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Referendum e Regionali, i nodi sul tavolo del governo 

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AGI – Election day il 20 e 21 settembre, come propone il governo o una settimana dopo, il 27, come invece chiede il centrodestra? E le Regionali, si svolgeranno assieme alle amministrative o i cittadini andranno a votare il 6 settembre, data che placherebbe le proteste dei governatori uscenti? E, infine, il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari sarà accorpato all’election day e si svolgerà nello stesso giorno del primo turno delle comunali o con i ballottaggi? Sono i tanti quesiti – e nodi – posti sul tavolo del governo e a cui il premier Giuseppe Conte e la maggioranza dovranno dare una risposta, tentando di non aprire nuovi fronti.

Il decreto elezioni

Intanto il contestato decreto Elezioni si ferma un giro: l’esame in Aula della Camera riprenderà l’8 giugno, per dare priorità al decreto Scuola in scadenza. Insomma, il terreno di confronto sulla data delle prossime elezioni locali si è ormai trasformato in un campo di battaglia.

E difficilmente si potrà arrivare a individuare una soluzione che accontenti tutti. Il punto, infatti, è che in campo ci sono richieste ed esigenze che confliggono tra loro. Innanzitutto c’è il rischio contagi, con il comitato tecnico-scientifico che – dietro richiesta di parere – ha consigliato al governo di aprire e chiudere le urne a settembre, non dopo, quando la diffusione del coronavirus potrebbe subire una nuova impennata.

C’è poi l’esigenza di evitare diverse tornate elettorali in diversi momenti, che avrebbero un impatto sulle casse dello Stato ma anche e soprattutto sull’apertura dell’anno scolastico, messo già a dura prova dal virus. C’è poi la difficile mediazione raggiunta all’interno della maggioranza, inizialmente divisa sull’originaria proposta di votare il 13 e 14 settembre e ora ricompattata sulla data del 20 e 21 settembre.

Le richieste del centrodestra e del Comitato promotore

E ancora: ci sono le richieste del centrodestra, contrario ad accorpare il referendum alle comunali e contrarissimo alla data del 20 settembre, proponendo invece uno slittamento di almeno una settimana, cioè il 27 (FdI e Forza Italia più barricadere, la Lega con un atteggiamento più defilato). C’è poi il Comitato promotore del referendum, che ha incontrato Conte incassando la promessa di un supplemento di riflessione.

Infine le Regioni, con 5 presidenti uscenti su 6 (Liguria, Marche, Veneto, Campania e Puglia) sul piede di guerra, che chiedono di andare a votare quanto prima, già il 26 luglio o al più tardi il 6 settembre, e che, dopo un duro scontro con la ministra dell’Interno Lamorgese, hanno scritto a Mattarella affinchè intervenga. Tra oggi e domani potrebbe tenersi un nuovo incontro con la titolare del Viminale, mentre il ‘dossier’ elezioni è già sul tavolo del premier e potrebbe essere nuovamente affrontato nella riunione odierna del Cdm.

Election day, le regioni non cedono

Al momento, spiegano diverse fonti di maggioranza e di governo, resta ferma l’ipotesi di election day, compreso il referendum, da tenersi il 20 e 21 settembre. Una soluzione che governo e maggioranza giudicano la migliore mediazione possibile. E si invitano le Regioni a convergere. Ma i governatori non cedono di un millimetro: per i 5 presidenti di regione uscenti si deve andare a votare “prima che inizi la scuola”, spiega il governatore ligure Giovanni Toti. Per Luca Zaia c’è il rischio di “sospensione della Costituzione”.

E comunque, aggiunge Toti, se non si potrà votare il 26 luglio, allora “credo che sceglieremo di comune accordo la data del 6 settembre, dopodiché il governo per le comunali scelga come ritiene”. Infatti il governo non ha competenza sulla data delle elezioni regionali, che invece spetta alle regioni stesse.

Certo, l’esecutivo vorrebbe evitare un nuovo scontro, anche alla luce della situazione delicata che il paese sta vivendo e in vista delle nuove decisioni che si dovranno assumere di comune accordo sulle riaperture dei confini regionali. Insomma, la minaccia dei governatori di non collaborare più è altamente rischiosa.

Dunque la linea dell’esecutivo resta quella del dialogo, nessuna forzatura. “La data delle elezioni va condivisa tra tutte le forze politiche. Ma ciò che dovrebbe essere scontato è l’election day, ovvero una data unica per regionali, comunali e referendum. Rispettiamo l’autonomia delle regioni ma guidata dal buonsenso e senza spreco di danaro pubblico”, afferma il sottosegretario all’Interno, il pentastellato Carlo Sibilia.

Ma il governo deve fare i conti anche col centrodestra, che chiede invece di spostare in là il voto per non compromettere la raccolta firme e una normale campagna elettorale e parla di “prevaricazione”, “attacco alla democrazia”, “forzatura senza precedenti”, tutte frasi utilizzate oggi in Aula durante la discussione generale sul decreto Elezioni.

Decreto che, nelle intenzioni della maggioranza, avrebbe dovuto essere licenziato in questi giorni, e che invece slitta all’8 giugno per dare la precedenza al decreto Scuola che scade il 7. Va ricordato che il decreto, che fissa l’election day, non indica una data precisa ma solo una finestra temporale, che va dal 15 settembre al 15 dicembre per le comunali e rinvia di tre mesi, quindi fino a fine agosto, gli attuali consigli regionali.

“Ovviamente tutti auspichiamo la quadratura del cerchio, una data condivisa per l’election day“, tira le somme il dem Stefano Ceccanti. “C’è però, almeno al momento, un problema oggettivo: governo e parlamento possono solo dialogare con le Regioni e provare a convincerle, ma non hanno margini di imposizione. Se anche le Regioni e i gruppi di opposizione non si prestano ad un’analoga flessibilità, nessuno può fare miracoli”, conclude. 

Vedi: Referendum e Regionali, i nodi sul tavolo del governo 
Fonte: politica agi


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