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"Quando sparì Federico Caffè si pensò a una fuga", racconta un investigatore

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AGI – Quello della scomparsa dell’economista Federico Caffè, il professore del premier Mario Draghi sparito nel nulla il 15 aprile 1987, è un caso rimasto irrisolto e a cui nessuno è mai riuscito a fornire anche un minimo indizio per la soluzione.

Che fine ha fatto? Si è suicidato o magari, trovando rifugio in un monastero, si è volontariamente allontanato? Uno dei poliziotti impegnati nelle ricerche sembra propendere per l’ultima tesi.

Docente di Politica economica e finanziaria della facoltà di Economia e Commercio dell’Università La Sapienza, Federico Caffè ha formato generazioni di economisti e manager del nostro Paese. È stato sotto i suoi insegnamenti che l’ex presidente della Bce Draghi, e attuale presidente del Consiglio, si formerà fino a laurearsi nel 1970.

Quando scomparve, Federico Caffè aveva 73 anni e aveva abbandonato l’insegnamento da un paio di anni. A dare l’allarme alla polizia fu il fratello Alfonso, che conviveva con il professore nell’appartamento di via Alberto Cadlolo al civico 42, a Monte Mario.

Antonio Del Greco in quegli anni dirigeva, da funzionario di polizia, la settima sezione della squadra mobile della Questura di Roma e oggi con l’AGI rievoca le ore frenetiche che seguirono la denuncia della scomparsa dell’economista.

“Ricordo che ci alternammo con le altre sezioni della Mobile a turni di sette ore per rintracciarlo”, racconta Del Greco, oggi a riposo dopo aver ricoperto come ultimo incarico quello di dirigente della Quinta Zona della Polizia di Frontiera.

“La palazzina da dove si era allontanato il professore Caffè si trovava al confine della riserva di Monte Mario – spiega –all’epoca c’erano meno edifici di oggi e la zona era ancora più impervia. Ci siamo messi alla sua ricerca nel parco con l’aiuto dei cani e anche di elicotteri dall’alto”.

Alla stampa la scomparsa di Federico Caffè venne annunciata solo una settimana dopo con un comunicato del fratello Alfonso che chiedeva aiuto a chi avesse avuto sue notizie. Intanto le ricerche del professore proseguivano anche con iniziative degli stessi ex allievi dell’Università che dettero una mano per indicare tutti i luoghi solitamente frequentati dal professore quando insegnava.

“Quello che ci sorprese è che Caffè si era allontanato da casa senza portare via nulla – prosegue Del Greco – sulla scrivania vennero ritrovati gli occhiali da vista, le chiavi di casa e l’orologio. Impossibile ipotizzare che si era potuto allontanare di molto da casa, per questo lo si cercò soprattutto nell’area vastissima del parco”.

Le indagini sulla scomparsa del professore vennero condotte dalla Mobile di Roma che all’epoca era diretta da Rino Monaco, un poliziotto di razza divenuto, anni dopo, Questore della capitale; e videro in prima linea, in particolare, gli investigatori della terza sezione che era guidata da Nicola Cavaliere, anch’egli futuro Questore di Roma.

Federico Caffè stava attraversando un periodo di depressione – aveva confidato ai poliziotti il fratello – sicuramente dovuto a una serie di lutti che lo avevano particolarmente colpito: prima la morte della madre, e poi quello della sua affezionatissima tata novantenne. Inoltre, erano scomparsi nel giro di poco tempo anche gli allievi Ezio Tarantelli, assassinato dalle Br nel 1985, Fausto Vicarelli, vittima di un incidente stradale, Franco Franciosi, ucciso da un tumore.

A questo si aggiungeva il pensionamento che lo aveva separato dall’ormai unica ragione di vita, l’insegnamento.

“Le ricerche andarono avanti per giorni ma senza esito – racconta ancora Del Greco – nessun indizio. Del resto, non emersero elementi per pensare che ci si trovasse davanti a un omicidio e anche sull’ipotesi del suicidio rimasero perplessità visto che non si è mai ritrovato il corpo”.

In quei giorni, pensando a un tragico gesto compiuto dal professore, gli investigatori controllarono anche il fiume Tevere con le imbarcazioni della polizia di Stato seguendo il corso delle acque fino alla secca di via Marconi e poi giù fino a Fiumicino, nei punti dove solitamente il fiume restituisce i corpi di chi si è suicidato.

Ma di Federico Caffè nessuna traccia. I poliziotti con l’aiuto di alcuni studenti ex allievi esaminarono anche gli appunti e centinaia di carte lasciati nello studio e la scrivania dell’abitazione del professore, cercando qualche traccia o frase di commiato, ma anche questo senza alcun esito.

Il fratello riferì che pochi giorni prima di sparire nel nulla in casa si commentò il suicidio di Primo Levi: “Che brutta maniera di uccidersi, farsi trovare così dai parenti”.

Infine, non vennero trascurati anche tutti i pronto soccorso della capitale per verificare se fosse stato ricoverato qualche anziano smemorato, così come furono chieste informazioni ad alcuni istituti religiosi.

“Alla fine l’ipotesi più plausibile fu quella dell’allontanamento volontario”, conclude Del Greco. La dichiarazione di morte presunta fu dichiarata dal tribunale di Roma il 30 ottobre 1998. Ad oggi il mistero resta ancora in piedi

Vedi: “Quando sparì Federico Caffè si pensò a una fuga”, racconta un investigatore
Fonte: cronaca agi


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