AGI – Una parte di Milano ha fame e non ha i mezzi propri per soddisfare il bisogno vitale.
Ma è anche la “Milan col coeur in man”: una grande rete di solidarietà, privata e pubblica, prova a raggiungere tutti i bisognosi e a cercare di non lasciare nessuno con l’appetito in bocca.
L’universo delle persone in difficoltà è variegato. Sono spesso uomini e donne che si trovano in questo stato da tempo, o entrate negli elenchi dei servizi sociali dal 2020, a seguito della perdita del lavoro a causa della pandemia.
Vivono pertanto ai margini della cerchia dei grattacieli e degli investimenti produttivi. Più di ventimila persone, secondo una ricostruzione di AGI, senza distinzione di sesso, età e nazionalità, che vivono in una condizione resa ancor più difficile sotto le feste opulente di Natale. Non soltanto senzatetto, ma anche intere famiglie che fanno enorme fatica a far quadrare i conti domestici e tenere cibo e altri generi di prima necessità tra credenza e frigorifero.
Grande è anche il mondo del volontariato. C’è chi distribuisce sacchi della spesa e chi fa sedere la gente del quartiere intorno alla tavola imbandita per un pasto caldo e assolutamente dignitoso.
C’è Pane Quotidiano, gloriosa associazione laica e apolitica, che si appresta a compiere i 124 anni di attività; ci sono istituzioni di chiara matrice religiosa come la Caritas, l’Opera San Francesco, l’Istituto Beata Vergine Addolorata; c’è la Fondazione “Ernesto Pellegrini”, costola Onlus della società leader nel settore delle mense aziendali, oltre a tante altre organizzazioni non lucrative di utilità sociale.
E c’è il Comune, che dal 2019, in collaborazione con partner privati e soggetti gestori, ha creato tre hub contro lo spreco degli alimenti nei quartieri di Isola, Lambrate e Gallaratese e che ne aprirà altri due entro il 2023, uno dei quali in centro.
Per quest’attività, Palazzo Marino ha incassato due mesi fa l’Earthshot Prize, riconoscimento voluto dal principe William d’Inghilterra per le migliori soluzioni nel settore ambientale, insieme alla dotazione di un milione di sterline. Una coda tanto ordinata quanto evidente di persone si snoda ogni mattina in viale Toscana, a pochi metri dall’Università Bocconi, e da diversi mesi anche davanti alla seconda sede di viale Monza.
Pane Quotidiano incarna la Milano della solidarietà. Esiste dal 1898, è sostenuta da circa 200 aziende benefattrici e fornisce generi alimentari a chiunque li chiede. “Noi – dice il vice presidente, Luigi Rossi – non chiediamo tessere di alcun tipo”.
Rossi si fa serio quando parla dell’attuale situazione. “Basta vedere le file formate nei pressi delle nostre sedi per percepire l’indigenza che c’è a Milano. Nel 2002 da noi si presentavano in 800-1000 persone al giorno, oggi superiamo le 3.500, a volte 4.000. In vent’anni, il triplo di persone bisognose di generi alimentari. Se dapprima avevamo una netta prevalenza di stranieri, oltre il 90%, ultimamente è aumentata la percentuale di italiani che chiede il servizio di Pane Quotidiano. Oggi il rapporto è 65% di cittadini di origine straniera e 35% di italiani”.
Pane Quotidiano ha sempre distribuito viveri dal 1898, non ha chiuso nemmeno durante le due guerre mondiali, lo ha fatto nel primo lockdown.
“Siamo stati messi molto a dura prova – continua Rossi -. Nella prima fase, febbraio-marzo 2020, siamo stati costretti a chiudere perché non avevamo conoscenza di cosa fosse questa pandemia. Ci siamo trovati di fronte a un dilemma importante: distribuiamo i pacchi spesa, rischiando però la trasmissione del virus per l’assembramento che la nostra attività comporta fra gli avventori o chiudiamo? E se chiudiamo? Così molte persone non mangiano più! Un bivio. Chi aveva ragione? La sanità o la fame? Credo due problemi primari. Non ci siamo persi d’animo e ci siamo trasformati. Abbiamo continuato a raccogliere gli alimenti e, nello stesso tempo, abbiamo stretto delle collaborazioni con delle associazioni le quali venivano da noi, prendevano gli alimenti e andavano a distribuirli nelle case delle persone indigenti. Non siamo riusciti molto probabilmente a raggiungerli tutti, a ma certamente siamo riusciti a calmierare il problema della distribuzione e non lasciare da sole tante persone”.
Anche la Caritas fornisce grandi numeri nell’assistenza alle persone. Nei primi 9 mesi del 2021 (ultimo dato aggiornato) hanno ricevuto aiuti alimentari, tramite la rete delle botteghe e degli empori della solidarietà nella città di Milano 11.147 persone.
Nella Diocesi di Milano, che comprende oltre a Milano anche le città di Varese, Lecco, Monza e le rispettive provincie, nello stesso periodo, attraverso la medesima rete, hanno ricevuto un sostegno alimentare 22.697 persone.
La Caritas Ambrosiana svolge la propria azione sul territorio attraverso tre servizi centrali: Siloe (formazione al lavoro), Sam (grave emarginazione), Sai (immigrati) e 390 centri di ascolto (sportelli) sparsi sul territorio della Diocesi.
L’accesso alla rete degli empori e delle botteghe avviene in seguito ad un colloquio in uno dei 390 centri di ascolto parrocchiali presenti in Diocesi.
