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Resta l'incognita sui vaccini. Ma ora la sfida è quella del "freddo"

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AGI – La temperatura potrebbe essere un problema serio quando si tratterà di dover distribuire il vaccino nel mondo. Mentre infatti si dissipa il polverone sollevato durante la campagna elettorale per le presidenziali americane durante la quale la preventiva autorizzazione dei vaccini era stata un’arma agitata dalla propaganda politica, e mentre la sperimentazione di fase III dei diversi candidati vaccini si avvia alla conclusione, si comincia a parlare in termini seri dei problemi legati alla distribuzione del vaccino.

Quante dosi e le prime incognite

Serviranno almeno 7 miliardi di dosi, se si vorrà coinvolgere l’intera popolazione umana. E questo nel caso in cui i vaccini funzioneranno con una sola dose e senza alcun richiamo. Sappiamo che che non tutti infatti prevedono la somministrazione di una sola dose e non conosciamo né possiamo sapere visti i tempi scarsi con cui sono stati sviluppati i farmaci quanto possa durare nel tempo la copertura immunitaria indotta dalla somministrazione: sei mesi, un anno, o piu’ a lungo?.

Si tratta di informazioni cruciali che condizioneranno gli sforzi per la distribuzione capillare di centinaia di milioni se non di miliardi di dosi che dovranno essere prodotte e distribuite in tutto il mondo. C’è poi un ulteriore ostacolo che sta facendo letteralmente gelare i polsi di quelli che dovranno organizzare la rete di distribuzione: il freddo.

La conservazione dei vaccini

Per poter garantire la conservazione dei vaccini occorre garantire una catena del freddo che li conservi entra un range di temperatura tra i 2 e gli otto gradi centigradi. Questo vale per quasi tutti i vaccini. Quelli in fase di sviluppo contro il covid-19, secondo l’Oms hanno invece bisogno di essere conservati a temperature ancora piu’ basse e sotto lo zero.

Questo richiederà una “catena del freddo ultra” a temperature che “rappresenteranno sicuramente una sfida per molti paesi”. È il caso del vaccino di Moderna la società biotech americana che sta sviluppando un farmaco innovativo che richiede una temperatura di conservazione di -20 gradi centigradi.

Nulla in confronto ai -75 gradi necessari per conservare in maniera ottimale il vaccino avviato in sperimentazione da Pfizer. Per organizzare i test clinici e distribuire poche migliaia di dosi, la casa farmaceutica ha allestito delle speciali cassette refrigerate con ghiaccio secco in grado di garantire la conservazione ottimale per un massimo di 10 giorni. Davvero troppo pochi se si pensa che questo rende davvero complicato la realizzazione di impianti di stoccaggio necessari a supportare la logistica.

Il problema della ‘caldissima’ India

Per queste ragioni in India, paese tra i più popolosi del mondo e alle prese con temperature che in estate arrivano a sfiorare i 50 gradi centigradi,un gruppo di scienziati indiani sta lavorando a farmaco che sia termoresistente. Il vaccino “caldo” o stabile al calore, affermano, può essere conservato a 100 C per 90 minuti, a 70 C per circa 16 ore ea 37 C per più di un mese e più.

Raghavan Varadarajan, biofisico e professore presso l’Indian Institute of Science, e il suo team hanno testato questo vaccino sugli animali. “Abbiamo ottenuto buoni risultati”, ha detto alla BBC Varadarajan. Ora i ricercatori stanno aspettando i finanziamenti per iniziare i test di sicurezza e tossicità sugli esseri umani. Il loro articolo e’ stato accettato per la pubblicazione nel Journal of Biological Chemistry, una rivista scientifica peer-reviewed, pubblicata dall’American Society for Biochemistry and Molecular Biology.

“Spero che dopo questo studio si aprano nuove strade per quanto riguarda i vaccini indipendenti dalla catena del freddo”, ha detto il dottor Renu Swarup, segretario del Dipartimento di biotecnologia indiano.

Il vaccino israeliano

Oltre al vaccino caldo indiano, questa settimana occorre segnalare l’avvio della sperimentazione di un nuovo vaccino, quello israeliano che fa cosi’ salire il numero dei vaccini in sperimentazione a 39 nel mondo. All’ospedale Sheba, situato nel centro di Israele, il nuovo vaccino “BriLife” creato dall’Istituto israeliano di ricerca biologica (IIBR) è stato iniettato a uno studente di 26 anni. La seconda fase, prevista per dicembre, comprenderà test di sicurezza da condurre su 960 volontari.

Nella terza ed ultima fase, in circa sei mesi, verra’ testata l’efficacia del vaccino con la partecipazione di un massimo di 30mila volontari. IIBR, istituto governativo fondato nel 1952 e situato nella citta’ centrale di Ness Ziona, si occupa di ricerca applicata nei settori della biologia, microbiologia, chimica medica, scienze naturali e scienze ambientali.

