AGI – Trent’anni fa un uomo cui sarebbe stato tributato voce populi il titolo di Grande mise in guardia: il profitto fine a se stesso è pericoloso, il capitalismo senz’anima porta al disastro. Non aveva doti profetiche, probabilmente, quel Giovanni Paolo II elevato più tardi alla gloria degli altari. Semplicemente aveva fatto l’operaio, e così come riteneva il comunismo un errore – prima di tutti gli altri – antropologico, considerava il liberismo sì espressione della libertà dell’individuo, ma anche potenziale negazione della persona umana.
Dice: che differenza c’è tra individuo e persona? C’è, e la Chiesa da sempre (o almeno da più di un secolo) si sgola per spiegarlo. L’individuo è la monade autoaffermativa dell’ego, la persona l’insieme di tutto: es ego superego, anima, emozioni, affetti, diritti, paure, doveri, comunità, socialità, aspirazioni amori e tutto ciò che di positivo si trova concentrato dentro ognuno di noi. A guardar bene la differenza c’è, eccome.
Insomma, il primo e finora unico papa operaio che non amava i preti operai aveva dalla sua il buon senso di chi ha fatto le cose con le sue mani. E quindi ci vedeva lungo. La storia gli aveva dato appena ragione una prima volta, gliela avrebbe data una seconda, quando però lui era già diventato Grande.
In più aveva dalla sua dotti e sapienti, che lo aiutarono a stendere un’enciclica dedicata per l’appunto al primo secolo in cui la Chiesa aveva scoperto – alla buon’ora – la questione sociale. Tra questi il cardinale Roger Etchegaray, che il 2 maggio del 1991 ne svelò il contenuto al mondo. Trent’anni fa. E Karol il giustiziere del comunismo disse ai vincitori: guardate che neanche voi siete perfetti.
Il titolo, Centesimus Annus, richiama come s’è detto il centenario dell’altra enciclica, la Rerum Novarum, in cui Leone XIII smetteva di guardare le beghe della Questione Romana e affrontava quelle, ben più serie o almeno più al passo con i tempi, della Questione Sociale. Dicono le cronache che anche Papa Mastai Ferretti venne sollecitato, non appena iniziato il suo esilio interno al Vaticano a causa di Porta Pia, ad affrontare il nodo. Reagì da nobile ottocentesco che troppo aveva sofferto per colpa di socialisti e liberali.
In altre parole, trattò come una pezza l’arcivescovo di Magonza, von Ketteler, che era nobile anche lui ma viveva nella Germania industriale degli Hohenzollern e del Kulturkampf. Gli disse, in breve, di lasciar perdere le plebi in sciopero. Quando la faccenda fu ripresa da Leone XIII i buoi erano scappati: i padroni delle ferriere erano sempre più satolli nel loro ego autoaffermativo, le plebi in sciopero si erano per lo più votate al socialismo, magari massimalista. Marx era morto, in compenso il marxismo stava benissimo.
Fu forse anche per questo che, crollato il Muro di Berlino, Wojtyla non volle perder tempo e ricordò a est come a ovest “quelle cose antiche che non passano”. Un lungo elenco: il ruolo della proprietà diffusa come presidio di libertà e responsabilità personale; l’ipoteca sociale dei beni, fondamento della responsabilità connessa all’esercizio del diritto di proprietà ; la dignità del lavoro e la necessità di far evolvere verso soluzioni positive, alla luce di questo valore, i conflitti sociali; il valore centrale della persona e dei diritti a questa connessi; il principio di solidarietà e il connesso ruolo dello Stato; il principio di sussidiarietà e il connesso ruolo delle società intermedie, fondamento dello Stato stesso.
Detta in breve, si celebrava l’umiliazione delle ideologie e dei regimi che, nel nome usurpato degli stessi operai, operavano ingiustizie sociali, negavano le libertà e proclamavano l’ateismo. E così facendo si chiudeva il capitolo mai aperto da Pio IX. Solo che si lasciava intendere anche una critica velata nei confronti di quel capitalismo democratico con le sue economie di mercato, la sua ricerca sfrenata del profitto, il suo consumismo, il suo egoismo senza solidarietà, in una parola, il suo materialismo pratico.
È bene ricordare, per comprendere meglio, che in quegli anni negli Usa si proclamava la fine della storia a voler intendere che ormai non c’era più niente da aspettarsi, per il futuro. Avevano avuto il sopravvento i giusti, si era giunti finalmente all’età dell’oro. Ma l’età dell’oro è l’età di Saturno e questo il Papa polacco, che aveva battuto il comunismo, lo sapeva bene. Regno pagano di un dio pagano, il denaro: cartaceo e non più metallico, ma sono questi particolari.
Lo aveva detto chiaramente, il Pontefice, già un anno prima in un viaggio in Cecoslovacchia, suscitando le perplessità di molti ben attestati sul lato vincente della Storia. Trent’anni fa non si aspettò nemmeno di conoscere il testo della Centesimus Annus, a Washington, per aggrottare la fronte. Questa roba, si disse, è peggio di quella dell’ ’88, la Sollicitudo rei socialis: l’ enciclica sempre a firma wojtyliana che fino ad allora risultava essere la più sgradita alla Casa Bianca, perchè sospettata di equidistanza dal comunismo e dal capitalismo. A tranciare il giudizio furono due maestri del pensiero conservatore: Michael Novak e Pat Buchanan. Soprattutto il primo avrebbe fatto ancora molta strada, e questo spiega due cose.
La prima, evidente, è che dopo la Santa Alleanza reaganiana tra il trono e l’altare, le vie dell’uno e dell’altro andavano a dividersi. La seconda che il soft power conservatore – americano ma anche europeo, ma anche italiano – avrebbe promosso da quel momento una vulgata del documento di Giovanni Paolo II in qualche modo sterilizzata. Complice anche la scelta di un linguaggio più profetico che sociologico o teologico da parte del suo Autore, la Centesimus Annus venne trasformata nel giro di pochi anni di un endorsement del libero mercato, il principio di sussidiarietà per la giustificazione del liberismo, il liberismo stesso per la miglior dottrina economica dal punto di vista evangelico.
Così, dopo aver sconfitto il comunismo, Wojtyla fu presentato come il campione dell’altro polo. Tertium non datur.
Dopo di lui, a riguardo, vengono da ricordare due interventi di Benedetto XVI. Ancor prima di essere eletto, Ratzinger mise sullo stesso piano il socialismo reale e il relativismo etico occidentale, lasciando intendere che di cose sbagliata si trattava in entrambi i casi. Poi, già papa, indicò nel denaro quel Mammona che non è possibile adorare se si è scelto Dio. E il messaggio fu ancor più chiaro.
Quanto a Bergoglio le sue riflessioni sul mercato e sulla finanza sono ben note. Del primo si può salvare il principio, ma non certo le numerose e profonde distorsioni. Quanto alla finanza – per la quale Saturno non è oro e nemmeno più carta filigranata, ma flusso impalpabile di ricchezza invisibile a occhio nudo, e quindi persino più simile alla divinità – quanto alla finanza si diceva si leggano gli ultimi capitoli della Fratelli Tutti.
Un testo, la Fratelli Tutti, giudicato molto male negli ambienti liberisti, e si capisce bene il perché. Ma attenzione, perché dietro del sospetto socialismo bergogliano si nasconde – molto più di quanto non sembri – la mano del Grande. Al quale Bergoglio ha dato l’idea di volersi ispirare sempre più, nell’ultimo paio di anni.
Source: agi