DANIELE CAPEZZONE
Di solito, nelle reazioni politiche dopo un infame atto terroristico, il problema non è mai il primo, ma il secondo giorno. Sappiamo bene come vanno queste cose: l’11 settembre eravamo tutti americani, ma già il 12 settembre erano cominciati i distinguo, le ambiguità, le mezze frasi.
La notizia è che ieri per la sinistra era già – in qualche modo – più 12 che 11 settembre, nel senso che dietro l’inevitabile solidarietà verso Gerusalemme, si sono cominciate a intravvedere (…)
(…) le prime sfumature, qualche “però”, i soliti “ma anche”, testimonianze inequivocabili di un problema aperto e irrisolto tra la sinistra italiana e Israele.
Prendete Elly Schlein: per leggere un suo comunicato, ieri, ci sono volute diverse ore, segno di un “parto” complicato. Dopo di che, leggendo il testo, uno non fa in tempo a rallegrarsi per una frase chiara (la segretaria dem esprime infatti «netta e ferma condanna per l’attacco terroristico di Hamas contro i civili israeliani»), che già poche righe dopo arriva la doccia fredda, quando la Schlein spiega che l’«escalation violenta mina le prospettive di dialogo». Ah sì? Il dialogo? E con chi lo fai il dialogo? Con Hamas e i suoi razzi? Con i terroristi che uccidono casa per casa? Con i rapitori di donne? Con chi percuote e umilia perfino i cadaveri degli israeliani in mezzo a una folla festante?
Pure Laura Boldrini, intervenuta qualche ora prima della Schlein, dà l’idea di camminare sulle uova. Da un lato, parla di «azione terroristica da condannare con forza» (bene), ma poi si affretta a precisare di aver «sempre pubblicamente condannato le violenze che subisce il popolo palestinese e l’occupazione illegale del suo territorio da parte di Israele».
NON CE LA FANNO
Non ce la fanno, è più forte di loro. Anche quando le circostanze gli impongono di usare le parole “terrorismo” e “terrorista”, subito dopo si fa strada l’esigenza insopprimibile di non schierarsi troppo con Gerusalemme, di lasciarsi sempre un margine di scarsa chiarezza.
Alcuni poi sono addirittura espliciti nel capovolgere il senso della giornata, finendo per incolpare politicamente Israele. Ecco Nicola Fratoianni, che prima fa un fervorino sulla «nostra ignavia» («Quello che sta accadendo in queste ore in Israele e nella Striscia di Gaza è, purtroppo, ancora una volta frutto della nostra ignavia») e poi va dritto contro Gerusalemme: «La violazione sistematica della legalità internazionale, delle numerose risoluzioni dell’Onu e l’assenza di una qualsiasi prospettiva di pace credibile alimentano estremismo e violenza». Morale: Fratoianni riesce nell’impresa di non citare il fatto che Israele sia stata vittima di un’azione terroristica, e anzi in ultima analisi punta il dito proprio contro Gerusalemme.
Inutile girarci intorno: l’armadio della sinistra è pieno di scheletri su questa materia. Dalle bandiere di Israele tante volte bruciate in piazza (nell’indifferenza generale) alle innumerevoli occasioni in cui, il 25 aprile, la Brigata ebraica è stata contestata e allontanata dai cortei ufficiali. Né abbiamo certo dimenticato la “passeggiata” di Massimo D’Alema a Beirut sotto braccio a un esponente di Hezbollah. O le infinite dichiarazioni – stessa musica, stesso testo – di Oliviero Diliberto.
E – si badi, tornando al presente – il problema non riguarda solo le componenti politiche “estreme” (tipo Potere al popolo, per capirci). Anche spazi informativi che amano descriversi e rappresentarsi in termini più freschi e “cool” cascano nel solito vizietto: ieri il magazine online Post, anziché parlare di terrorismo a proposito di Hamas, ha usato l’espressione «gruppo radicale palestinese». Non solo: Luca Sofri, che dirige quella testata, forse infastidito da chi ha osato criticare sui social quella definizione edulcorata, ha parlato di «capricciosi da divano», naturalmente silenziando la possibilità di commentare. Mentre la testata Will, ribaltando allegramente la realtà, è arrivata a scrivere che «Israele ha dichiarato guerra ad Hamas», quando anche un bambino capisce che ieri è accaduto esattamente l’inverso. Quanto ad Hamas, Will la definisce «gruppo palestinese». Senza parole.
GIOVANI E ALIENI
Tornando al Pd, un problema grosso riguarda pure i giovani di quel partito. Alla vigilia delle scorse politiche, fu costretto a fare un passo indietro il 29enne Raffaele La Regina, allora segretario regionale del Pd lucano nonché potenziale capolista in quella regione. La Regina, già collaboratore del ministro Peppe Provenzano, finì per accostare la legittimità dello stato di Israele all’esistenza degli alieni, come se si trattasse di una bufala. Poi cercò di sminuire, parlando di «un meme che distrattamente e superficialmente ho rilanciato in un gruppo privato. Si trattava insomma di satira, non di una posizione politica». Ah sì? Peccato che in un altro tweet (dicembre 2017) La Regina parlasse di Gerusalemme «occupata in maniera illegale e violenta da Israele durante la guerra dei sei giorni».
Ma non finisce qui. La sua collega veneta Rachele Scarpa (che è riuscita a farsi candidare ed eleggere alla Camera sempre per il Pd), ancora nel 2021 parlava di «regime di apartheid di Israele» e di «atti di guerra e di repressione nei confronti dei civili da parte del governo israeliano». Come si vede, il problema arriva da lontano ed è ben lungi – ancora oggi – dall’essere risolto.
La dura realtà che il Pd non riesce a mettere nero su bianco senza ambiguità è che Israele non ha solo il diritto di difendersi. Ha anche il pieno diritto di contrattaccare. Troppi, a sinistra, dimenticano che non basta piangere per gli ebrei morti in passato, ma occorre contribuire alla difesa degli ebrei vivi oggi. E occorre farlo per ragioni di fondo che riguardano ogni persona libera, non solo le persone di religione ebraica o i cittadini di Israele.
Fonte: Libero