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QUANDO POTERE POLITICO, MAGISTRATURA E AFFARI SI FANNO “SISTEMA”

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di Antonino Gulisano

Trecento anni fa Montesquieu, filosofo della politica e del diritto scriveva: “Non c’è tirannia peggiore di quella esercitata all’ombra della legge e con i colori della giustizia”.

La costituzione italiana all’art. 101 recita: “La giustizia è amministrata in nome del popolo. I giudici sono soggetti soltanto alla legge”.

L’art. 104 recita: “La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”.

Nell’ottobre del 2020, per la prima volta nella storia della magistratura, un ex membro del CSM (Consiglio superiore della Magistratura) viene radiato dall’ordine giudiziario. Inizia il percorso della narrazione di Luca Palamara. Questa narrazione viene trascritta in una intervista pubblicata con un titolo emblematico: “IL SISTEMA”. La storia segreta della Magistratura tra potere, politica, affari e anche mafia. L’autore si decide a pubblicare questa memoria con l’affermazione “non voglio portarmi segreti nella tomba, lo devo ai tanti magistrati che con queste storie nulla c’entrano”. I segreti sono tutti in questo libro. Significativa è l’affermazione dello stesso Palamara. “Quando ho toccato il cielo, il Sistema ha deciso che dovevo andare all’inferno”. Ecco il vero significato del rapporto tra politica, potere, affari e magistratura in questo concetto di “Sistema”.

Alla fine di questo libro ho ripensato a ulteriori quattro libri letti di recente. Catania bene e Mafia s.p.a. di Sebastiano Ardita, Il Padrino dell’antimafia di Attilio Bolzoni e Una Città in pugno di Antonio Fischella. Ho seguito il filo conduttore che lega questi libri come la colonna sonora di un film. Il filo dei rapporti tra potere, politica e affari, fatto di relazioni istituzionali esplicite o sottotraccia, ma che possiamo ricondurre al concetto di “Sistema”.

Nel libro Cosa nostra s. p. a. si descrive un nuovo panorama strategico della Mafia e di tutte le organizzazioni criminali, che hanno cambiato strumenti e obiettivi. Non serve più uccidere con le armi, ma c’è un’arma più potente: l’economia finanziaria e la compressione della democrazia per assoggettare o condizionare la politica e le istituzioni al potere condizionante del “Sistema”. La mafia è un potere, che si infiltra e fa parte del “Sistema”. Un tempo si è combattuto con le armi da fuoco e contro i rappresentanti dello Stato, oggi si usano le armi della finanza e della delegittimazione della Democrazia rappresentativa.

Dal libro il Padrino dell’Antimafia di Attilio Bolzoni ho avuto chiari due concetti: la mafia non si combatte con le fiaccolate o con le marce, ma con un processo scientifico di contrasto, con cultura e strumenti alternativi, così come la mafia è dentro il “sistema” di potere scientifico, che sta nelle relazioni tra potere politico, affari e magistratura.

Il libro Una città in pugno, di Antonio Fisichella mostra il concentrato di un potere assoluto in una città della Sicilia, Catania, seconda città metropolitana dell’isola. Catania, definita negli anni sessanta “la Milano del Sud”. Nel libro si descrive il clima di una città che assiste al caso clamoroso, unico ed emblematico, di pacifica e fruttuosa convivenza tra un esponente di primo piano del mondo imprenditoriale, editore-direttore di giornale, proprietario di TV e agenzie di pubblicità, oltre che di rendite agricole in Italia e i clan mafiosi. Un rapporto senza imbarazzi e reazioni di carattere morale.

Egli rappresenta parte di quel potere tripolare della città, composta da politica, imprenditoria, editoria e mafia. Questo potere ha dominato la città di Catania durante la grande trasformazione provocata dal miracolo economico con la sua forza dirompente, con le sue contraddizioni. In assenza di un progetto di governo reale di quella trasformazione, a Catania si incarna un modello di sviluppo intorno al circuito rendita – speculazione, edilizia – cemento, spesa pubblica – politica. Su questo circuito si stagliano su un ponte di comando i soggetti-attori: l’autorità politica, l’imprenditoria edilizia di famosi cavalieri del lavoro, i cosiddetti “4 dell’Apocalisse”, il potere assolutorio della Magistratura, il potere mediatico dell’informazione e la mafia. Nessuno detiene un potere unico e assoluto, ma ciascuno di questi poteri partecipa degli altri, li riunisce in sé e se ne nutre.

Mario Ciancio Sanfilippo appare nel libro di Fisichella come un Re Mida per il fiuto degli affari o il baricentro di un blocco di potere fondato sulla rendita parassitaria, la speculazione edilizia, l’infinito ciclo del cemento aperto alla partecipazione della mafia. Caso unico e significativo è il caso dei Mega centri Commerciali dell’area di Catania in Italia con un reddito pro capite tra i più bassi d’Europa. La sintesi di questo fenomeno sta nel concetto del “Sistema”

Volendo mutuare la filosofia di Hegel, nella “Fenomelogia dello spirito” si pone il problema del riconoscimento dell’Io come autocoscienza. È la lotta a morte che si accende proprio quando ciascun uomo o ciascun Io pretende di essere riconosciuto senza però voler riconoscere a sua volta l’altro.

Il desiderio di riconoscimento porta con sé l’eventualità del conflitto: gli esseri umani possono rifiutarsi di riconoscere l’altro. Possono cioè restare indifferenti alla pressante richiesta di riconoscimento da parte altrui. «Io sono qui, tu sei lì». È allora che metto seriamente a rischio la mia vita, pur di essere riconosciuto: «o mi riconosci o ti uccido»; oppure, «affinché sorga in te il desiderio di riconoscimento (quello stesso desiderio che nutro io nel mio intimo) sono disposto a mettere in pericolo la mia e la tua vita».

Il significato del “Sistema” va ricercato in questa ricerca di riconoscimento nel conflitto: la mafia, nella sua autocoscienza, si pone in antitesi con se stessa divenendo antimafia, proprio per affermare la propria coscienza del riconoscimento e ritrova la sintesi divenendo autocoscienza come Super IO in un livello superiore come “Sistema” scientifico. Questo è il “teorema Montante”, come punta di un Isberg.

Due ultime considerazioni. Dagli studi su J. Rawls e Amartia Sen si deduce che nella Teoria della Giustizia, su due piani diversi, i due teorici sono d’accordo nel sostenere che non sempre la Legalità converge con la Giustizia.