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Quale partito a vocazione maggioritaria? Servono forze con la volontà di governare

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Di Alfonso Pascale

Il dibattito, molto interessante, che si sta sviluppando su come ristrutturare il quadro politico per un rilancio del Paese rischia di non essere fruttuoso se mantiene quelle ambiguità individuate da Angelo Panebianco, qualche giorno fa, sul “Corriere della Sera”.
Il mondo nuovo in cui oggi ci troviamo ci obbliga a considerare con maggiore precisione situazioni ed eventi, evitando quelle approssimazioni anche lessicali che impediscono di interpretare correttamente la realtà. Panebianco richiama, nel suo editoriale, la grande frattura che si è aperta “fra coloro che, sia in Europa che negli Stati Uniti, difendono la società occidentale, i suoi principi, le sue libertà, e coloro (sono ormai tantissimi) che la irridono, la disprezzano, le sono ostili; e che operano in obiettiva alleanza con le potenze, dalla Cina alla Russia all’Iran, che considerano il mondo occidentale il nemico da battere”. Se è questa oggi la principale divisione che esiste nelle nostre democrazie, continuare ad usare categorie come “destra”, “sinistra”, “progressisti”, “conservatori” senza articolarle per tener conto della contrapposizione tra pro e anti-occidentali, rischia di rendere incomprensibili i termini reali del dibattito.
Sia Pina Picierno che Goffredo Bettini hanno fatto riferimento, nei loro interventi, al concetto di “partito a vocazione maggioritaria”. La prima agganciandolo all’ambizione del Pd di contenere in sé, benché in una logica coalizionale, un disegno complessivo di riforma dei nodi strutturali che impediscono all’Italia di crescere; l’altro, legandolo alla responsabilità che avrebbe quello stesso partito di assumere il compito di armonizzare una proposta sull’Italia del variegato panorama dell’attuale opposizione.
In realtà, il tema del “partito a vocazione maggioritaria” fu introdotto da François Mitterrand al Congresso di Epinay, il 13 giugno 1971, con un argomento un po’ diverso da quello espresso dai due esponenti del Pd: “Allora, cosa faremo con l’unità? E soprattutto, come lo faremo? Ebbene, adesso che il nostro partito esiste, vorrei che la sua missione sia prima di tutto quella di intraprendere un’azione di conquista. In termini un po’ tecnici, questo si chiama vocazione maggioritaria. Sono per la vocazione maggioritaria di questo partito. Desidero che esso prenda il potere… Ecco, già presente, il peccato di elettoralismo! Comincio male. Vorrei che fossimo disposti a considerare che la trasformazione della nostra società cominci con la presa di potere, ma essa comincia prima con la presa di coscienza di noi stessi e la presa di coscienza delle masse. Però bisogna anche passare per la conquista del potere. La vocazione ‘gruppettara’, non è la mia né quella dei compagni che voteranno con me la stessa mozione”. Per Mitterand, dunque, la vocazione maggioritaria corrisponde alla vocazione di governare, di stare dentro i processi reali di un mondo profondamente cambiato per poterli accompagnare.
Oggi l’Italia ha bisogno di forze politiche che esprimano chiaramente la volontà di voler governare nell’ambito di una trasparente scelta di campo pro-occidentale. E che queste si coalizzino intorno ad alcuni obiettivi prioritari: rilanciare il multilateralismo (a partire dall’accordo Ue-Mercosur), completare il processo di integrazione europea, conseguire la crescita sostenibile, governare le migrazioni, superare l’inverno demografico, affermare la libertà religiosa per favorire l’impegno delle fedi a contribuire al rafforzamento delle democrazie. Nell’attuale contesto mondiale, un partito riformista esprime in questo modo la vocazione maggioritaria, combattendo a viso aperto i partiti a vocazione “gruppettara”, di cui parlava Mitterrand, che si annidano a destra, a sinistra, tra i progressisti e i conservatori e che operano in obiettiva alleanza con potenze che considerano il mondo occidentale il nemico da battere.
Essere partiti a vocazione maggioritaria non ha nulla a che vedere coi sistemi elettorali maggioritari, bipartitici o semplicemente bipolari, che anzi potrebbero, nell’attuale contesto storico, essere un ostacolo.

Fonte: Il Riformista