AGI – Nei primi undici mesi del 2020 la produzione manifatturiera è diminuita di circa il 13% rispetto al 2019. E’ quanto emerge dalla congiuntura flash del Centro studi di Confindustria. “La pandemia ha inferto un duro colpo all’industria italiana nel 2020 – si legge nel documento – a causa soprattutto della caduta di domanda, interna ed estera, conseguente alle misure di contenimento introdotte in Italia e negli altri paesi colpiti dal virus”.
Tale caduta è stata acquisita quasi interamente tra febbraio e aprile, quando la produzione aveva raggiunto (in media) valori inferiori di oltre il 50% rispetto a quelli pre-Covid. Il recupero nei mesi estivi (+29%) ha contribuito in modo determinante a limitare le perdite nell’anno. Il marginale arretramento atteso nell’ultimo trimestre, per il riacutizzarsi della crisi sanitaria, inciderà poco sulla media del 2020.
La ripresa è rimandata alla seconda metà dell’anno e la flessione di fine 2020 e la debolezza di inizio 2021 fanno rivedere al ribasso la stima di crescita per quest’anno, prevede il Centro studi di Confindustria. A inizio 2021, il peggioramento delle attese spinge una parte delle famiglie a risparmiare a scopo precauzionale; inoltre, vari acquisti sono ostacolati dalle norme anti-Covid. Tutto ciò frenerà i consumi e il Pil, almeno nel primo trimestre.
Un forte rimbalzo è atteso solo dal terzo trimestre 2021, sopra le stime iniziali se la vaccinazione sarà efficace e rapida. “Un allentamento delle restrizioni anti-pandemia, infatti, – si legge nel documento – rilancerebbe anche la fiducia e quindi la domanda, liberando per i consumi le risorse accumulate in questi mesi col risparmio ‘forzato’. Il recupero potrebbe poi proseguire, se l’aumento dei vaccinati continuasse a far calare i contagi. Comunque, la flessione stimata per fine 2020 e la debolezza attuale fanno già rivedere al ribasso la crescita complessiva attesa per quest’anno”.
A novembre i prestiti alle imprese sono arrivati al +8,1% annuo; tuttavia, la domanda “emergenziale” rimane limitata a finanziare il capitale circolante, dati i fatturati compressi in vari settori, non i nuovi investimenti (indagine Banca d’Italia). E le prospettive per il 2021 restano fosche, come indicano gli ordini interni dei produttori di beni strumentali solo un po’ meno negativi, dice ancora il Csc.
Riguardo all’export lo scenario è un po’ migliorato. L’export italiano di beni risale in novembre (+4,1%), dopo una battuta di arresto in ottobre, tornando sui livelli pre-crisi. Il recupero è diffuso ai mercati UE ed extra-UE (in calo, però, a dicembre) e ai principali tipi di beni (di consumo, strumentali, intermedi). Resta invece eterogeneo tra singoli paesi e settori: spiccano in positivo Germania, Svizzera, Cina e Usa tra le destinazioni; metalli e autoveicoli tra i prodotti. In miglioramento le prospettive per inizio 2021, secondo gli indicatori qualitativi sugli ordini manifatturieri esteri (PMI e fiducia delle imprese).
Indicazioni positive anche dagli scambi mondiali, che si consolidano sopra i livelli pre-crisi (+2,8% a novembre su febbraio). Tuttavia, lo scenario sanitario globale è molto incerto e le restrizioni anti-Covid continuano a pesare, specie sull’export di servizi dei paesi (alle voci “viaggi” e “trasporti”). Il prezzo del petrolio Brent a inizio 2021 ha continuato a seguire il lento miglioramento dello scenario globale, risalendo a 55 dollari al barile; resta tuttavia ancora lontano dal livello pre-Covid (64 dollari).
Ancora i tassi sovrani in Italia hanno registrato un moderato aumento a gennaio (da 0,50% a 0,71% e poi a 0,62% il BTP), sulla scia della nuova instabilità politica. Lo spread sulla Germania è salito da 1,05% a +1,20%. Solo i massicci acquisti Bce di titoli di Eurolandia, attesi restare in campo per tutto il 2021, stanno evitando costi maggiori per l’Italia, tenendo a freno i tassi. La Borsa ha risentito di più, curvando al ribasso dopo la prima settimana di gennaio (-3,4%; +0,7% quella Usa).
Infine la dinamica dei prezzi al consumo in Italia è risultata di poco negativa nel 2020 (-0,2% annuo, da +0,6% nel 2019). Tuttavia, non si tratta di una deflazione generalizzata dovuta alla recessione. I prezzi dei beni industriali, anzi, sono risaliti da -0,3% a +0,4% annuo. Ciò verosimilmente a riflesso di episodi di scarsità di offerta, dovuti alle ripetute chiusure, industriali e commerciali. Questo rincaro è stato esattamente compensato dai prezzi dei servizi, che invece hanno frenato da +1,0% a +0,4%, seguendo la profonda crisi di vari comparti. Perciò, la misura core è rimasta invariata a +0,5% annuo, cioè quell’aumento molto moderato dei prezzi che da anni caratterizza l’economia italiana. A ciò vanno aggiunte le due componenti “volatili”.
Vedi: Produzione manifatturiera in calo e ripresa lontana, dice Confindustria
Fonte: economia agi