Laura Canali, Maya Papotti, Giuditta Brattini e Jacopo Intini hanno impiegato mezza giornata per percorrere i cento metri tra il campo dell’Unrwa al valico di Rafah
I cento metri più lunghi della loro vita, ci hanno messo più di mezza giornata per percorrerli: dal campo dell’Unrwa, l’agenzia Onu per i profughi palestinesi. Fino a varcare il confine con l’Egitto, al valico di Rafah, nel sud della Striscia. Laura Canali di Human Rights Watch, Maya Papotti di Azione contro la fame, Giuditta Brattini dell’associazione Gazzella e Jacopo Intini di Cooperazione internazionale Sud Sud con la moglie palestinese Amal Khayal, capomissione, conosciuta tre anni fa proprio a Gaza.
Sono il primo gruppo di italiani uscito da quell’inferno, nel pomeriggio hanno parlato con Meri Calvelli, cooperante dell’Acs(Associazione di cooperazione e solidarietà), loro amica da anni, con cui hanno condiviso mille progetti umanitari. Cento metri lunghissimi, dovuti all’attesa snervante di tutti i visti e le autorizzazioni necessarie dai vari governi: Egitto, Israele, Qatar. Fino a quando è arrivato il segnale e il convoglio dell’Onu si è messo in moto.
«Ce ne andiamo – hanno detto in coro Jacopo, Amal e gli altri – ma il nostro pensiero ora va a ciò che lasciamo, al disastro di Gaza. I bombardamenti continuano, non si sono mai fermati e adesso che siamo fuori, vogliamo ancora rilanciare l’appello di tutte le Ong internazionali per il cessate il fuoco e l’ingresso degli aiuti umanitari».
Non sono felici, sono «distrutti», dicono, per le immagini e il dolore che si portano dentro. «Avevamo appena realizzato un progetto bellissimo – continua Amal – Avevamo trasformato una discarica in un parco pubblico a disposizione dei giovani di Gaza. Ora mi si gela il sangue al pensiero che su quel parco stazionano i carri armati di Israele».
Cinque ore di viaggio verso il Cairo, scortati dai nostri carabinieri, poi il rientro in Italia. «Continuiamo a lavorare adesso per gli altri italiani e congiunti che sono ancora nella Striscia – dice il ministro degli Esteri, Antonio Tajani -. Contiamo di farli uscire con le prossime aperture, programmate da domani e per i prossimi giorni».
L’operazione è stata portata a termine grazie all’azione combinata dell’ambasciata a Tel Aviv, del Consolato generale a Gerusalemme e dell’ambasciata al Cairo, col coordinamento dell’Unità di Crisi e l’apporto determinante della nostra “intelligence”, recita una nota della Farnesina.
Il gruppo degli italiani a Gaza prima di oggi era formato da 19 persone: 7 con passaporto italiano, altri 7 con doppio passaporto e 5 cooperanti palestinesi. Adesso ne rimangono 14 da evacuare. «Siamo raccolti in blocchi – hanno raccontato i 5 usciti da Gaza a Meri Calvelli – La situazione è complicatissima perché ci si deve spostare continuamente, da una casa bombardata all’altra, da un campo all’altro, in cerca di un posto sicuro, ma la verità è che non c’è».
«Sono provato ma sto bene. Il nostro ruolo è di stare al fianco della popolazione ma le condizioni drammatiche sul campo non ci consentono di lavorare», ha detto Jacopo Intini a Sergio Cipolla, il presidente della Ong «Ciss» di Palermo. Sua moglie Amal conclude con un pensiero amaro: «Noi che abbiamo il doppio passaporto possiamo andare via, siamo dei privilegiati, ma i nostri fratelli, le nostre sorelle restano a Gaza a morire».
Di Fabrizio Caccia – fonte: https://roma.corriere.it/