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Pierre Hadot: così la filosofia insegna il mestiere di essere uomo

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«Non prepara a una professione ma trasforma la sensibilità delle persone, il loro carattere, il modo di vedere il mondo». Il testamento dell’esperto di pensiero antico e patristica, morto nel 2010

Proponiamo alcune pagine dall’ultimo libro del filosofo francese, uscito postumo in Francia, La filosofia come educazione per adulti. Testi, prospettive, dialoghi, proposto in Italia dall’editore Marietti.
«La filosofia non si preoccupa solo di cambiare le nostre idee, vuole anche cambiare la nostra sensibilità. I filosofi sono, idealmente, degli educatori, e non semplicemente educatori della gioventù, ma educatori di loro stessi e dei loro coetanei. Stanley Cavell una volta ha proposto una definizione della filosofia: “educazione degli adulti”. Penso che sia la mia definizione preferita». Queste riflessioni del filosofo americano Hilary Putnam esprimono una concezione della filosofia che si contrappone a molte correnti della filosofia morale contemporanea. Per Putnam filosofare non è costruire una teoria astratta, ma costruire una persona umana. Una simile concezione può inscriversi all’interno di una tradizione molto lunga che risale a Socrate e a Platone, e che è stata in auge fino alla fine dell’antichità, poiché nel VI secolo della nostra era, il filosofo neoplatonico Simplicio, commentando Epitteto e tentando di definire il ruolo e il mestiere del filosofo nella città, non esita a dichiarare: è quello di uno «scultore di uomini». Il filosofo non insegna agli uomini un mestiere particolare, e neanche li prepara a una professione particolare, ma cerca di trasformare la loro sensibilità, il loro carattere, il loro modo di vedere il mondo o di rapportarsi con gli altri uomini. Si potrebbe dire che insegna loro il mestiere dell’uomo. Dice Epitteto, così come sappiamo se un falegname ha tratto profitto dalla sua educazione di falegname quando lo vediamo costruire una casa, così sappiamo se un filosofo ha tratto profitto dalla sua educazione di filosofo quando lo vediamo vivere come un uomo dovrebbe vivere. Già il Socrate dell’Apologia aveva rimproverato agli ateniesi di occuparsi della loro fortuna, della loro reputazione, dei loro onori, invece di cercare di migliorarsi nel loro pensiero, nella loro verità, nella loro anima. Molti secoli dopo, Nietzsche svelerà il pericolo della vita sociale e professionale che rischia di farci dimenticare di vivere la nostra vita umana […].
Per Aristotele, vivere da uomo è persino paradossalmente andare oltre la condizione umana, poiché considera che la filosofia, in quanto consiste in un modo di vivere votato al pensiero, ci conduce ai limiti dell’umano. Quando l’uomo si dedica interamente all’attività dello spirito, «allora non vive più solo come uomo, ma come se possedesse qualcosa di divino». Comunque sia, tutti i filosofi antichi, ciascuno a suo modo, cercano di interferire nella condotta della vita quotidiana dei loro discepoli, al fine di cambiare il loro stile di vita. […]
La filosofia che interessa ogni uomo è quella che Kant chiama la filosofia «cosmica», ossia del «mondo», in contrapposizione alla «scuola». Ciò che interessa ogni uomo è «Come vivere?», ed è la meta dell’uomo la quale, agli occhi di Kant, è infine la saggezza. L’idea della saggezza, o meglio l’idea del saggio ideale, è il fondamento della filosofia. Se l’idea del saggio ideale non si è mai realizzata, resta il fatto che tutte le leggi che la ragione impone a se stessa implicano questa idea. E Kant sottolinea con forza che furono gli antichi i più vicini a questo modello di filosofia. In Kant i rapporti che intrattengono la filosofia scolastica e quella cosmica sono complessi. La filosofia scolastica ha la sua utilità. Ci insegna a emettere giudizi migliori. Ma la filosofia scolastica, di per sé, non è veramente filosofia. Infatti, se la filosofia comincia con la speculazione, essa deve poi elevarsi a diventare la guida della ragione verso ciò che più le interessa, la meta dell’uomo. Occorre anche precisare che la filosofia speculativa praticata dallo stesso Kant è in realtà una critica, che permette di stabilire i limiti della ragione e aprirà poi la strada alla «filosofia del mondo». Se rimane pura speculazione, tende a degradarsi. Per esempio, Kant dichiara che Wolff, che per lui incarna la filosofia scolastica, non era propriamente un filosofo. Ogni interesse è in definitiva pratico, e anche quello della ragione speculativa rimanda in ultima analisi all’uso pratico.
Putnam si colloca esplicitamente nella tradizione di questa distinzione kantiana, quando rifiuta di vedere la filosofia come una disciplina puramente tecnica e considera essenziale la domanda: «Come vivere?». È ancora fedele a Kant quando identifica la filosofia con lo sforzo di pensare con la propria testa. «Pensare con la propria testa», tale era infatti la definizione che Kant diede di Aufklärung, ma anche dell’atto stesso di filosofare. Pensare con la propria testa è precisamente diventare adulti, rimettere in discussione i pregiudizi, le mode, ma anche gli argomenti autorevoli delle religioni e delle filosofie. Definendo Aufklärung con la capacità di «pensare con la propria testa», Kant riprendeva del resto una rivendicazione della «filosofia popolare» tedesca del XVIII secolo. Allora veniva glorificato l’eclettismo, che veniva inteso come libertà di scegliere tra diverse opinioni. Pensare con la propria testa non significava rifiutare tutta la cultura tradizionale, ma era criticare o assimilare personalmente questa o quest’altra dottrina, questo o quest’altro atteggiamento che sembrava il migliore in questa o quest’altra circostanza. La filosofia dell’illuminismo era qui l’erede di Cicerone, a sua volta testimone delle idee della scuola platonica del II secolo prima della nostra era, l’Accademia probabilistica di Arcesilao e Carneade.

Fonte: https://www.avvenire.it/agora/pagine/pierre-hadot-e-la-filosofia-che-insegna-il-mestiere-di-vivere