I volontari dei centri (complessivamente 5mila persone) hanno il compito di verificare lo stato di bisogno della persone che chiedono aiuto e di definire con la persone stesse un percorso di emersione dal bisogno, attivando gli strumenti promossi da Caritas Ambrosiana (gli empori della solidarietà, i fondi di assistenza), o indirizzandole ai servizi pubblici.
Milano, ricca e contraddittoria. Come nelle grandi città, i milanesi ignorano il vicino di casa ma molti di loro, quando c’è da aiutare, lo fanno senza remore. Privati cittadini e aziende, sia di carattere locale che internazionale.
Senza di loro, le Onlus non potrebbero esercitare le meritorie attività. Ruben è un ristorante molto particolare. Ogni sera, nella sede di via Gonin viene servita la cena a circa 250 persone. Menu proposti da chef professionisti, con quattro primi piatti, quattro secondi e altrettanti contorni, frutta e il dolce nelle ricorrenze. Prezzo: 1 euro a persona.
Lo stesso euro che un lavoratore paga per usufruire del pasto in azienda. Lo ha voluto Ernesto Pellegrini, dai tanti conosciuto come ex presidente dell’Inter, ma soprattutto imprenditore leader nel settore delle mense aziendali, il quale nel cinquantesimo della sua attività, attraverso una Fondazione a lui stesso intitolata che si occupa di solidarietà, ne ha deciso l’apertura “per restituire un poco del tanto che ho ricevuto” usando le sue parole.
“A Ruben si entra attraverso un’indicazione uno dei tanti servizi sociali sul territorio – spiega l’amministratore delegato della Fondazione, Giuseppe Orsi, un passato di ad in Finmeccanica – che individuano persone con una specifica caratteristica, quella di esprimere una volontà di rientrare a pieno titolo nella società. Si tratta di persone passate improvvisamente, causa crisi economica prima e pandemia oggi, da una situazione di normalità a una situazione di criticità. Famiglie con minori, gente dall’età compresa fra i 40 e i 60 anni, che ha perso il lavoro.
Se questi cittadini vogliono rimettersi in gioco, allora vengono da noi e trovano un sollievo immediato dal punto di vista fisico e un ristoro che vuole essere di tipo morale. Tenete presente che per queste persone, che fino a poco tempo fa vivevano una normale condizione di vita, non è facile chiedere aiuto. Non sono abituate a chiedere e non lo fanno, nonostante abbiano veramente bisogno. Quello che ci preoccupa maggiormente è il loro reinserimento nell’ambito lavorativo, poiché la pandemia ha aggravato la collocazione di personale a tempo determinato, a cui molti facevano ricorso per sopravvenire allo stato di necessità. I nostri volontari – continua l’ingegnere Orsi – sono motivati all’ascolto delle persone, fungendo da tramite verso enti e istituzioni che possano aiutarli a superare le attuali difficoltà”. In questo limbo, il fattore tempo è fondamentale.
“Sì, perché queste persone si abituano nel tempo ad essere assistite – dice Orsi – tanto più risulta difficile ri-misurarsi con il mondo del lavoro e con la normalità che detenevano prima degli eventi che li hanno portati fin qui. Milano ha bisogno di tanta piccola manutenzione. Noi stiamo cercando di utilizzare i nostri commensali ad avere subito un lavoro, per togliere loro quell’ansia dell’attesa di un qualcosa che cambi profondamente la loro vita”.
A Milano sono attivi da due anni tre hub di quartiere contro lo spreco alimentare, un altro aprirà all’inizio del 2022 all’interno del mercato agroalimentare, altri due in centro e a Corvetto.
È un’attività promossa dal Comune tramite l’azione dell’ufficio Food Policy e della Direzione Municipi, in sinergia con alcuni partner, tramite un avviso pubblico per la selezione di sostenitori e soggetti gestori, fra cui associazioni Onlus e otto insegne della Grande distribuzione.
In pratica, si ridistribuiscono le eccedenze alimentari, utilizzando anche software in grado di leggere in tempo reale la domanda e l’offerta di prodotti. I numeri sono notevoli.
Si stima che negli hub si recuperino 1.500 tonnellate l’anno di cibo, pari a circa dieci milioni di porzioni di frutta e verdura. Il valore commerciale delle donazioni è pari a 750mila euro l’anno, oltre a 150mila euro di risparmio per mancato smaltimento.
Sul piano ambientale, viene evitata l’emissione di 590 tonnellate di anidride carbonica, prima per la produzione e successivamente per lo smaltimento delle eccedenze. Il sistema degli hub è stato ritenuto il migliore tra 750 iniziative candidate in tutto il mondo dalla Royal Foundation del principe William d’Inghilterra e ha vinto l’Earthshot Prize nella categoria “Build a Waste-free World”.
“Il Comune reinvestirà una parte consistente del premio monetario da un milione di sterline in progetti volti a potenziare le azioni di recupero e redistribuzione delle eccedenze alimentari, negli Hub, nel mercato ortofrutticolo e nei mercati comunali – annuncia il vicesindaco di Milano, Anna Scavuzzo -. L’esperienza di questi anni racconta che c’è la necessità di innovare gli strumenti a disposizione della pubblica amministrazione mette in campo per coinvolgere il settore privato, sia profit che no-profit.
Il Comune crea il contesto affinché ogni parte possa dare il proprio contributo. Ora il passo successivo è quello che c’è dietro al disagio alimentare. Mi riferisco alla povertà educativa, alla solitudine e all’accesso alla comunità. Noi abbiamo una missione importante: nessuno deve morire di fame. Non solo. Tutti devono avere l’accesso a cibo sano che permetta uno sviluppo equilibrato a tutte le età”.
Source: agi