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Pnrr: 39 mld contro disuguaglianze, ma non tutto è positivo

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Il Pnrr-Piano nazionale di ripresa e resilienza, la declinazione italiana del piano Next generation Eu promosso a livello comunitario, è un intervento di politica fiscale e industriale senza precedenti a livello nazionale. Per analizzarlo, discuterne criticità e punti di forza e stimarne gli impatti, The European House-Ambrosetti ha promosso, fin dai primi mesi del 2021, un ‘Osservatorio Pnrr’ permanente. L’obiettivo dell’osservatorio nel 2023 è di proseguire con l’attività di analisi e monitoraggio dell’avanzamento del piano approfondendo le sue potenziali ricadute sulle disuguaglianze (reddituali, territoriali e di genere) che sono, come dichiarato nel Pnrr, “un ostacolo significativo alla crescita economica”.

In relazione alla persistenza per l’Italia di un indice legato alle disuguaglianze di reddito (indice di Gini) superiore a quello dei principali Paesi europei (Francia, Germania, Paesi Bassi, Spagna), l’attività dell’’Osservatorio Pnrr’ per il 2023 intende valutare potenzialità, rischi e sfide legati agli investimenti con impatti diretti sulle disuguaglianze nel percorso di riconfigurazione nazionale di cui il nostro Paese necessita da tempo. A questo scopo, l’osservatorio ha stimato che gli investimenti previsti dal Piano con impatti diretti sulle disuguaglianze ammontano a 24 miliardi di euro (il 12,5% del totale). Considerando anche gli investimenti che potrebbero, indirettamente, incidere sulle disuguaglianze (ad esempio l’Alta velocità al Sud, che potrebbe incidere sulle disuguaglianze territoriali), il totale sale a 39 miliardi (20,3%).

Alcune fra le principali misure hanno in realtà effetti peggiorativi: con riferimento alle disuguaglianze di reddito, la proposta revisione dell’Irpef danneggia i lavoratori con reddito fra 15mila e 30mila euro, aumentando marginalmente (da 32,00 a 32,58) l’indice di Gini dei redditi post-tassazione; l’estensione della flat tax amplia ulteriormente il divario fiscale fra lavoratori dipendenti e autonomi agendo su una fascia molto ristretta della popolazione (il 4,9% delle partite Iva).

Il Piano, su altri fronti, invece, potrebbe avere degli impatti positivi: il potenziamento dei centri per l’impiego consentirebbe l’attivazione di oltre 240mila posti di lavoro. Sul fronte delle disuguaglianze di genere, la maggiore disponibilità di posti negli asili nido potrebbe favorire una crescita dell’occupazione femminile tra 0,4 e 1,5 punti percentuali allineando il numero di posti negli asili nido nel Sud e nelle Isole alla media nazionale. Inoltre, il sostegno alle persone vulnerabili e disabili potrebbe consentire un incremento del tasso di partecipazione femminile tra 1 e 1,5 punti percentuali. Dal punto di vista delle disuguaglianze territoriali, un importante intervento è legato all’inserimento di 1.350 infrastrutture sanitarie (tbc, nel paper manca una parola) nei comuni più distanti dalle infrastrutture esistenti, che c permetterebbe di ridurre il numero di persone che non possono raggiungere un’infrastruttura sanitaria entro 1 ora dall’attuale 93mila a 3mila.

Infine, analizzando gli interventi con impatti sulle disuguaglianze territoriali, l’investimento per il rafforzamento delle infrastrutture scolastiche nel Sud del Paese potrebbe ridurre il gap con il tasso di abbandono scolastico rispetto alle altre aree del Paese e favorire una positiva attivazione economica. La proposta creazione di 2 nuovi posti letto per gli universitari non rappresenta una piena soluzione al problema, con un contributo del 10-15% al costo attuale. È evidente quindi la necessità di ulteriori interventi a supporto della residenzialità universitaria.

