L’ultimo film di Mario Martone sul grande attore e drammaturgo napoletano
di Franco La Magna
Per una nuova riflessione sul teatro l’incipit non poteva che essere teatrale, portando in scena il teatro nel cinema con la più famosa delle sue farse tratte dal fluviale repertorio, “Miseria e nobiltà”, il successo più strepitoso, più volte oggetto di esilaranti trasposizioni cinematografiche (indimenticabile quella del 1954 con Totò, passata migliaia di volte in tutti i canali televisivi nazionali).
A riportare in vita la complessa figura di Eduardo Scarpetta (Napoli 1853-1925), assurto a più importante attore e commediografo napoletano tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, ci ha pensato il regista teatrale e cinematografico e altresì sceneggiatore Mario Martone, anch’egli napoletano, che di Scarpetta disegna in Qui rido io (2021), suo ultimo film presentato a Venezia, la fragorosa carriera artistica e personale, colta tra gli anni collocati tra il culmine del successo e quelli dell’inizio della parabola discendente.
In un continuo alternarsi tra scena e vita reale, Martone di Scarpetta riesce a coglierne l’essenza, esplorando intimamente il problema della paternità negata (tra i nove figli nati fuori dal matrimonio vi è anche il celeberrimo trio Eduardo, Peppino e Titina De Filippo, da cui lui si faceva chiamare “zio”, figli avuti dalla relazione con Luisa De Filippo, nipote della moglie Rosa), all’interno di una famiglia allargata formata da figli legittimi e naturali, dove il “sultano” Scarpetta, padrone incontrastato, si eleva a a simbolo di un riconosciuto potere patriarcale tradizionale.
Costantemente attraversato dal rapporto tra arte e vita, ampio spazio il film dedica altresì al lungo processo per plagio che Gabriele D’Annunzio intentò contro di lui per aver scritto “Il figlio di Iorio”, parodia (poi tale ritenuta dopo anni di udienze e non plagio come sostenuto dal “vate”) de “La figlia di Iorio”, mentre l’astro del prolifico drammaturgo partenopeo andava lentamente appannandosi, minacciato anche dalla nascente “settima arte”, il cinema, a cui anch’egli tuttavia prestò la sua interpretazione (tra gli altri fu anche interprete della versione cinematografica di Miseria e nobiltà del 1914 regia di Enrico Guazzoni).
Il titolo del film (sceneggiato dallo stesso Martone insieme alla moglie Ippolita Di Majo) riprende la frase che campeggia sulle pareti de “La Santarella”, la sontuosa villa che Scarpetta si fece costruire sopra Napoli, dove era solito dare feste lussuose. Straordinaria come sempre la camaleontica interpretazione di Tony Servillo, ben sorretta da altri talentuosi attori della scena napoletana (Iaia Forte, Maria Nazionale, Cristiana Dell’Anna, Gianfelice Imparato e lo stesso pronipote Eduardo Scarpetta). Meticolosa la scelta dei costumi di Ursula Patzak e della scenografia firmata da Giancarlo Muselli e Carlo Rescigno.