenere il suo debito. Il rischio è legato ad una possibile ripresa dell’inflazione, in Italia ma anche in Europa per via dei 750 miliardi di euro che saranno immessi nelle economie nazionali con il Recovery Fund. Se ripartisse l’inflazione, la Bce sarebbe costretta ad alzare i tassi di interesse e non potrebbe più assicurare la copertura del nostro debito, che diverrebbe insostenibile.
Quando finalmente la pandemia sarà finita, il problema del debito si dovrà necessariamente riproporre, rimettendo in campo le varie ipotesi che sono state avanzate per abbatterlo. Ma al momento le priorità sono legate all’emergenza: vaccinare, salvare la salute e la vita dei cittadini, sorreggere le attività economiche per evitarne l’ecatombe, porre le basi per far ripartire la crescita. Quindi aprire la grande partita del Recovery Plan.
Il Def delinea per quest’anno una crescita del Pil “programmatico” del 4,5%, con il Pil tendenziale al 4,1%.
Nel 2022 il Pil crescerà del 4,8%, per poi crescere del 2,6% nel 2023 e dell’1,8% nel 2024. Sono previsioni ottimistiche, molto superiori dei livelli di incremento che si sono riscontrati da dieci anni a questa parte; su questa base previsionale il rapporto deficit/Pil scenderà al 5,9% nel 2022, al 4,3% nel 2023 e al 3,4% nel 2024 per poi, a partire dal 2025, scendere sotto il 3%.
La bozza del Def che è stata resa nota parla di una politica di bilancio che deve rimanere “espansiva” (cioè largheggiare col debito) fino al 2022, mentre dal 2023 dovrebbe “muovere verso la neutralità” e dal 2024 “intraprendere un graduale cammino di consolidamento fiscale e persistente riduzione del rapporto debito/pil”.
Stanti tali preoccupazioni e previsioni, facendo approvare il nuovo scostamento di bilancio, il governo disporrà nei prossimi giorni di 40 miliardi di extra-deficit per finanziare un nuovo decreto Sostegni, che stavolta si chiamerà “decreto Imprese”.
Nella bozza del Def si legge che: “il nuovo provvedimento avrà come destinatario principale i lavoratori autonomi e le imprese, e concentrerà le risorse sul rafforzamento delle aziende più impattate dalle chiusure, la disponibilità di credito e la patrimonializzazione. Si darà la priorità alla celerità degli interventi, pur salvaguardandone equità ed efficacia”.
L’uso della lingua italiana è involuto e zoppicante, ma il concetto è chiaro: “I sostegni a partite Iva e imprese impattate dalla crisi rappresentano più della metà degli impegni previsti nel 2021. Saranno inoltre adottate misure per aiutare le imprese a coprire parte dei costi fissi, sia con sgravi di imposta che con la copertura della quota fissa delle bollette e di parte dei canoni di locazione tramite credito d’imposta».
A favore delle PMI il nuovo decreto conterrà una proroga fino alla fine dell’anno per le garanzie sui crediti delle banche e la scadenza dei pagamenti. Inoltre saranno reintrodotti rinvii ed esenzioni di imposta già attuati nel 2020 e verrà innalzato il limite delle compensazioni.
Nella bozza del Def è detto anche che con il decreto Imprese sarà creato un Fondo complementare al Pnrr, di durata decennale. In pratica un fondo “extra-Recovery” per ulteriori investimenti, da finanziare, sempre a debito, con circa 6 miliardi l’anno.
È previsto che il nuovo decreto contenga aiuti su affitti, Imu del turismo, esenzione fino alla fine dell’anno per i pagamenti legati all’occupazione di suolo pubblico. Le misure di “Transizione 4.0 “ saranno finanziare con 6,7 miliardi. Una serie di scadenze fiscali godrà di uno “stop selettivo”, ci saranno misure per dare liquidità delle imprese, come la proroga delle moratorie e il rinvio dell’entrata in vigore del Codice delle crisi di impresa.
Il governo si propone di intervenire sui cali di fatturato e sui costi fissi. La maggior parte delle risorse in extra-deficit dovrebbe essere destinata ai contributi a fondo perduto.
Ciò che più conta è la celerità nei tempi di erogazione dei contributi. La piattaforma messa a punto da Agenzia delle Entrate con Sogei ha già fatto pervenire bonifici alle partite Iva per un ammontare di circa due miliardi. Si spera che i tempi possano essere accelerati. Si pensa ad un sistema con acconti subito e o e saldo a giugno. Vanno però rivisti i criteri di erogazione legati soltanto al fatturato.
Il lavoro del governo tende a definire interventi anche sui costi fissi, destinando una congrua parte delle risorse alla sospensione o all’annullamento di alcune tasse come la Tari, l’Imu e la Tosap, ma fino a questo momento tutte le ipotesi restano aperte.