Il Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che ieri ha visitato l’ospedale di Sheba, ha affermato che “la vera uscita dalla crisi del coronavirus è nello sviluppo dei vaccini. Pertanto, questo è un giorno molto importante, che da’ un colpo di incoraggiamento”. Allo stesso tempo, un altro volontario di 34 anni e’ stato vaccinato all’ospedale Hadassah di Gerusalemme.

Questo mese, circa 80 volontari in più saranno vaccinati nei due ospedali, metà dei quali riceverà un vaccino e gli altri riceveranno un vaccino placebo. Quindi, per un periodo di tre settimane, i ricercatori verificheranno se i volontari vaccinati hanno sviluppato anticorpi.

Il vaccino russo

In attesa degli esiti della sperimentazione l’ospedale israeliano Hadassah Medical Center di Gerusalemme ha preordinato 1,5 milioni di dosi di un vaccino contro il coronavirus dalla Russia, dove è ancora in fase di sperimentazione III ma è già stato somministrato a decine di migliaia di persone.

L’amministratore delegato Zeev Rotstein ha affermato che il centro medico richiederà questa settimana il permesso del ministero della Salute di utilizzare il vaccino in Israele, se i test in Russia dimostreranno che è sicuro e può prevenire l’infezione, ha riferito il quotidiano Haaretz. “C’è una buona probabilità che il vaccino sia sicuro e una ragionevole probabilità che sia anche efficace”, ha detto, ma ha notato che il quadro completo sarà chiaro solo quando tutti i dati saranno disponibili alla fine del processo russo, che è in fase di completamento.

A pensarla diversamente dal direttore dell’importante ospedale israeliano sono i cittadini russi. Un numero crescente di loro ha dichiarato infatti di non volersi inoculare il vaccino Sputnik V contro il Covid-19, registrato nella Federazione russa, nutrendo dubbi sulla sua efficacia. Lo ha rilevato un sondaggio del centro demoscopico indipendente Levada secondo cui il 59 per cento dei partecipanti allo studio ha dichiarato che non si farebbe vaccinare contro il 54 per cento di due mesi fa.

Di fatto, due terzi dei 1.600 russi intervistati ha detto che se il vaccino fosse somministrato volontariamente e gratis, rifiuterebbero. Solo il 36 per cento si e’ detto disposto a vaccinarsi. Il 61% degli intervistati, inoltre, ha dichiarato di non fidarsi dei dati e delle notizie sulla pandemia forniti dal governo, sostenendo che i numeri su contagi e morti sono manipolati.

Indonesia sceglie il vaccino cinese

Chi invece sembra non avere dubbi è il governo dell’Indonesia che, come annunciato la scorsa settimana ha in programma la vaccinazione di 9 milioni di persone contro il Covid-19. Verrà usato il vaccino sperimentale cinese di Sinovac Biotech. Il ministro degli Affari marittimi e degli investimenti Luhut Binsar Pandjaitan ha detto che le vaccinazioni “cominceranno probabilmente nella terza settimana di dicembre 2020“.

Il governo indonesiano darà le vaccinazioni a “nove milioni di persone in aree specifiche che crediamo contribuiscano enormemente a gestire l’alto numero di casi di Covid-19”, ha detto Pandjaitan. “A Giacarta, per esempio, ci sono diverse aree che crediamo contribuiscano in modo significativo al conteggio dei casi di Covid-19, e (noi) daremo loro un’iniezione”. ù

Come è messa l’Europa

Diversa la situazione in Europa dove si attende la fine della sperimentazione clinica dei vaccini di Oxford-AstraZeneca e della Biontech-Pfizer, quelli sui quali l’Unione Europea ha maggiormente puntato per le sue scorte. “Nella migliore delle ipotesi le prime 30 milioni di dosi all’Ue” arriveranno “entro fine anno, se sara’ dicembre o gennaio cambia poco”.

Lo ha detto Piero Di Lorenzo, presidente e amministratore delegato di Irbm Pomezia, intervenendo a proposito del vaccino Oxford-Irbm-AstraZeneca a Radio Cusano. Le parole di De Lorenzo riprendono quelle pronunciate dall’Amministratore delegato Pascal Soriot nel corso di una teleconferenza stampa “Abbiamo allineato i tempi di consegna delle fiale ai tempi di lettura della sperimentazione clinica – ha detto Soriot agli analisti – su base globale, saremo pronti a fornire centinaia di milioni di dosi di vaccino in tutto il mondo entro gennaio”.

Nel frattempo lo scorso 4 novembre è iniziata la sperimentazione del vaccino AstraZeneca anche a Modena presso l’azienda ospedaliero-universitaria di Modena, uno dei sette centri italiani scelti per testare il vaccino sviluppato dall’universita’ inglese in collaborazione con l’azienda biofarmaceutica. Sarà, nello specifico, la struttura complessa di malattie infettive a occuparsi della sperimentazione, ‘arruolando’ e seguendo 300 pazienti volontari provenienti da tutta la regione.  

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Fonte: cronaca agi


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