Il 2023 ha portato alla luce le prime complessità nell’implementazione del Piano, che hanno interessato in misura estesa i Paesi dell’Unione Europea. Il 31 dicembre 2022 il governo aveva dichiarato il raggiungimento delle 55 condizioni previste a fine 2022 e aveva conseguentemente inviato la richiesta di pagamento della terza rata, pari a 21,8 miliardi di euro. Il processo di valutazione si è protratto per tutto il primo semestre, sbloccandosi solo in seguito ad una rimodulazione di un target. Ad oggi solo la Spagna ha già ricevuto la terza rata (e solo 5 Paesi la seconda).

Secondo il cronoprogramma previsto, entro il 30 giugno 2023 l’Italia avrebbe dovuto raggiungere ulteriori 27 obiettivi e traguardi. Sulla base dei dati pubblici, a giugno 16 obiettivi non erano stati interamente raggiunti, ossia il 41% sul totale delle scadenze. I progetti sottostanti risultano incompleti a vario grado e vario titolo: per alcuni (11) mancano solo gli ultimi passaggi formali e amministrativi (come la promulgazione di decreti attuativi), in 3 casi è stata chiesta alla Commissione europea una rimodulazione del target per sopravvenute circostanze oggettive e per 2 casi si evidenziano criticità con tempi di attuazione più lunghi. Anche in questo caso è quindi ipotizzabile una lunga trattativa con la Commissione per discutere dello sblocco della rata.

A inizio agosto il governo ha presentato una revisione del piano, che coinvolge 216 modifiche relative a 144 Riforme e Investimenti (il 50% del piano, su 285 tra misure e submisure), corrispondenti a circa 164 miliardi di euro (84% dei fondi del Pnrr).

Le modifiche hanno però livelli di revisione differente: il 37% consiste in una rimodulazione dei target quantitativi, il 22% da modifiche nei documenti ufficiali, il 20% nel differimento di scadenze, il 9% nel potenziamento delle risorse finanziarie allocate, l’8% la riprogrammazione delle risorse verso altri interventi e infine il 4% consiste nell’eliminazione dal Pnrr. Quest’ultima voce concerne 9 misure, che sono state de-finanziate dal Pnrr per un ammontare totale di 15,9 miliardi di euro.

Molte delle difficoltà erano già state anticipate dalla Terza Relazione sullo stato di attuazione del Pnrr, presentata a fine maggio, che evidenziava come per 118 misure (41,4% del totale) tra Riforme e Investimenti erano stati rilevati 184 elementi di difficoltà nella loro realizzazione: il 13% imputabile all’aumento dei costi e/o alla scarsità di materiali; il 22% allo squilibrio fra domanda e offerta e all’assenza di filiere adeguate all’interno del tessuto produttivo nazionale; il 40% a difficoltà normative, amministrative e gestionali; il 25% alla ridefinizione dei requisiti europei per errori o rimodulazione dei target.

Il valore complessivo degli interventi con elementi di debolezza, secondo i dettagli della Terza Relazione, è pari a 97,45 miliardi di euro, il 51% delle risorse complessive del Piano. Il tasso di avanzamento della spesa, a giugno 2023, è pari al 13,4% del totale, significativamente eterogeneo fra missioni. Escludendo le spese relative agli incentivi fiscali (Ecobonus-Sismabonus, Transizione 4.0 e tax credit per il miglioramento delle infrastrutture di ricettività), che configurandosi come crediti d’imposta non richiedono un intervento attivo della Pa, la spesa sostenuta a inizio 2023 ammonta 10,5 mld, con un tasso di progresso nell’attuazione finanziaria del Piano pari a 6,4%. La prima necessità per garantire l’efficace implementazione del Pnrr e risolvere le lentezze amministrative è combattere la cosiddetta ‘paura della firma’, un fenomeno particolarmente diffuso nella pubblica amministrazione italiana, in particolare tra i piccoli enti locali. Il timore di azioni di responsabilità, legato alla gestione di progetti strategici di grande rilevanza economica, può paralizzare l’azione amministrativa e rallentare l’attuazione del Pnrr. Per contrastare questo fenomeno, Ambrosetti Club auspica un ruolo della Corte dei Conti come organo consultivo e di controllo preventivo, con l’idea di creare un ambiente di certezza giuridica in cui gli enti locali possano chiedere un parere preventivo, al fine di consentire una maggiore sicurezza e tempestività nell’adozione delle decisioni.